Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.
Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:
« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. »UNO STORICO CONTESTA LA LORO RIABILITAZIONE" Non perdono i Kapo' ebrei assassini e amici dei nazi "----------------------------------------------------------------- Uno storico contesta la loro riabilitazione "Non perdono i Kapo' ebrei assassini e amici dei nazi" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - "Come posso dimenticare? Li ricordo bene i Kapo' ebrei: picchiavano, violentavano, uccidevano, rubavano e soprattutto stavano meglio di tutti noi solo perche' avevano accettato di collaborare con i nazisti. Oggi potrei cercare di spiegare la loro scelta, ma certo non mi sento di perdonarli". Parla con un filo di voce Aharon Appelfeld. Di queste cose ha scritto nei suoi libri sull' Olocausto e raccontato a mille conferenze. Ma ogni volta tornare a discuterne significa riaprire le ferite mai cicatrizzate nella sua memoria di bambino in Romania che nel 1941, a 9 anni, vide l' assassinio della madre e decine di famigliari, il padre deportato nei campi di sterminio e la sua fuga da solo nei boschi con prostitute e ladri di cavalli. Sembra infastidito dalle dichiarazioni sui giornali israeliani di Hana Iablonka, una ricercatrice dell' universita' di Beersheva che ha appena pubblicato un lungo articolo in cui recupera la "dimensione umana" dei Kapo' e non lesina critiche ai processi intentati contro di loro nel neonato Stato di Israele degli anni Cinquanta. "Del senno di poi sono piene le fosse - reagisce Appelfeld -. Quei processi vanno inseriti nel loro contesto storico, erano trascorsi solo pochi anni dalla fine dell' Olocausto, quando la memoria dei sopravvissuti era ancora carica di scene terribili, di paura, sete di vendetta. E accadeva improvvisamente per le strade del nostro Paese di ritrovarsi davanti alcuni di coloro che nel momento piu' buio nella storia del popolo ebraico avevano coscientemente scelto di stare con i nostri carnefici. Ricordo che seguivo le scarne cronache dei loro processi dai giornali. Allora, mai mi passo' per la mente che fossero ingiusti, tutt' altro. Ma se ne scriveva poco. Erano considerati una vergogna. L' Olocausto, prima del processo Eichmann nel 1960, troneggiava su tutto Israele come un gigantesco tabu' . Era li' , onnipresente, immanente: ma pochissimi ne parlavano. E chi lo faceva, lo faceva spesso in modo distorto". Appelfeld incontra per la prima volta i Kapo' nel campo di Transinistria, in Ucraina, dove venne deportato subito dopo il massacro dei suoi cari. L' atmosfera che si respirava in casa sua, una famiglia della ricca borghesia ebraica romena, nei mesi appena precedenti la tragedia, l' ha raccontata nel romanzo forse piu' famoso, "Badenheim 1939", ambientato in una cittadina di villeggiatura tedesca nell' imminenza della Soluzione Finale. Ora spiega invece il suo terrore di allora per i collaborazionisti prima della sua fuga da Transinistria. "Non li chiamavamo Kapo' , ma solo "polizia ebraica". Collaboravano spalla a spalla con agenti ucraini, romeni e tedeschi, e quanto a crudelta' non erano da meno. Anzi, spesso erano loro ad occuparsi delle punizioni piu' severe nei nostri confronti. Avevano fatto un patto col diavolo ed erano decisi ad andare sino in fondo. Non ho mai ritenuto che fossero vittime come noi. Alla fine della guerra, venni a sapere che oltre 350.000 ebrei erano stati massacrati in quel campo". Il suo risentimento contro i Kapo' inizia invece a diminuire nei primi anni Sessanta, durante le fasi cruciali del famoso processo contro Adolf Eichmann a Gerusalemme. "Fu allora che qui in Israele cominciammo a comprendere l' Olocausto nella sua tragica interezza", afferma, su questo punto in totale accordo con le tesi della Iablonka e di larga parte della storiografia israeliana. "Ricordo le testimonianze terribili dei sopravvissuti, le loro vicissitudini personali, una diversa dall' altra e tutte tanto similmente tragiche. Di colpo l' Olocausto si individualizzava, le vittime non erano piu' una massa indistinta, bensi' assumevano un volto, un nome, un' identita' particolare". E' proprio in quel periodo che cresce il suo bisogno di scrivere. I libri di Appelfeld sono per lo piu' storie di individui posti di fronte all' imminenza della bufera: c' e' chi non la crede possibile, chi fugge, sceglie di non pensare, solo pochi cercano di combattere. "Alla fine degli anni Sessanta cercai di avvicinare alcuni ex Kapo' . Erano stati dei collaborazionisti molto minori della macchina di sterminio nazista. I pesci grossi non sono mai venuti in Israele. Eppure mi interessavano. Volevo vedere come esperienze di quel genere possano incidersi sul volto di un uomo e come avrebbero cercato di giustificare, di spiegare. Ma non ci sono mai riuscito. Scappavano. Nessuno di loro accetto' mai di parlare con me. E adesso mi sembra troppo tardi. Ma forse e' meglio cosi' , meglio dimenticare un capitolo tanto triste". Cremonesi Lorenzo |
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