lunedì 31 gennaio 2011
L'uovo di giornata Finalmente sappiamo cos'è Futuro e Libertà
Il Comune passa al "vendesi" Boccata di ossigeno da 400mila euro
Casse comunali rimpinguate, dopo che il Comune di Cinisello Balsamo ha alienato locali e immobili di sua proprietà: 400mila euro freschi freschi per sollevare il bilancio dai pesanti tagli da Roma
domenica 30 gennaio 2011
I pupazzi dei potenti "Gli sgommati" sbarcano in Italia ma non graffiano ancora a dovere
Nunca vi nada igual
Scritto da Davide Giacalone | |
domenica 30 gennaio 2011 | |
La risposta di Dilma Rousseff, presidente del Brasile, a Giorgio Napolitano è diplomatica nella forma e dura nel contenuto: noi brasiliani non esprimiamo giudizi sulla vostra giustizia, ma voi avete il dovere di rispettare la nostra, il mio predecessore, Lula, ha preso una decisione che condivido e voi Cesare Battisti ve lo scordate. Perché i brasiliani ci tengono tanto? Perché sfidano anche una parte della loro opinione pubblica? La risposta c’è, e se le nostre autorità avessero fatto maggiore attenzione a chi è il nuovo ministro della giustizia, se ne conoscessero la storia, si sarebbero evitati ulteriori passi falsi. C’è un filo che lega questa vicenda al modo in cui agisce la procura di Milano? C’è un legame fra l’infarto della nostra giustizia e il diniego a consegnarci un assassino? Alle due domande si deve rispondere in modo positivo. E si deve aggiungere una cosa: dietro allo scontro, fra Brasile e Italia, per la sorte di un terrorista, c’è un ricatto relativo al mondo degli affari. I giornali italiani tendono a raccontarla come una storia d’incomprensione: noi vogliamo far scontare la galera a un cittadino italiano che ha ammazzato quattro volte e loro, invece, credono sia un perseguitato politico, uno che rischia la vita, se torna qui. Le nostre autorità statali, dal governo al Presidente della Repubblica, si rivolgono alle autorità brasiliane come se fossero Calimero: scusate, siamo amici, vogliamo restarlo, ma, forse, caso mai, vi state sbagliando. Invece non si sbagliano proprio per niente, lo hanno fatto apposta. E lo hanno fatto anche per ritorsione. Così come lo hanno fatto per mandarci un segnale inequivocabile: se voi italiani pensate di venire in Brasile per fare affari, fregarci i soldi e portarveli via, avete sbagliato indirizzo, se volete continuare in quella condotta noi vi sbattiamo fuori dalla porta, per la felicità dei vostri concorrenti, e vi facciamo anche il mondiale pernacchio di tenerci un figuro come Battisti. Un ulteriore elemento significativo: l’opposizione nostrana non perde una sola occasione per attaccare il governo, e si capisce. Perché sul caso Battisti hanno soffiato nello zufolo, anziché picchiare la grancassa? Probabilmente perché hanno capito il significato del messaggio, conservando memoria delle proprie amicizie. Cerchiamo di capirlo anche noi, visto che questo giornale è stato quello che prima, meglio e più approfonditamente di altri (pubblicammo anche un libro) ne ha raccontato la radice. Ecco un fatto: il nuovo ministro della giustizia, in Brasile, si chiama José Eduardo Cardozo, e, non appena nominato, ha detto di condividere la scelta fatta dal presidente Lula, che aveva appena passato la mano al successore. E’ andato oltre, e qui sta la chiave: il 4 gennaio, giorno prima della nomina a ministro, ha pubblicato nel suo sito internet il contenuto di un’interrogazione da lui presentata, allora semplice deputato del PT (Partido dos Trabalhadores il partito di Lula), nel luglio del 2004, con la quale chiedeva lumi sul comportamento di Telecom Italia in Brasile e sulla superfatturazione imposta a Brasil Telecom nell’acquisto di una compagnia telefonica, la Crt (raccontai tutto). Centinaia di milioni di dollari volatilizzati. Ebbene, lo stesso Cardozo ricorda che la sostanza di quelle denunce fu indirizzata, per il tramite del consolato italiano di San Paolo, alla giustizia italiana, da alcuni nostri cittadini residenti in Brasile. Fra di loro Piero Marini Garavini. Lo stesso Garavini ha poi provveduto, per la seconda volta, a inviare il tutto alla procura di Milano, ma il materiale non risulta mai pervenuto. Fin qui, riferisco. Ora vi racconto quel che so direttamente. Quando fui sentito, quale parte lesa, nel corso dell’inchiesta sugli spioni che lavoravano in Telecom Italia (i quali mi avevano pedinato, intercettato, dossierato, diffamato e annientato la memoria del computer), dissi ai procuratori milanesi che parte delle informazioni in mio possesso giungevano da una persona che non ho mai conosciuto o incontrato, ma che s’indirizzava a me via mail: Piero Marini Garavini. Sa molte cose, ho potuto constatare che sono fondate, visto che siete interessati a sapere, vi conviene sentirlo. Non lo hanno mai né cercato né convocato. Apro una parentesi: non credo che per quelle faccende si farà mai giustizia. Anzi, sono sicuro, perché non può chiamarsi giustizia quella che si trascina da un decennio all’altro. Quel che avevo da dire lo dissi e nessuno ha potuto smentirmi. Per il resto, essendo una persona civile, vale per tutti la presunzione d’innocenza. Anche se, in qualche caso, sembra derivare più dall’essere presuntuosi che presunti. Chiusa parentesi. Il ministro Cardozo non è nato ieri, non è un ingenuo, e se quella pagina internet è rimasta al suo posto solo per poco tempo è segno che non ce ne voleva molto perché ne fosse colto il significato: signori italiani, piantatela di credere che noi brasiliani si sia il paese delle banane, semmai lo siete voi. Chiaro? E aggiunge: “como deputado e professor de Direito, nunca vi nada igual”. Non ve lo traduco, mi pare evidente. Il che, letto da quest’altra parte del mondo, ha anche un altro significato: la procura di Milano vive lampi d’attivismo frenetico, frugando nelle alcove, ma talora è colta da irresistibile apatia, certamente casuale. Davide Giacalone Pubblicato da Libero |
L'editoriale del NYTimes Non esiste figlio più voluto di quello dolorasamente abortito
Ross Douthat
L’industria del divertimento americana non è mai stata a suo agio con l’atto dell’aborto. I personaggi dei film o delle serie televisive possono al limite prendere in considerazione l’intervento, ma anche sui programmi più libertini ( “Mad Men” o “Sex and the City”), alla fine generalmente, quegli stessi personaggi cambiano idea piuttosto che andare fino in fondo. I programmi di reality prosperano con soggetti e scene scioccanti – gravidanze e operazioni estreme, poligami suburbani o casalinghe lesbiche a New York – ma l’aborto rimane troppo controverso, e anche un po’ troppo reale.
Questa omissione è spesso citata come una vittoria del movimento pro-life, e qualche volta forse la spiegazione non si allontana dal vero. (Film recenti come Juno o Knocked Up i quali parlano proprio di gravidanze inaspettate, tendono a far sembrare l’aborto non solo inutile ma anche repellente.) Però a guardare bene potrebbe anche trattarsi di un atteggiamento di negazione culturale: un modo per rassicurare il pubblico sul fatto che l’aborto in America è 'sicuro e legale' – e volendo usare la famosa frase di Bill Clinton – 'ma anche raro'.
Non proprio raro a dire il vero: non quando una gravidanza su cinque finisce in un aborto clinico. Di vittoria di realismo si deve parlare, allora, se si pensa alla decisione di MTV di mandare in onda al margine del suo reality show “16 and Pregnant” e “Teen Mom”, uno speciale dal nome “No easy decision” (ndt. Una decisione non facile), ove viene intervistata Markai Durham, una madre adolescente rimasta in cinta una seconda volta e che ha scelto l’aborto.
Dato che MTV è MTV, la linea dello speciale non poteva che essere pro-choice. Non sono mancate le lacrime, comunque, in qualsiasi la si veda. Durham e il suo fidanzato sono i classici giovani che la nostra cultura manda alla deriva – classe lavoratrice, sotto-scolarizzati, con debole rete di sostegno sociale, rarefatta autorità al contorno, e certamente bassa maturità sessuale che non va oltre la prescrizione facilmente negletta di utilizzare sempre il condom. La loro agonia televisiva è un caso di studio per capire quanto l’aborto possa essere considerato tanto un atto contrario alla morale e tanto e al tempo stesso, una soluzione a un problema – soprattutto quando permette di restare al di sopra della soglia di povertà e di dare a una figlia delle opportunità che i propri genitori non hanno mai avuto.
Lo spettacolo è diventato particolarmente lancinante, comunque, quando si è giustapposto con due recenti riferimenti giornalistici provenienti dal mondo della mezza età: l’infertilità del ceto medio - alto. Lo scorso mese un provocatorio articolo di Vanessa Grigoriadis “Waking Up From the Pill”, apparso sul New York magazine, suggeriva che una vita passata sotto controllo chimico delle nascite ha spinto le donne “a dimenticarsi della propria identità biologica di donna …(permettendo così) inavvertitamente, indirettamente, all’infertilità di diventare l’effetto primario da pillola.” La stessa domenica, The Times Magazine ha fornito una ancor più intima storia sulla stessa tematica, nella quale un genitore di mezz’età, la giornalista Melanie Thernstrom, ha fatto una cronaca della sua storia e di quanto le sia “costato” mettere al mondo il suo bambino: sei cicli in vitro falliti, un donatore di ovulo e due madri surrogate, oltre a una inaudita ammontare di spese.
In ogni era è esistito un tragico contrasto tra il peso di gravidanze indesiderate e il peso dell’infertilità. In passato questo divario è stato spesso più colmato dall’adozione di quanto non lo sia oggi. Prima del 1973, il 20 per cento dei nati da donne bianche non sposate, (e il 9 per cento di nascite fuori dal matrimonio nel complesso) conduceva a una adozione. Oggi solo 1 per cento dei bambini nati da madri non sposate va in adozione, e gli aspiranti genitori adottivi fronteggiano una lista d’attesa che si è allungata irragionevolmente.
Cambiamenti questi che riflettono la crescente accettazione di genitorialità singole. E’ comunque bene ricordare che alcune di queste sono il risultato dell’impatto che avuto ilcaso Roe v. Wade. Dal 1973 infatti, innumerevoli vite che avrebbero avuto la possibilità di essere accolte in famiglie come quella della Thernstrom – la quale aveva vagliato la possibilità adozione e che ha mollato causa mancanza di speranza – sono invece state interrotte in utero, tramite aborto.
La 'vita è quella che è. Nello speciale di MTV, le persone che circondavano Durham accettavano l’aborto in modo euforico. D’altronde la creatura dentro di lei altro non è che “tessuto organico.” Nei giorni successsivi l’aborto, Markai Durham ricorda che le venne consigliato di non umanizzarlo: “ Se pensi a ciò come a (una persona), corri il rischio di deprimerti.” Al contrario, “pensalo per quello che è: niente di più che un ammasso di cellule.”
Alla Durham poi trovare il modo di convivere con la situazione. Seduta accanto al suo fidanzato, poco dopo, incomincia a piangere quando ricorda che il suo fidanzato aveva chiamato l’embrione la “cosa”. Indicando la propria figlioletta, lei afferma, “Una ‘cosa’ può diventare così. Ecco quello che ricordo … Quel ‘nient’altro che un insieme di cellule’ può essere lei.”
Quando cerchi la verità, trovi la verità. La scorsa settimana il New Yorker a riportato una poesia di Kevin Young sui genitori che aspettano un figlio, all’inizio della gravidanza, mentre la madre cerca il bambino accarezzando il ventre:
The doctor trying again to find you, fragile,
fern, snowflake. Nothing.
After, my wife will say, in fear,
impatient, she went beyond her body,
this tiny room, into the ether—
... And there
it is: faint, an echo, faster and further
away than mother’s, all beat box
and fuzzy feedback. ...
Questo è il paradosso di quelli che in America non nascono. Nessuna vita è così disperatamente cercata, dopo; così golosamente desiderata; così attentamente allattata. E ciononostante, nessuna vita è così legalmente sprovvista di tutela, e così frequentemente distrutta.
(Tratto dal New York Times)
Traduzione di Edoardo Ferrazzani
La convivenza tra poeta e profeta Il rapporto di Goethe con l'islam fu rispettoso ma non certo acritico
Vito Punzi
sabato 29 gennaio 2011
Dopo Tunisia ed Egitto, sotto a chi tocca La Rivoluzione inavvertita: oggi la libertà corre sul web
STAMPA E FREENAUTES
I Freenautes sono in guerra in tutto il mondo: la libertà di espressione viene soffocata in Cina come in Egitto. Una pesante lettera di accuse al monolito della UE, più silente di un topo morto sull’annegamento dell’informazione web e telefonica in Egitto, è stata inviata alla ministra degli Esteri europea baronessa Ashton.http://www.facebook.com/album.php?aid=311672&id=540671179&l=e8da2b0c0d#!/photo.php?pid=7538813&id=540671179
Egypt a Liberal Civil Stateمصر دولة مدنية ليبرالية
Egypt, a Civil State Since in a Civil Democracy, non-liberal parties can also reach power through elections and the State will remain a Civil State.
URGENZA DI UNA NUOVA DEMOCRAZIA
Probabilmente le rivolte arriveranno anche in India e in Cina.
Siamo di fronte a un’ondata che chiede la fine degli anciens régimes ovunque. Per ottenere cosa?
In primo luogo l’uscita dallo split ideologico destra/sinistra. Questo dualismo indubbiamente esiste, ma si è cristallizzato al negativo, senza trovare una sintesi come lo yin e lo yang orientali. Ciò che serve è l’elaborazione della cultura neodemocratica, più forte delle ideologie e fautrice di maggiore sussidiarietà, semplificazione, libero mercato.
Questi temi dovrebbero essere i primi in tutti i partiti, a partire dal Pdl al governo, quindi il più esposto. Lo stallo politico rischia di appiattire il Pdl come partito nazional-conservatore. Un federalismo più compiuto di quello che si delinea potrebbe fare maggiore chiarezza, mostrando all’elettorato che l’orrore italiano è che il PD e i suoi satelliti sono i veri conservatori, pur chiamandosi “progressisti”. Poi ci sono le cifre: al di là dei conti positivi della Sanità pubblica, vi è il confronto sul costo del personale della Regione in Lombardia, Veneto e Sicilia. La Sicilia spende per il personale 1,78 miliardi di euro, contro i 202 milioni della regione Lombardia e i 151 milioni del Veneto.
E’ importante passare dal leaderismo a governi più collegiali e a una politica più orizzontale, meno oppressiva e più di rete. Ciò non significa meno capacità esecutive e più congiure di palazzo. Tutt’altro. Chi sarà capace di cogliere e dare forma alla cultura politica inavvertita che emerge in tutto il mondo tramite i netcitizens, avrà la possibilità di creare le basi per una società migliore, più libera, dinamica e ricca. Non è utopia, ma una necessità urgente.
Un premio alle pagelle da lode 240mila euro a 47 super studenti
Cinisello Balsamo, 29 gennaio 2011 – Anche quest’anno il Comune di Cinisello Balsamo premia studenti e studentesse meritevoli. E a ben guardare, spulciando l’elenco, si può ben dire che le fanciulle battono i maschietti in quanto a voti. Sono 47 le borse di studio che l’Amministrazione comunale di Cinisello ha riservato agli alunni più bravi di tutta la città. In un momento storico in cui si parla di scuola, di fondi e anche di assegni di studio (sia per il sostegno che per il merito), a Cinisello si è tenuta la premiazione durante la quale la Giunta ha riconosciuto le migliori pagelle cittadine.
All’interno delle 47 borse elargite sono comprese le quattro istituite in memoria di Monica Trapani, studentessa cinisellese vittima di un tragico episodio avvenuto entro le mura della scuola superiore che frequentava, l’Erasmo da Rotterdam di Sesto, e messe a disposizione, esclusivamente a studentesse, direttamente dai familiari che così intendono ricordare la figlia; sempre compresi nel calderone anche tre assegni di studio offerti, anche in questo caso come la tradizione degli ultimi anni vuole, dall’agenzia Sala Assicurazioni che ha sede in città e che annualmente mette a disposizione un fondo di 1.329 euro da distribuire ai più bravi studenti delle scuole medie.
Alla cerimonia a fare gli onori di casa nella Sala degli Specchi di Villa Ghrilanda, il primo cittadino cinisellese Daniela Gasparini e l’assessore alle politiche educative Natascia Magnani proprio quest’ultima ha dichiarato: «Dare riconoscimento al merito è importante, necessario per gratificare i nostri giovani studenti, alimentando, anche attraverso lo strumento delle borse di studio, la voglia di proseguire negli studi e la conoscenza». Le borse di studio riconosciute direttamente dall’amministrazione sono state così assegnate: dodici, del valore di 442,84 euro, agli studenti delle scuole medie; ventotto, del valore di 548,00 euro, agli studenti e alle studentesse delle classi della scuole secondarie di secondo grado, con una quota del 10% riservata agli studenti lavoratori.
Ecco i nomi di vincitori e vincitrici: Panizzi Stefania, Palmiotto Jessica, Cagnin Elisa e Boscaro Nadia sono le quattro studentesse delle superiori che si sono guadagnate il premio in ricordo di Monica. Gatti Gianmarco, Angarano Valentina, Ficarra Desiree, Scattarella Valeria, Carrubba Maria Letizia, Frangipane Francesca, Redaelli Lara, Di Giglio Paolo, Di Vittorio Francesca, Ramaglia Emanuele, Argenti Valentina, giuliani giulia, Miedico Pietro, Bottino Eleonora, Voto Valentina, Suriano Elisa, Di Rocco Mattia, Andrisano Barbara, Meschino Giulia, Bonella Valentina, Boussif Laaziza, Scozzari Roberta, Carrubba Antonella, Debolezza Valentina, Caruso Vittoria, Tozzi Carmen, Civarella Alessandra, Garufo Graziella sono gli studenti delle scuole superiori. Per la categoria scuole medie gli assegni sono andati a: Demirci Tugba, Rocutto Simone, Napolitano Lara, Basile Maria, Zampirollo Irene, Ramundo Alessandro, Allegretti Arianna, Sportiello Giulia, Siberna Giacomo, Fiorino Francesca, Chiereghin Silvia, Palmiotto Marco. Gli assegni di studio messi in palio da Sala sono andati a Pivotto Andrea , Funes Francisco e Yassin El Karid.
di Andrea Guerra
Le nostre strade? Sempre più sicure Ma al volante poca disciplina
Cinisello Balsamo, 29 gennaio 2011 – Anche quest’anno il Comune di Cinisello Balsamo premia studenti e studentesse meritevoli. E a ben guardare, spulciando l’elenco, si può ben dire che le fanciulle battono i maschietti in quanto a voti. Sono 47 le borse di studio che l’Amministrazione comunale di Cinisello ha riservato agli alunni più bravi di tutta la città. In un momento storico in cui si parla di scuola, di fondi e anche di assegni di studio (sia per il sostegno che per il merito), a Cinisello si è tenuta la premiazione durante la quale la Giunta ha riconosciuto le migliori pagelle cittadine.
All’interno delle 47 borse elargite sono comprese le quattro istituite in memoria di Monica Trapani, studentessa cinisellese vittima di un tragico episodio avvenuto entro le mura della scuola superiore che frequentava, l’Erasmo da Rotterdam di Sesto, e messe a disposizione, esclusivamente a studentesse, direttamente dai familiari che così intendono ricordare la figlia; sempre compresi nel calderone anche tre assegni di studio offerti, anche in questo caso come la tradizione degli ultimi anni vuole, dall’agenzia Sala Assicurazioni che ha sede in città e che annualmente mette a disposizione un fondo di 1.329 euro da distribuire ai più bravi studenti delle scuole medie.
Alla cerimonia a fare gli onori di casa nella Sala degli Specchi di Villa Ghrilanda, il primo cittadino cinisellese Daniela Gasparini e l’assessore alle politiche educative Natascia Magnani proprio quest’ultima ha dichiarato: «Dare riconoscimento al merito è importante, necessario per gratificare i nostri giovani studenti, alimentando, anche attraverso lo strumento delle borse di studio, la voglia di proseguire negli studi e la conoscenza». Le borse di studio riconosciute direttamente dall’amministrazione sono state così assegnate: dodici, del valore di 442,84 euro, agli studenti delle scuole medie; ventotto, del valore di 548,00 euro, agli studenti e alle studentesse delle classi della scuole secondarie di secondo grado, con una quota del 10% riservata agli studenti lavoratori.
Ecco i nomi di vincitori e vincitrici: Panizzi Stefania, Palmiotto Jessica, Cagnin Elisa e Boscaro Nadia sono le quattro studentesse delle superiori che si sono guadagnate il premio in ricordo di Monica. Gatti Gianmarco, Angarano Valentina, Ficarra Desiree, Scattarella Valeria, Carrubba Maria Letizia, Frangipane Francesca, Redaelli Lara, Di Giglio Paolo, Di Vittorio Francesca, Ramaglia Emanuele, Argenti Valentina, giuliani giulia, Miedico Pietro, Bottino Eleonora, Voto Valentina, Suriano Elisa, Di Rocco Mattia, Andrisano Barbara, Meschino Giulia, Bonella Valentina, Boussif Laaziza, Scozzari Roberta, Carrubba Antonella, Debolezza Valentina, Caruso Vittoria, Tozzi Carmen, Civarella Alessandra, Garufo Graziella sono gli studenti delle scuole superiori. Per la categoria scuole medie gli assegni sono andati a: Demirci Tugba, Rocutto Simone, Napolitano Lara, Basile Maria, Zampirollo Irene, Ramundo Alessandro, Allegretti Arianna, Sportiello Giulia, Siberna Giacomo, Fiorino Francesca, Chiereghin Silvia, Palmiotto Marco. Gli assegni di studio messi in palio da Sala sono andati a Pivotto Andrea , Funes Francisco e Yassin El Karid.
di Andrea Guerra
venerdì 28 gennaio 2011
Lo sciopero generale della Fiom Una Cgil spaccata dimentica che senza fabbriche c'è solo più disoccupazione
No al blocco del traffico: “Servono misure serie e condivise da tutti, no aria fritta!”
“Aria fritta”: così il Sindaco definisce la chiusura della riunione convocata dall’assessore Marcello Raimondi. “Ho chiesto, come già in precedenza, quale ruolo la Regione intendesse giocare di fronte all’attuale situazione. Oggi manca l’identificazione di un’area omogenea per criticità ambientale, così come nel caso dell’area metropolitana milanese. Manca un’azione di coordinamento chiara per le misure da adottare in casi di emergenza sanitaria. In questi casi la Regione, proprio in base alla Legge 24, ha l’obbligo di intervenire”.
“Siamo di fronte ad una grave situazione, evidenziata dagli stessi dati Arpa – prosegue il primo cittadino cinisellese -, serve individuare con precisione le aree critiche e su queste agire a livello di sistema. E’ privo di senso il provvedimento del blocco del traffico a macchia di leopardo, in questo caso risulta essere una misura estemporanea che non va a risolvere un problema strutturale e che crea solo disagi e confusione”._ “In assenza di risposte chiare e concrete - conclude il sindaco Daniela Gasparini- occorre lanciare, insieme agli altri sindaci, un Tavolo permanente di coordinamento per adottare misure coerenti sia in ambito ambientale sia nell’ambito della mobilità e dei trasporti, temi inevitabilmente connessi fra loro. Penso ad un tavolo che abbia come obiettivo principale quello di mettere a sistema strategie e azioni comuni, riprendendo così con forza il tema del governo della città metropolitana, cosa che il Comune di Milano non sembra voler fare. Mi impegno dunque in prima persona per convocarlo”.
DOMENICA A MILANO BLOCCO DEL TRAFFICO DALLE ORE 8 ALLE 18 SU TUTTO IL TERRITORIO CITTADINO
giovedì 27 gennaio 2011
Il Giorno della Memoria
« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. »UNO STORICO CONTESTA LA LORO RIABILITAZIONE" Non perdono i Kapo' ebrei assassini e amici dei nazi "----------------------------------------------------------------- Uno storico contesta la loro riabilitazione "Non perdono i Kapo' ebrei assassini e amici dei nazi" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - "Come posso dimenticare? Li ricordo bene i Kapo' ebrei: picchiavano, violentavano, uccidevano, rubavano e soprattutto stavano meglio di tutti noi solo perche' avevano accettato di collaborare con i nazisti. Oggi potrei cercare di spiegare la loro scelta, ma certo non mi sento di perdonarli". Parla con un filo di voce Aharon Appelfeld. Di queste cose ha scritto nei suoi libri sull' Olocausto e raccontato a mille conferenze. Ma ogni volta tornare a discuterne significa riaprire le ferite mai cicatrizzate nella sua memoria di bambino in Romania che nel 1941, a 9 anni, vide l' assassinio della madre e decine di famigliari, il padre deportato nei campi di sterminio e la sua fuga da solo nei boschi con prostitute e ladri di cavalli. Sembra infastidito dalle dichiarazioni sui giornali israeliani di Hana Iablonka, una ricercatrice dell' universita' di Beersheva che ha appena pubblicato un lungo articolo in cui recupera la "dimensione umana" dei Kapo' e non lesina critiche ai processi intentati contro di loro nel neonato Stato di Israele degli anni Cinquanta. "Del senno di poi sono piene le fosse - reagisce Appelfeld -. Quei processi vanno inseriti nel loro contesto storico, erano trascorsi solo pochi anni dalla fine dell' Olocausto, quando la memoria dei sopravvissuti era ancora carica di scene terribili, di paura, sete di vendetta. E accadeva improvvisamente per le strade del nostro Paese di ritrovarsi davanti alcuni di coloro che nel momento piu' buio nella storia del popolo ebraico avevano coscientemente scelto di stare con i nostri carnefici. Ricordo che seguivo le scarne cronache dei loro processi dai giornali. Allora, mai mi passo' per la mente che fossero ingiusti, tutt' altro. Ma se ne scriveva poco. Erano considerati una vergogna. L' Olocausto, prima del processo Eichmann nel 1960, troneggiava su tutto Israele come un gigantesco tabu' . Era li' , onnipresente, immanente: ma pochissimi ne parlavano. E chi lo faceva, lo faceva spesso in modo distorto". Appelfeld incontra per la prima volta i Kapo' nel campo di Transinistria, in Ucraina, dove venne deportato subito dopo il massacro dei suoi cari. L' atmosfera che si respirava in casa sua, una famiglia della ricca borghesia ebraica romena, nei mesi appena precedenti la tragedia, l' ha raccontata nel romanzo forse piu' famoso, "Badenheim 1939", ambientato in una cittadina di villeggiatura tedesca nell' imminenza della Soluzione Finale. Ora spiega invece il suo terrore di allora per i collaborazionisti prima della sua fuga da Transinistria. "Non li chiamavamo Kapo' , ma solo "polizia ebraica". Collaboravano spalla a spalla con agenti ucraini, romeni e tedeschi, e quanto a crudelta' non erano da meno. Anzi, spesso erano loro ad occuparsi delle punizioni piu' severe nei nostri confronti. Avevano fatto un patto col diavolo ed erano decisi ad andare sino in fondo. Non ho mai ritenuto che fossero vittime come noi. Alla fine della guerra, venni a sapere che oltre 350.000 ebrei erano stati massacrati in quel campo". Il suo risentimento contro i Kapo' inizia invece a diminuire nei primi anni Sessanta, durante le fasi cruciali del famoso processo contro Adolf Eichmann a Gerusalemme. "Fu allora che qui in Israele cominciammo a comprendere l' Olocausto nella sua tragica interezza", afferma, su questo punto in totale accordo con le tesi della Iablonka e di larga parte della storiografia israeliana. "Ricordo le testimonianze terribili dei sopravvissuti, le loro vicissitudini personali, una diversa dall' altra e tutte tanto similmente tragiche. Di colpo l' Olocausto si individualizzava, le vittime non erano piu' una massa indistinta, bensi' assumevano un volto, un nome, un' identita' particolare". E' proprio in quel periodo che cresce il suo bisogno di scrivere. I libri di Appelfeld sono per lo piu' storie di individui posti di fronte all' imminenza della bufera: c' e' chi non la crede possibile, chi fugge, sceglie di non pensare, solo pochi cercano di combattere. "Alla fine degli anni Sessanta cercai di avvicinare alcuni ex Kapo' . Erano stati dei collaborazionisti molto minori della macchina di sterminio nazista. I pesci grossi non sono mai venuti in Israele. Eppure mi interessavano. Volevo vedere come esperienze di quel genere possano incidersi sul volto di un uomo e come avrebbero cercato di giustificare, di spiegare. Ma non ci sono mai riuscito. Scappavano. Nessuno di loro accetto' mai di parlare con me. E adesso mi sembra troppo tardi. Ma forse e' meglio cosi' , meglio dimenticare un capitolo tanto triste". Cremonesi Lorenzo |