lunedì 31 gennaio 2011

L'uovo di giornata Finalmente sappiamo cos'è Futuro e Libertà

Erano mesi che cercavamo di capire quale fosse la natura e il programma politico dei quella nuova creatura chiamata Fli. Abbiamo letto articoli, studiato saggi, ascoltato interviste, compulsato siti web e guardato talk show, ma niente da fare. Futuro e libertà ci continuava a sembrare sfuggente, contraddittoria, trasformista. Forse, ci siamo detti a un certo punto, è questa la modernità di cui parlano: un partito inafferrabile, così leggero e mutevole da sfuggire a qualsiasi definizione. Stupidi noi, ancora legati a vecchi paradigmi, che ci arrovelliamo attorno all’identità.
Poi a Todi, Italo Bocchino, ha finalmente sollevato il velo di incertezza che avvolge dall’inizio il movimento di Gianfranco Fini. Ha pronunciato parole chiare e in equivoche ce ci hanno illuminato e confortato. Ora sappiamo con cosa abbiamo a che fare.
Dice Bocchino: “Non si presenterà per noi il problema della candidatura alla leadership, per questo cerchiamo piuttosto uno speaker che non un leader. Dovrebbe essere una donna, quarantenne, credibile e preparata”. In coro gli hanno subito chiesto se pensasse ad Emma Marcegaglia e lui pronto: “Ma no, con lei si giocherebbe per vincere e questo sarebbe assurdo. L’unica cosa certa dopo le prossime elezioni è che da noi non si potrà prescindere perché saremo decisivi al Senato”.
Bene, alla fine l’abbiamo capita. Futuro e Libertà sarà un partito di rompicoglioni a vocazione minoritaria.

Il Comune passa al "vendesi" Boccata di ossigeno da 400mila euro

Casse comunali rimpinguate, dopo che il Comune di Cinisello Balsamo ha alienato locali e immobili di sua proprietà: 400mila euro freschi freschi per sollevare il bilancio dai pesanti tagli da Roma

Cinisello Balsamo, 30 gennaio 2011 – Soldi freschi nelle casse comunali. Ammontano a 396.624 euro gli introiti che il Comune di Cinisello Balsamo ha guadagnato nel 2010 grazie all’alienazione di locali e immobili di sua proprietà. Tema attualissimo, dato il costante richiamo alla mancanza di fondi da parte degli enti locali e dato che, a Cinisello Balsamo, nei prossimi giorni la Giunta guidata da Daniela Gasparini sarà chiamata a impostare il bilancio dell’anno e contestualmente il piano delle alienazioni.
Nell’anno appena trascorso l’Amministrazione cinisellese ha incassato poco più di 102mila euro per un locale comunale sito in via Gran Sasso, 55.102 euro, 100.100 euro, 77.794 euro e 61.526 euro rispettivamente per tre diversi immobili fuori dai confini cinisellesi, a Desio, in via Monsignor Castelli al civico 10/12 (di cui il quarto alienato con diritto di prelazione dei conduttori). Per diverse operazioni andate a buon fine, ce ne sono altre che invece non sono riuscite a far «fare cassa» al Comune: una su tutte, l’iniziativa di vendita degli immobili di via Casati 6, sede di diverse associazioni di volontariato della città.
Per ben due volte infatti la gara per la vendita degli immobili è andata deserta; i tecnici sarebbero ora al lavoro per studiare un nuovo bando; al momento però le associazioni, per le quali era previsto un trasloco, (Abc Cremazione, Anmil, La Svolta, Aido, Associazione Nazionale Carabinieri in congedo e Anpi), possono tirare un respiro di sollievo e mantenere la loro postazione.
Sulla buona riuscita delle operazioni del 2010 e sul futuro piano delle alienazioni del 2011 interviene il vicesindaco di Cinisello Balsamo, l’assessore al Bilancio Luca Ghezzi: «Le alienazioni ci permettono di tirare un po’ il fiato che è sempre corto a causa dei tagli e dei vincoli imposti dal patto di stabilità — spiega Ghezzi —. I locali alienati durante lo scorso anno non sono stati molti. Sul 2011 invece è prevista l’alienazione di alcuni terreni e di altri immobili non venduti nel 2010 e situati al di fuori dei confini comunali. Ci sarà poi una novità, il ritorno del servizio mensa in capo al Comune comporterà il ritorno del centro cottura nel patrimonio comunale in cambio dell’asilo nido Raggio di Sole e del Centro Multimediale di via Verga che diventeranno patrimonio dell’Azienda Multiservizi e Farmacie. Il centro cottura sarà così alienato insieme ad altre proprietà».
di Andrea Guerra

domenica 30 gennaio 2011

I pupazzi dei potenti "Gli sgommati" sbarcano in Italia ma non graffiano ancora a dovere

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Nel 1984 il network britannico ITV trasmette la prima serie di “Spitting Image”, un programma che riscuoterà grande successo tra i sudditi di Sua Maestà: la scommessa è raccontare la politica in chiave satirica, mettendo in scena pupazzi che richiamino le fattezze dei protagonisti più “caldi” della vita sociale. È un’ottima idea: grazie a un pool di bravi autori e artigiani, gli inglesi si divertono da matti con le parodie di Margaret Tatcher e della famiglia reale, del Papa e di Ronald Reagan. Quando nel 1996 “Spitting Image” chiude i battenti, a causa di un fisiologico calo degli ascolti, la sua lezione è già stata raccolta: in Francia Canal+ lancia “Les Guignols de l'info”, una striscia quotidiana che fa molto parlare di sé sin dai primi anni novanta (in concomitanza con la guerra del Golfo). I francesi vengono conquistati dai pupazzi, e seguono con passione le vicissitudini dei propri politici di gomma: ieri Chiraq e Le Pen, oggi Nicolas Sarkozy e la première dame Carla Bruni.
Salvo rari casi - ad esempio “Gommapiuma”, un programma ispirato a “Spitting Image” trasmesso da Canale 5 negli anni novanta - in Italia i politici sono stati “interpretati” da attori in carne e ossa: si pensi solo alle (tristi) parodie del Bagaglino, o alle imitazioni di Corrado Guzzanti. Ora però anche i pupazzi tornano in tv, con una striscia satirica trasmessa tutti i giorni da SkyUno alle 21 in punto (in replica, su Cielo, alle 13 del giorno dopo). Prodotto da Carlo Degli Esposti e scritto da una squadra di autori guidati da Paolo Mariconda, “Gli sgommati” - a differenza di “Les Guignols de l'info” che è orientato a sinistra - promette di “non far sconti a nessuno”, prendendo di mira “tutti indistintamente, a prescindere da schieramenti, ideologie, professione”: si riderà, dunque, di Fini e Bersani, Berlusconi e Vendola, Saviano e Montezemolo. Il programma, come ha spiegato il produttore al “Fatto”, sarà il più possibile legato all’attualità, compatibilmente con i tempi di realizzazione di nuovi personaggi (circa venti giorni).
“Gli sgommati” ha esordito lunedì 24 gennaio con un “gommoso” Aldo Biscardi, che ha chiarito l’intento del programma: entrare “a gamba tesa sulla politica”. Nel primo sketch Gianfranco Fini - alla guida di una decappottabile rossa - vuole raggiungere la sede del nuovo partito seguendo le indicazioni del navigatore “Benito 2000”: l’auto del Presidente, complici le indicazioni fornite dalla voce di Ignazio La Russa, finirà contro un muro. Segue la confessione del “pensionato padano” Umberto, disperato per i continui ritardi nell’approvazione del federalismo: “Fatemelo fare” implora, “prima che la nebbia della Padania mi racchiuda in sé stessa”. È poi il “turno” del centrosinistra con Vendola e Bersani, intenti a discutere di future alleanze sulla prua del Titanic. In chiusura, il grande scoop della giornata: “Gli sgommati” presenta in anteprima nazionale la signora Adriana, fidanzata ufficiale del presidente del Consiglio. “Come vi siete conosciuti?”, chiede Biscardi: “Eravamo compagni di banco a scuola, ci conosciamo da minorenni”.
Dopo aver visto la prima puntata, che è stata seguita da 222.000 spettatori, Aldo Grasso ha criticato la “conduzione” di Aldo Biscardi - in quanto “rende i testi poco graffianti, riduce la vita a un eterno Processo del lunedì” - e la scarsa audacia degli autori: “La forza del pupazzo”, scrive il critico sul “Corriere della Sera”, sta “nella sua cattiveria, nel dire cose che gli ‘umani’ non possono dire”. Di “meccanismo narrativo che deve perfezionarsi” parla anche Maurizio Caverzan sul “Giornale”: tutto sommato, però, la trasmissione resta godibile. I pupazzi in lattice (realizzati da Davide Masi, Sara Baldis e Riccardo Sivelli) sono divertenti e realistici, come del resto le voci che li animano. Le fondamenta, insomma, appaiono solide e per crescere c’è tutto il tempo: con un pizzico di cattiveria in più (in questo concordo con Grasso) potremo forse lasciarci alle spalle le soporifere scenette del Bagaglino. E rinverdire, 25 anni dopo, le splendide gag di “Spitting Images”.
di Luca Meneghel30 Gennaio 2011

Nunca vi nada igual

Scritto da Davide Giacalone
domenica 30 gennaio 2011
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Dilma Rousseff
La risposta di Dilma Rousseff, presidente del Brasile, a Giorgio Napolitano è diplomatica nella forma e dura nel contenuto: noi brasiliani non esprimiamo giudizi sulla vostra giustizia, ma voi avete il dovere di rispettare la nostra, il mio predecessore, Lula, ha preso una decisione che condivido e voi Cesare Battisti ve lo scordate. Perché i brasiliani ci tengono tanto? Perché sfidano anche una parte della loro opinione pubblica? La risposta c’è, e se le nostre autorità avessero fatto maggiore attenzione a chi è il nuovo ministro della giustizia, se ne conoscessero la storia, si sarebbero evitati ulteriori passi falsi.

C’è un filo che lega questa vicenda al modo in cui agisce la procura di Milano? C’è un legame fra l’infarto della nostra giustizia e il diniego a consegnarci un assassino? Alle due domande si deve rispondere in modo positivo. E si deve aggiungere una cosa: dietro allo scontro, fra Brasile e Italia, per la sorte di un terrorista, c’è un ricatto relativo al mondo degli affari.

I giornali italiani tendono a raccontarla come una storia d’incomprensione: noi vogliamo far scontare la galera a un cittadino italiano che ha ammazzato quattro volte e loro, invece, credono sia un perseguitato politico, uno che rischia la vita, se torna qui. Le nostre autorità statali, dal governo al Presidente della Repubblica, si rivolgono alle autorità brasiliane come se fossero Calimero: scusate, siamo amici, vogliamo restarlo, ma, forse, caso mai, vi state sbagliando. Invece non si sbagliano proprio per niente, lo hanno fatto apposta. E lo hanno fatto anche per ritorsione. Così come lo hanno fatto per mandarci un segnale inequivocabile: se voi italiani pensate di venire in Brasile per fare affari, fregarci i soldi e portarveli via, avete sbagliato indirizzo, se volete continuare in quella condotta noi vi sbattiamo fuori dalla porta, per la felicità dei vostri concorrenti, e vi facciamo anche il mondiale pernacchio di tenerci un figuro come Battisti.

Un ulteriore elemento significativo: l’opposizione nostrana non perde una sola occasione per attaccare il governo, e si capisce. Perché sul caso Battisti hanno soffiato nello zufolo, anziché picchiare la grancassa? Probabilmente perché hanno capito il significato del messaggio, conservando memoria delle proprie amicizie.

Cerchiamo di capirlo anche noi, visto che questo giornale è stato quello che prima, meglio e più approfonditamente di altri (pubblicammo anche un libro) ne ha raccontato la radice. Ecco un fatto: il nuovo ministro della giustizia, in Brasile, si chiama José Eduardo Cardozo, e, non appena nominato, ha detto di condividere la scelta fatta dal presidente Lula, che aveva appena passato la mano al successore. E’ andato oltre, e qui sta la chiave: il 4 gennaio, giorno prima della nomina a ministro, ha pubblicato nel suo sito internet il contenuto di un’interrogazione da lui presentata, allora semplice deputato del PT (Partido dos Trabalhadores il partito di Lula), nel luglio del 2004, con la quale chiedeva lumi sul comportamento di Telecom Italia in Brasile e sulla superfatturazione imposta a Brasil Telecom nell’acquisto di una compagnia telefonica, la Crt (raccontai tutto). Centinaia di milioni di dollari volatilizzati. Ebbene, lo stesso Cardozo ricorda che la sostanza di quelle denunce fu indirizzata, per il tramite del consolato italiano di San Paolo, alla giustizia italiana, da alcuni nostri cittadini residenti in Brasile. Fra di loro Piero Marini Garavini. Lo stesso Garavini ha poi provveduto, per la seconda volta, a inviare il tutto alla procura di Milano, ma il materiale non risulta mai pervenuto.

Fin qui, riferisco. Ora vi racconto quel che so direttamente. Quando fui sentito, quale parte lesa, nel corso dell’inchiesta sugli spioni che lavoravano in Telecom Italia (i quali mi avevano pedinato, intercettato, dossierato, diffamato e annientato la memoria del computer), dissi ai procuratori milanesi che parte delle informazioni in mio possesso giungevano da una persona che non ho mai conosciuto o incontrato, ma che s’indirizzava a me via mail: Piero Marini Garavini. Sa molte cose, ho potuto constatare che sono fondate, visto che siete interessati a sapere, vi conviene sentirlo. Non lo hanno mai né cercato né convocato.

Apro una parentesi: non credo che per quelle faccende si farà mai giustizia. Anzi, sono sicuro, perché non può chiamarsi giustizia quella che si trascina da un decennio all’altro. Quel che avevo da dire lo dissi e nessuno ha potuto smentirmi. Per il resto, essendo una persona civile, vale per tutti la presunzione d’innocenza. Anche se, in qualche caso, sembra derivare più dall’essere presuntuosi che presunti. Chiusa parentesi.

Il ministro Cardozo non è nato ieri, non è un ingenuo, e se quella pagina internet è rimasta al suo posto solo per poco tempo è segno che non ce ne voleva molto perché ne fosse colto il significato: signori italiani, piantatela di credere che noi brasiliani si sia il paese delle banane, semmai lo siete voi. Chiaro? E aggiunge: “como deputado e professor de Direito, nunca vi nada igual”. Non ve lo traduco, mi pare evidente.

Il che, letto da quest’altra parte del mondo, ha anche un altro significato: la procura di Milano vive lampi d’attivismo frenetico, frugando nelle alcove, ma talora è colta da irresistibile apatia, certamente casuale.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero

L'editoriale del NYTimes Non esiste figlio più voluto di quello dolorasamente abortito

30 Gennaio 2011
L'ospite di "No easy choice" su MTV, Markai Durham
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L’industria del divertimento americana non è mai stata a suo agio con l’atto dell’aborto. I personaggi dei film o delle serie televisive possono al limite prendere in considerazione l’intervento, ma anche sui programmi più libertini ( “Mad Men” o “Sex and the City”), alla fine generalmente, quegli stessi personaggi cambiano idea piuttosto che andare fino in fondo. I programmi di reality prosperano con soggetti e scene scioccanti – gravidanze e operazioni estreme, poligami suburbani o casalinghe lesbiche a New York – ma l’aborto rimane troppo controverso, e anche un po’ troppo reale.

Questa omissione è spesso citata come una vittoria del movimento pro-life, e qualche volta forse la spiegazione non si allontana dal vero. (Film recenti come Juno o Knocked Up i quali parlano proprio di gravidanze inaspettate, tendono a far sembrare l’aborto non solo inutile ma anche repellente.) Però a guardare bene potrebbe anche trattarsi di un atteggiamento di negazione culturale: un modo per rassicurare il pubblico sul fatto che l’aborto in America è 'sicuro e legale' – e volendo usare la famosa frase di Bill Clinton – 'ma anche raro'.

Non proprio raro a dire il vero: non quando una gravidanza su cinque finisce in un aborto clinico. Di vittoria di realismo si deve parlare, allora, se si pensa alla decisione di MTV di mandare in onda al margine del suo reality show “16 and Pregnant” e “Teen Mom”, uno speciale dal nome “No easy decision” (ndt. Una decisione non facile), ove viene intervistata Markai Durham, una madre adolescente rimasta in cinta una seconda volta e che ha scelto l’aborto.

Dato che MTV è MTV, la linea dello speciale non poteva che essere pro-choice. Non sono mancate le lacrime, comunque, in qualsiasi la si veda. Durham e il suo fidanzato sono i classici giovani che la nostra cultura manda alla deriva – classe lavoratrice, sotto-scolarizzati, con debole rete di sostegno sociale, rarefatta autorità al contorno, e certamente bassa maturità sessuale che non va oltre la prescrizione facilmente negletta di utilizzare sempre il condom. La loro agonia televisiva è un caso di studio per capire quanto l’aborto possa essere considerato tanto un atto contrario alla morale e tanto e al tempo stesso, una soluzione a un problema – soprattutto quando permette di restare al di sopra della soglia di povertà e di dare a una figlia delle opportunità che i propri genitori non hanno mai avuto.

Lo spettacolo è diventato particolarmente lancinante, comunque, quando si è giustapposto con due recenti riferimenti giornalistici provenienti dal mondo della mezza età: l’infertilità del ceto medio - alto. Lo scorso mese un provocatorio articolo di Vanessa Grigoriadis “Waking Up From the Pill”, apparso sul New York magazine, suggeriva che una vita passata sotto controllo chimico delle nascite ha spinto le donne “a dimenticarsi della propria identità biologica di donna …(permettendo così) inavvertitamente, indirettamente, all’infertilità di diventare l’effetto primario da pillola.” La stessa domenica, The Times Magazine ha fornito una ancor più intima storia sulla stessa tematica, nella quale un genitore di mezz’età, la giornalista Melanie Thernstrom, ha fatto una cronaca della sua storia e di quanto le sia “costato” mettere al mondo il suo bambino: sei cicli in vitro falliti, un donatore di ovulo e due madri surrogate, oltre a una inaudita ammontare di spese.

In ogni era è esistito un tragico contrasto tra il peso di gravidanze indesiderate e il peso dell’infertilità. In passato questo divario è stato spesso più colmato dall’adozione di quanto non lo sia oggi. Prima del 1973, il 20 per cento dei nati da donne bianche non sposate, (e il 9 per cento di nascite fuori dal matrimonio nel complesso) conduceva a una adozione. Oggi solo 1 per cento dei bambini nati da madri non sposate va in adozione, e gli aspiranti genitori adottivi fronteggiano una lista d’attesa che si è allungata irragionevolmente.

Cambiamenti questi che riflettono la crescente accettazione di genitorialità singole. E’ comunque bene ricordare che alcune di queste sono il risultato dell’impatto che avuto ilcaso Roe v. Wade. Dal 1973 infatti, innumerevoli vite che avrebbero avuto la possibilità di essere accolte in famiglie come quella della Thernstrom – la quale aveva vagliato la possibilità adozione e che ha mollato causa mancanza di speranza – sono invece state interrotte in utero, tramite aborto.

La 'vita è quella che è. Nello speciale di MTV, le persone che circondavano Durham accettavano l’aborto in modo euforico. D’altronde la creatura dentro di lei altro non è che “tessuto organico.” Nei giorni successsivi l’aborto, Markai Durham ricorda che le venne consigliato di non umanizzarlo: “ Se pensi a ciò come a (una persona), corri il rischio di deprimerti.” Al contrario, “pensalo per quello che è: niente di più che un ammasso di cellule.”

Alla Durham poi trovare il modo di convivere con la situazione. Seduta accanto al suo fidanzato, poco dopo, incomincia a piangere quando ricorda che il suo fidanzato aveva chiamato l’embrione la “cosa”. Indicando la propria figlioletta, lei afferma, “Una ‘cosa’ può diventare così. Ecco quello che ricordo … Quel ‘nient’altro che un insieme di cellule’ può essere lei.”

Quando cerchi la verità, trovi la verità. La scorsa settimana il New Yorker a riportato una poesia di Kevin Young sui genitori che aspettano un figlio, all’inizio della gravidanza, mentre la madre cerca il bambino accarezzando il ventre:

The doctor trying again to find you, fragile,

fern, snowflake. Nothing.

After, my wife will say, in fear,

impatient, she went beyond her body,

this tiny room, into the ether—

... And there

it is: faint, an echo, faster and further

away than mother’s, all beat box

and fuzzy feedback. ...

Questo è il paradosso di quelli che in America non nascono. Nessuna vita è così disperatamente cercata, dopo; così golosamente desiderata; così attentamente allattata. E ciononostante, nessuna vita è così legalmente sprovvista di tutela, e così frequentemente distrutta.

(Tratto dal New York Times)

Traduzione di Edoardo Ferrazzani

La convivenza tra poeta e profeta Il rapporto di Goethe con l'islam fu rispettoso ma non certo acritico

23 Gennaio 2011
Dopo le recenti affermazioni di Thilo Sarrazin (il socialdemocratico autore del best-seller La Germaniadistrugge se stessa, arrivato ormai a oltre un milione di copie vendute) a proposito di Goethe, della sua posizione critica rispetto a Maometto e all’islam, è tornata in auge in Germania, tra i musulmani, la teoria che cerca di catturare lo scrittore francofortese e il suo Divano occidentale orientale alla causa dell’islam: “Chi conosce se stesso e gli altri /” ha scritto il poeta, “riconoscerà che anche qui / oriente e occidente non sono più separabili”. Secondo alcuni interpreti queste righe varrebbero come professione di fede di Goethe nell’islam, per altri, per esempio per Rafik Schami, come “dichiarazione d’amore per l’oriente”.
La questione non è così semplice. Il rapporto di Goethe con l’islam va considerato come più complesso e più contraddittorio. Il consigliere segreto non ha criticato solo la “evidente penalizzazione delle donne” e il divieto di bere vino nell’islam, per lui un segno del “cupo velo della religione” che il profeta ha imposto ai suoi adepti; a partire dalla figura di Maometto, Goethe ha tematizzato il conflitto fondamentale dell’islam, ancor oggi valido: la perdita del “divino”, della dimensione spirituale, causata dalla compressione del “celestiale, dell’eterno nella corporalità delle intenzioni terrene”, con la conseguente rinuncia a tutto a ciò che è sacro.
All’età di 23 anni Goethe s’imbatté in una “Bibbia turca” pubblicata nel 1771. Dopo averla letta scrisse a Gottfried Herder entusiasta: “Desidero pregare come Mosè nel Corano: ‘Signore fa spazio nel mio angusto petto’”. Lo scrittore francofortese era particolarmente affascinato dal viaggio in cielo: “E che cosa dovrebbe evitare il poeta, di salire sul cavallo meraviglioso di Maometto e di lanciarsi attraverso tutti i cieli? E perchè non dovrebbe, timoroso, festeggiare quella santa notte nella quale il Corano venne portato dall’alto, per intero, al profeta? Qui c’è ancora molto da guadagnarne”.
Dopo quella lettura ispiratrice del Corano, Goethe elaborò un piano per il grande “progetto Maometto”, per il quale accettò zelantemente le sure e le hadithe. Successivamente scrisse che in Maometto lo interessava capire in quale pericolo incorra chi desideri portare ad altri la salvezza. Quel suo progetto sarebbe dovuto diventare la grande tragedia di chi parte per convertire i propri simili; nel corso dei suoi studi però Goethe scoprì che chi si proclama portatore di salvezza deve ricorrere inesorabilmente alla violenza (vedi lo studio di Katharina Mommsen, Goethe e il mondo arabo). Alla fine Goethe non realizzò mai quel progetto (scrisse solo il frammento poetico Il canto di Maometto), forse perché il conflitto fondamentale tra religiosità ed estetica, tra poesia e prosa, gli apparve irrisolvibile. Provò a leggere il Corano come se si trattasse di opera di poesia, ma si dovette scontrare irrimediabilmente con gli intenti assolutamente terreni, e questa fu una contraddizione che non riuscì a risolvere. Certo Maometto usò la poesia per imporre la nuova religione e per Goethe le Sacre Scritture “non potevano che provenire dal cielo […] tanto era forte la loro (degli arabi, ndr.) fede nella divinità della poesia”. Poeta e profeta erano in origine “afferrati e illuminati da un dio”, poi però le loro vie si separarono. Se infatti il poeta ha a che fare con il gratuito, con la varietà estetica, con l’infinito, il profeta al contrario vuole imporre una dottrina, vuole convincere, vuole mobilitare. Dunque, come avrebbe potuto rappresentare il profeta? Probabilmente avrebbe dovuto discreditarlo come “imbroglione”, analogamente a come fece Voltaire.
Dal 1814 Goethe si interessò di Hafis, che nel XIV secolo visse a Shiras sotto una Schah musulmana e fu lui stesso un avversario dell’ortodossia di allora. Hafis gli servì per evidenziare le differenze critiche rispetto al Corano. Così, il “poeta delle donne” Goethe ammonì come il paradiso musulmano fosse riservato esclusivamente agli uomini, visto che le donne celestiali dovevano servire solo come dispensatrici di piacere: nel “paradiso degli uomini” non c’è posto per le donne terrene. La Mommsen ha scritto al proposito: “L’aperta penalizzazione della donna apparve a Goethe come una peculiarità dell’islam, al punto che si sentì giustificato a richiamarvi l’attenzione in maniera drastica”.
Goethe ha incontrato l’islam con rispetto, ma non in maniera acritica. In molti punti ilDivano presenta battute pungenti. Per lui Maometto è “l’autore del libro”, quel testo dunque non rappresentava per lui una rivelazione divina e piuttosto doveva essere sottoposto alla critica storica. Solo così si sarebbe reso possibile il dialogo. E da questa posizione goethiana si può ancora imparare.

sabato 29 gennaio 2011

Dopo Tunisia ed Egitto, sotto a chi tocca La Rivoluzione inavvertita: oggi la libertà corre sul web

29 Gennaio 2011
Egitto 28 gennaio: il regime oscura web e sms. In Italia si vive ancora "sotto" i vecchi media, nonostante tutti abbiano profili facebook etc. In realtà in tutto il mondo è in atto la rivoluzione dei net-citizens. Partita dalla Cina, ha ora guidato e coordinato la rivolta tunisina e quella egiziana. Si basa su velocità di comunicazione, democrazia orizzontale. E' alternativa ai casseurs, alla violenza, alla concezione del partitismo come guerra per bande. Sta cercando nuovi contenuti basati su sussidiarietà, semplificazione, libero mercato. Grida il suo no sia allo statalismo sia ai monopoli delle imprese legate al potere. E’ nata e si muove nella cultura orizzontale di internet contro quella verticale/piramidale dei poteri tradizionali (media, partiti magistratura, corporazioni).

STAMPA E FREENAUTES
Freenautes sono in guerra in tutto il mondo: la libertà di espressione viene soffocata in Cina come in Egitto. Una pesante lettera di accuse al monolito della UE, più silente di un topo morto sull’annegamento dell’informazione web e telefonica in Egitto, è stata inviata alla ministra degli Esteri europea baronessa Ashton.http://www.facebook.com/album.php?aid=311672&id=540671179&l=e8da2b0c0d#!/photo.php?pid=7538813&id=540671179
Dov’è invece la stampa italiana, quando in tutto il mondo giornali e telegiornali sono concentrati al massimo nel seguire la crisi in Egitto, che preoccupa per infiniti motivi, dai rischi di un blocco di Suez ad opera dei Fratelli musulmani, a quelli di una nuova guerra totale (con l’Iran co-protagonista)?
E mentre la scelta giusta è già stata fatta –velocemente sul web:
Egypt a Liberal Civil Stateمصر دولة مدنية ليبرالية
I promotori di questa causa Facebook chiedono se sia necessario precisare meglio così:
Egypt, a Civil State Since in a Civil Democracy, non-liberal parties can also reach power through elections and the State will remain a Civil State.
Di fronte a queste dinamiche (che si traducono in regime changes diretti e non più compiuti per il tramite di eserciti, a testimonianza della straordinaria forza dei nuovi canali di comunicazione, diventati fronte di guerra essi stessi) la politica e l’informazione italiana sono dei topi morti disinformati, privi di idee e dibattito. Lo testimonia Il Corriere della Sera di oggi, con una pagina sul tema “web sì o web no” in cui il sì alla cyber-rivoluzione viene da un columnist del New York Times, mentre lo sconfortante no luddista viene da Carlo Formenti, gulliverizzato a esponente di una sinistra necrofila. Se questo è lo stato dell’arte, si tratta del segnale –preoccupante e demoralizzante- di una nazione chiusa al mondo. Eppure fino al XV secolo l’Italia divisa in micronazioni dominava il Mediterraneo; l’italiano era la lingua usata dai diplomatici ottomani e inglesi per comunicare tra loro (nessuno conosceva le reciproche lingue). Il dinamismo commerciale e culturale italiano continuò anche se in misura minore fino alla discesa in Egitto di Napoleone.

URGENZA DI UNA NUOVA DEMOCRAZIA
Probabilmente le rivolte arriveranno anche in India e in Cina.
Siamo di fronte a un’ondata che chiede la fine degli anciens régimes ovunque. Per ottenere cosa?
In primo luogo l’uscita dallo split ideologico destra/sinistra. Questo dualismo indubbiamente esiste, ma si è cristallizzato al negativo, senza trovare una sintesi come lo yin e lo yang orientali. Ciò che serve è l’elaborazione della cultura neodemocratica, più forte delle ideologie e fautrice di maggiore sussidiarietà, semplificazione, libero mercato.
Negli anciens régimes orientali si combatte (civilmente) nelle strade per chiedere più libertà e meno corruzione. Negli anciens régimes occidentali si combatte nel web per chiedere “Meno tasse”, e un minore invasione dello Stato –anche a livello delle amministrazioni locali- e della burocrazia. Parole d’ordine nate negli Usa col movimento Tea Party. Il nodo di una democrazia divorziata dalla burocrazia dovrà essere risolto anche nell’Unione Europea, se questa non vuole diventare una riedizione kafkiana e politicamente corretta dell’Unione Sovietica, finendo sepolta da una montagna di leggi.
Il nodo dovrà essere risolto anche in Italia. Il movimento liberalconservatore nato negli anni ’90 con un formidabile ritardo rispetto ad altre nazioni, rischia di segnare il passo per problemi strutturali (la vexata quaestio del coté privé del premier nasconde problemi politici di ben altra portata e importanza).
La qualità dei servizi pubblici del Nord dev’essere applicata al sud e al centro. Urge il vincolo del pareggio di bilancio negli Enti locali.  Servono più policy –cioè soluzioni pragmatiche individuate localmente- e meno leggi -ovvero soluzioni burocratiche imposte dal centro. Urge una modernizzazione dello Stato, a partire da un mandato rinnovabile soltanto una volta per il Premier, il che obbliga i partiti a formare e rinnovare in continuazione la classe politica.
Questi temi dovrebbero essere i primi in tutti i partiti, a partire dal Pdl al governo, quindi il più esposto. Lo stallo politico rischia di appiattire il Pdl come partito nazional-conservatore. Un federalismo più compiuto di quello che si delinea potrebbe fare maggiore chiarezza, mostrando all’elettorato che l’orrore italiano è che il PD e i suoi satelliti sono i veri conservatori, pur chiamandosi “progressisti”. Poi ci sono le cifre: al di là dei conti positivi della Sanità pubblica, vi è il confronto sul costo del personale della Regione in Lombardia, Veneto e Sicilia. La Sicilia spende per il personale 1,78 miliardi di euro, contro i 202 milioni della regione Lombardia e i 151 milioni del Veneto.

E’ importante passare dal leaderismo a governi più collegiali e a una politica più orizzontale, meno oppressiva e più di rete. Ciò non significa meno capacità esecutive e più congiure di palazzo. Tutt’altro. Chi sarà capace di cogliere e dare forma alla cultura politica inavvertita che emerge in tutto il mondo tramite i netcitizens, avrà la possibilità di creare le basi per una società migliore, più libera, dinamica e ricca. Non è utopia, ma una necessità urgente.

Un premio alle pagelle da lode 240mila euro a 47 super studenti

Come ogni anno, il Comune di Cinisello premia gli studenti più meritevoli: tra i 47 premiati, sono le quote rosa a vincere. Dall'amministrazione borse di studio per i ragazzi per un totale di 240mila euro

Cinisello Balsamo, 29 gennaio 2011 – Anche quest’anno il Comune di Cinisello Balsamo premia studenti e studentesse meritevoli. E a ben guardare, spulciando l’elenco, si può ben dire che le fanciulle battono i maschietti in quanto a voti. Sono 47 le borse di studio che l’Amministrazione comunale di Cinisello ha riservato agli alunni più bravi di tutta la città. In un momento storico in cui si parla di scuola, di fondi e anche di assegni di studio (sia per il sostegno che per il merito), a Cinisello si è tenuta la premiazione durante la quale la Giunta ha riconosciuto le migliori pagelle cittadine.

All’interno delle 47 borse elargite sono comprese le quattro istituite in memoria di Monica Trapani, studentessa cinisellese vittima di un tragico episodio avvenuto entro le mura della scuola superiore che frequentava, l’Erasmo da Rotterdam di Sesto, e messe a disposizione, esclusivamente a studentesse, direttamente dai familiari che così intendono ricordare la figlia; sempre compresi nel calderone anche tre assegni di studio offerti, anche in questo caso come la tradizione degli ultimi anni vuole, dall’agenzia Sala Assicurazioni che ha sede in città e che annualmente mette a disposizione un fondo di 1.329 euro da distribuire ai più bravi studenti delle scuole medie.

Alla cerimonia a fare gli onori di casa nella Sala degli Specchi di Villa Ghrilanda, il primo cittadino cinisellese Daniela Gasparini e l’assessore alle politiche educative Natascia Magnani proprio quest’ultima ha dichiarato: «Dare riconoscimento al merito è importante, necessario per gratificare i nostri giovani studenti, alimentando, anche attraverso lo strumento delle borse di studio, la voglia di proseguire negli studi e la conoscenza». Le borse di studio riconosciute direttamente dall’amministrazione sono state così assegnate: dodici, del valore di 442,84 euro, agli studenti delle scuole medie; ventotto, del valore di 548,00 euro, agli studenti e alle studentesse delle classi della scuole secondarie di secondo grado, con una quota del 10% riservata agli studenti lavoratori.

Ecco i nomi di vincitori e vincitrici: Panizzi Stefania, Palmiotto Jessica, Cagnin Elisa e Boscaro Nadia sono le quattro studentesse delle superiori che si sono guadagnate il premio in ricordo di Monica. Gatti Gianmarco, Angarano Valentina, Ficarra Desiree, Scattarella Valeria, Carrubba Maria Letizia, Frangipane Francesca, Redaelli Lara, Di Giglio Paolo, Di Vittorio Francesca, Ramaglia Emanuele, Argenti Valentina, giuliani giulia, Miedico Pietro, Bottino Eleonora, Voto Valentina, Suriano Elisa, Di Rocco Mattia, Andrisano Barbara, Meschino Giulia, Bonella Valentina, Boussif Laaziza, Scozzari Roberta, Carrubba Antonella, Debolezza Valentina, Caruso Vittoria, Tozzi Carmen, Civarella Alessandra, Garufo Graziella sono gli studenti delle scuole superiori. Per la categoria scuole medie gli assegni sono andati a: Demirci Tugba, Rocutto Simone, Napolitano Lara, Basile Maria, Zampirollo Irene, Ramundo Alessandro, Allegretti Arianna, Sportiello Giulia, Siberna Giacomo, Fiorino Francesca, Chiereghin Silvia, Palmiotto Marco. Gli assegni di studio messi in palio da Sala sono andati a Pivotto Andrea , Funes Francisco e Yassin El Karid.

di Andrea Guerra

http://www.ilgiorno.it

Le nostre strade? Sempre più sicure Ma al volante poca disciplina

Sul territorio di Sesto i vigili hanno registrato un calo degli incidenti: le strade, si può dire, sono più sicure. Quello che manca però è l'educazione al volante

Cinisello Balsamo, 29 gennaio 2011 – Anche quest’anno il Comune di Cinisello Balsamo premia studenti e studentesse meritevoli. E a ben guardare, spulciando l’elenco, si può ben dire che le fanciulle battono i maschietti in quanto a voti. Sono 47 le borse di studio che l’Amministrazione comunale di Cinisello ha riservato agli alunni più bravi di tutta la città. In un momento storico in cui si parla di scuola, di fondi e anche di assegni di studio (sia per il sostegno che per il merito), a Cinisello si è tenuta la premiazione durante la quale la Giunta ha riconosciuto le migliori pagelle cittadine.

All’interno delle 47 borse elargite sono comprese le quattro istituite in memoria di Monica Trapani, studentessa cinisellese vittima di un tragico episodio avvenuto entro le mura della scuola superiore che frequentava, l’Erasmo da Rotterdam di Sesto, e messe a disposizione, esclusivamente a studentesse, direttamente dai familiari che così intendono ricordare la figlia; sempre compresi nel calderone anche tre assegni di studio offerti, anche in questo caso come la tradizione degli ultimi anni vuole, dall’agenzia Sala Assicurazioni che ha sede in città e che annualmente mette a disposizione un fondo di 1.329 euro da distribuire ai più bravi studenti delle scuole medie.

Alla cerimonia a fare gli onori di casa nella Sala degli Specchi di Villa Ghrilanda, il primo cittadino cinisellese Daniela Gasparini e l’assessore alle politiche educative Natascia Magnani proprio quest’ultima ha dichiarato: «Dare riconoscimento al merito è importante, necessario per gratificare i nostri giovani studenti, alimentando, anche attraverso lo strumento delle borse di studio, la voglia di proseguire negli studi e la conoscenza». Le borse di studio riconosciute direttamente dall’amministrazione sono state così assegnate: dodici, del valore di 442,84 euro, agli studenti delle scuole medie; ventotto, del valore di 548,00 euro, agli studenti e alle studentesse delle classi della scuole secondarie di secondo grado, con una quota del 10% riservata agli studenti lavoratori.

Ecco i nomi di vincitori e vincitrici: Panizzi Stefania, Palmiotto Jessica, Cagnin Elisa e Boscaro Nadia sono le quattro studentesse delle superiori che si sono guadagnate il premio in ricordo di Monica. Gatti Gianmarco, Angarano Valentina, Ficarra Desiree, Scattarella Valeria, Carrubba Maria Letizia, Frangipane Francesca, Redaelli Lara, Di Giglio Paolo, Di Vittorio Francesca, Ramaglia Emanuele, Argenti Valentina, giuliani giulia, Miedico Pietro, Bottino Eleonora, Voto Valentina, Suriano Elisa, Di Rocco Mattia, Andrisano Barbara, Meschino Giulia, Bonella Valentina, Boussif Laaziza, Scozzari Roberta, Carrubba Antonella, Debolezza Valentina, Caruso Vittoria, Tozzi Carmen, Civarella Alessandra, Garufo Graziella sono gli studenti delle scuole superiori. Per la categoria scuole medie gli assegni sono andati a: Demirci Tugba, Rocutto Simone, Napolitano Lara, Basile Maria, Zampirollo Irene, Ramundo Alessandro, Allegretti Arianna, Sportiello Giulia, Siberna Giacomo, Fiorino Francesca, Chiereghin Silvia, Palmiotto Marco. Gli assegni di studio messi in palio da Sala sono andati a Pivotto Andrea , Funes Francisco e Yassin El Karid.

di Andrea Guerra

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venerdì 28 gennaio 2011

Lo sciopero generale della Fiom Una Cgil spaccata dimentica che senza fabbriche c'è solo più disoccupazione

28 Gennaio 2011
il leader della Fiom, Landini
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La notizia di oggi è questa: la Cgil è spaccata. E a spaccarla ci ha pensato la Fiom, un cane sciolto e arrabbiato nell’aia del sindacato rosso dei lavoratori. La rottura si sentiva nell’aria, ma a Bologna ieri è venuta fuori con tutta evidenza durante quella che è stata la prova tecnica della manifestazione di sciopero generale dei metalmeccanici proclamata per oggi. Dalla piazza saliva una sola voce: “sciopero generale!”. Così stornellavano gli slogan, così recitavano gli striscioni al corteo, così ha chiesto Maurizio Landini, segretario generale Fiom, durante il suo intervento in piazza Maggiore prima di dare la parola, in chiusura di giornata, alla numero uno della Cgil; così chiede con forza oggi anche Giorgio Cremaschi. E la Camusso? Impassibile. Come non fosse stato rivolto a lei, quell’accorato appello ad indire uno sciopero generale della Cgil: e allora fischi!
La leader del sindacato ha comunque tenuto la piazza attaccando il resto del mondo. Il governo, per esempio: “Sacconi”, ha detto, “pensa davvero che gli investimenti vengano o vadano per il voto dei lavoratori o non piuttosto sulla base dell’immagine che dà all’estero il presidente del Consiglio e della quale ci vergogniamo?” Appunto Berlusconi. “Viviamo una gravissima crisi e siamo l’unico Paese in Europa senza una politica industriale e colo governo impegnato solo a parlare di escort… in queste condizioni si arretra e non si crea occupazione”, ha affermato ancora Susanna Camusso.  
Ma perché lo sciopero di oggi?
Stando ai proclami, “è una tappa fondamentale per la riconquista del contratto nazionale e la salvaguardia dei diritti nei luoghi di lavoro”. Nulla da obiettare: sacrosanto e legittimo diritto a manifestare e difendere le proprie idee. Ma che c’entra questo con la riforma dell’Università? Sì, perché leggendo ancora “l’appello” allo sciopero di oggi, accanto alle proteste contro il “ricatto di Marchionne”, per la “riconquista del contratto nazionale” e per la difesa dei “diritti nei luoghi di lavoro”, si contesta pure la “ logica regressiva messa in pratica dal Governo con l’attacco al diritto allo studio e alla ricerca attuato attraverso l’approvazione del DDL Gelmini e il taglio ai fondi per l’informazione e la cultura”. Dunque: che c’entra l’Università? Non c’entra nulla l’Università: è solo un arguto espediente per coinvolgere gli studenti e riempire, così, di più le piazze.
Però, tutto diventa più chiaro. Più ovvio. Anche la replica della Camusso al ministro del lavoro che, nella giornata di ieri, a proposito dello sciopero della Fiom, aveva fatto notare come “appare per molti aspetti politico, privo di quello sbocco che normalmente un’azione di sciopero si prefigge”. Impossibile dargli torto. Perché, come ha detto giustamente Sacconi, ogni sciopero “dovrebbe avere un concreto obiettivo che si vuole raggiungere. In questo caso”, ha concluso, “non vedo prospettive concrete”.
La finalità dello sciopero di oggi, evidentemente politica, la spiega Giorgio Cremaschi. Scrive oggi: “Il no della Fiom è diventato uno spartiacque sociale e politico: chi sta con Marchionne sta di là, chi sta contro Marchionne sta di qua. Così si è messo in moto un processo unitario di massa, che certo esclude i dirigenti complici di Cisl e Uil, quei sindaci e politici della sinistra che hanno perso l’anima schierandosi con Marchionne, quel mondo dell’informazione che sbatte i tacchi appena arrivano le veline dell’amministratore delegato della Fiat”. “Lo sciopero di oggi”, sintetizza Cremaschi, “è dunque costituente di un grande movimento unitario e di nuove identità politiche”. Che cosa c’è di lavoro e occupazione in questo attacco al mondo intero?
Tutto sommato, allora, ha fatto bene la Camusso a non cadere nella trappola dell’istigare tutti contro tutto. La richiesta di Landini, infatti, era solamente una provocazione. La provocazione a legittimare l’assurdità dello sciopero proclamato oggi dal vertice delle tute blu e, soprattutto, delle richieste di rappresentanza nelle fabbriche senza riconoscimento dei lavoratori. La verità è che questo sciopero non serve ai lavoratori; e questo sembra l’abbia capito anche la Camusso che, se ieri da un lato non ha abbandonato le tute blu e dall’altro ha preferito eclissare certi argomenti – lo sciopero generale – che davvero non hanno motivo di esistere oggi nella stagione delle relazioni industriali che si sta vivendo e sviluppando.
Accogliendo l’invito ad indire uno sciopero generale della confederazione, infatti, avrebbe ottenuto un solo risultato: incrinare i già difficili rapporti con gli altri Sindacati (Cisl e Uil) e, soprattutto, con le confederazioni dei datori di lavoro (prime tra tutte Confindustria e Federmeccanica). Quindi con il mondo produttivo (lavoratori e imprese). Avrebbe incitato alla lotta, insomma: ed è ciò che sta inseguendo la Fiom. Perché è alimentando lo scontro, che la Fiom tenta di riguadagnare terreno dopo la sconfitta nelle fabbriche e la bocciatura da parte dei lavoratori della Fiat. La Fiom vuole, cioè, difendere la (propria) roccaforte del potere. Potere di decidere per gli altri, alle spalle degli altri. Ma questi altri – forse la Fiom lo sta dimenticando o fa finta di dimenticarsene – questi altri non sono i “padroni”, ma i lavoratori, i precari e i disoccupati. Persone che, senza fabbriche, restano a braccia conserte.

No al blocco del traffico: “Servono misure serie e condivise da tutti, no aria fritta!”





Il Sindaco Daniela Gasparini e l’assessore Lorena Marrone hanno partecipato al Tavolo convocato dalla Regione Lombardia
Questa mattina il Sindaco Daniela Gasparini e l’assessore all’Ambiente Lorena Marrone hanno partecipato al Tavolo Istituzionale Permanente convocato dalla Regione Lombardia per l’emergenza inquinamento atmosferico.
“Aria fritta”: così il Sindaco definisce la chiusura della riunione convocata dall’assessore Marcello Raimondi. “Ho chiesto, come già in precedenza, quale ruolo la Regione intendesse giocare di fronte all’attuale situazione. Oggi manca l’identificazione di un’area omogenea per criticità ambientale, così come nel caso dell’area metropolitana milanese. Manca un’azione di coordinamento chiara per le misure da adottare in casi di emergenza sanitaria. In questi casi la Regione, proprio in base alla Legge 24, ha l’obbligo di intervenire”.
“Siamo di fronte ad una grave situazione, evidenziata dagli stessi dati Arpa – prosegue il primo cittadino cinisellese -, serve individuare con precisione le aree critiche e su queste agire a livello di sistema. E’ privo di senso il provvedimento del blocco del traffico a macchia di leopardo, in questo caso risulta essere una misura estemporanea che non va a risolvere un problema strutturale e che crea solo disagi e confusione”._ “In assenza di risposte chiare e concrete - conclude il sindaco Daniela Gasparini- occorre lanciare, insieme agli altri sindaci, un Tavolo permanente di coordinamento per adottare misure coerenti sia in ambito ambientale sia nell’ambito della mobilità e dei trasporti, temi inevitabilmente connessi fra loro. Penso ad un tavolo che abbia come obiettivo principale quello di mettere a sistema strategie e azioni comuni, riprendendo così con forza il tema del governo della città metropolitana, cosa che il Comune di Milano non sembra voler fare. Mi impegno dunque in prima persona per convocarlo”.

DOMENICA A MILANO BLOCCO DEL TRAFFICO DALLE ORE 8 ALLE 18 SU TUTTO IL TERRITORIO CITTADINO

Sesto San Giovanni -    Domenica 30 gennaio Milano blocchera' le auto. Il divieto di circolazione interessera' tutto il territorio comunale dalle 8 della mattina alle 18 del pomeriggio. Inoltre, se i valori del PM10 non dovessero rientrare al di sotto del limite, sabato 29 gennaio si arriverebbe al diciottesimo giorno consecutivo di superamento e lunedi' 31 scatterebbe allora la seconda fase del piano Aria Pulita messo a punto dall'Amministrazione comunale, che prevede, oltre al blocco domenicale e festivo, il divieto di circolazione dal lunedi' al sabato nella ZTL Ecopass dei veicoli a benzina Euro1 e Euro2, e dei veicoli diesel Euro3 e Euro4 dalle 7.30 alle 19.30. Questa fase prevede anche la riduzione di un grado del valore massimo delle temperature dell'aria nelle abitazioni e la riduzione di un'ora della durata massima giornaliera degli impianti termici. Secondo quanto riportato dal vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, da lunedi' 31 gennaio, per contribuire a ridurre la congestione sulle strade e migliorare la qualita' dell'aria, l'Amministrazione ha deciso che, alcune categorie di veicoli adibiti al trasporto cose e merci all'interno della Cerchia dei Bastioni, subiranno una modifica delle fasce orarie di accesso alla "ztl merci": meno e' inquinante un veicolo, piu' ampia e' la fascia oraria in cui puo' accedere alla ztl merci. Le nuove restrizioni riguarderanno i veicoli diesel Euro 2 e 3 e i benzina Euro 2 che non potranno piu' entrare dalle 7.30 alle 19.30 all'interno della Cerchia dei Bastioni. 

giovedì 27 gennaio 2011

Il Giorno della Memoria


Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.
Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:
« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. »

UNO STORICO CONTESTA LA LORO RIABILITAZIONE

" Non perdono i Kapo' ebrei assassini e amici dei nazi "

----------------------------------------------------------------- Uno storico contesta la loro riabilitazione "Non perdono i Kapo' ebrei assassini e amici dei nazi" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - "Come posso dimenticare? Li ricordo bene i Kapo' ebrei: picchiavano, violentavano, uccidevano, rubavano e soprattutto stavano meglio di tutti noi solo perche' avevano accettato di collaborare con i nazisti. Oggi potrei cercare di spiegare la loro scelta, ma certo non mi sento di perdonarli". Parla con un filo di voce Aharon Appelfeld. Di queste cose ha scritto nei suoi libri sull' Olocausto e raccontato a mille conferenze. Ma ogni volta tornare a discuterne significa riaprire le ferite mai cicatrizzate nella sua memoria di bambino in Romania che nel 1941, a 9 anni, vide l' assassinio della madre e decine di famigliari, il padre deportato nei campi di sterminio e la sua fuga da solo nei boschi con prostitute e ladri di cavalli. Sembra infastidito dalle dichiarazioni sui giornali israeliani di Hana Iablonka, una ricercatrice dell' universita' di Beersheva che ha appena pubblicato un lungo articolo in cui recupera la "dimensione umana" dei Kapo' e non lesina critiche ai processi intentati contro di loro nel neonato Stato di Israele degli anni Cinquanta. "Del senno di poi sono piene le fosse - reagisce Appelfeld -. Quei processi vanno inseriti nel loro contesto storico, erano trascorsi solo pochi anni dalla fine dell' Olocausto, quando la memoria dei sopravvissuti era ancora carica di scene terribili, di paura, sete di vendetta. E accadeva improvvisamente per le strade del nostro Paese di ritrovarsi davanti alcuni di coloro che nel momento piu' buio nella storia del popolo ebraico avevano coscientemente scelto di stare con i nostri carnefici. Ricordo che seguivo le scarne cronache dei loro processi dai giornali. Allora, mai mi passo' per la mente che fossero ingiusti, tutt' altro. Ma se ne scriveva poco. Erano considerati una vergogna. L' Olocausto, prima del processo Eichmann nel 1960, troneggiava su tutto Israele come un gigantesco tabu' . Era li' , onnipresente, immanente: ma pochissimi ne parlavano. E chi lo faceva, lo faceva spesso in modo distorto". Appelfeld incontra per la prima volta i Kapo' nel campo di Transinistria, in Ucraina, dove venne deportato subito dopo il massacro dei suoi cari. L' atmosfera che si respirava in casa sua, una famiglia della ricca borghesia ebraica romena, nei mesi appena precedenti la tragedia, l' ha raccontata nel romanzo forse piu' famoso, "Badenheim 1939", ambientato in una cittadina di villeggiatura tedesca nell' imminenza della Soluzione Finale. Ora spiega invece il suo terrore di allora per i collaborazionisti prima della sua fuga da Transinistria. "Non li chiamavamo Kapo' , ma solo "polizia ebraica". Collaboravano spalla a spalla con agenti ucraini, romeni e tedeschi, e quanto a crudelta' non erano da meno. Anzi, spesso erano loro ad occuparsi delle punizioni piu' severe nei nostri confronti. Avevano fatto un patto col diavolo ed erano decisi ad andare sino in fondo. Non ho mai ritenuto che fossero vittime come noi. Alla fine della guerra, venni a sapere che oltre 350.000 ebrei erano stati massacrati in quel campo". Il suo risentimento contro i Kapo' inizia invece a diminuire nei primi anni Sessanta, durante le fasi cruciali del famoso processo contro Adolf Eichmann a Gerusalemme. "Fu allora che qui in Israele cominciammo a comprendere l' Olocausto nella sua tragica interezza", afferma, su questo punto in totale accordo con le tesi della Iablonka e di larga parte della storiografia israeliana. "Ricordo le testimonianze terribili dei sopravvissuti, le loro vicissitudini personali, una diversa dall' altra e tutte tanto similmente tragiche. Di colpo l' Olocausto si individualizzava, le vittime non erano piu' una massa indistinta, bensi' assumevano un volto, un nome, un' identita' particolare". E' proprio in quel periodo che cresce il suo bisogno di scrivere. I libri di Appelfeld sono per lo piu' storie di individui posti di fronte all' imminenza della bufera: c' e' chi non la crede possibile, chi fugge, sceglie di non pensare, solo pochi cercano di combattere. "Alla fine degli anni Sessanta cercai di avvicinare alcuni ex Kapo' . Erano stati dei collaborazionisti molto minori della macchina di sterminio nazista. I pesci grossi non sono mai venuti in Israele. Eppure mi interessavano. Volevo vedere come esperienze di quel genere possano incidersi sul volto di un uomo e come avrebbero cercato di giustificare, di spiegare. Ma non ci sono mai riuscito. Scappavano. Nessuno di loro accetto' mai di parlare con me. E adesso mi sembra troppo tardi. Ma forse e' meglio cosi' , meglio dimenticare un capitolo tanto triste".
Cremonesi Lorenzo