Sesto San Giovanni, 20 gennaio 2011 - Era il 16 maggio del 1998 quando Silvio Berlusconi, allora leader di Forza Italia, mise piede per la prima volta in veste ufficiale sul suolo dell’ex Stalingrado d’Italia per sostenere la candidatura di un esponente del centrodestra nella città lombarda che più di tutte è simbolo del comunismo e della classe operaia. Forse in quel pomeriggio del 16 maggio, mentre era sul palco del teatro Elena a tirare l’ennesima stoccata ai comunisti, non avrebbe mai immaginato che 12 anni più tardi, proprio «Sesto la rossa» avrebbe potuto salvarlo dall’accusa di concussione.
La questione è puramente tecnico giuridica, questo è chiaro. Ma non manca di sollevare stupore e qualche ilarità in una città che ha sempre vissuto in modo dirompente il dualismo tra un glorioso passato di resistenza e di attività proletaria e un presente più moderato nel quale l’elettorato del Pdl è stato anche primo partito della città, pur rimanendo sempre all’opposizione. Oggi Berlusconi e i suoi legali si appellano a Sesto San Giovanni, perché la competenza giudiziaria dell’ex Staligrando d’Italia, che fa riferimento al tribunale di Monza, potrebbe sottrarlo all’indagine dei magistrati milanesi.
Qui a Sesto vive Pietro Ostuni, il capo di gabinetto della questura di Milano che il 27 maggio scorso ricevette la telefonata del premier che chiedeva di non mandare la marocchina Ruby in una comunità. A quanto pare, quella sera la telefonata fu ricevuta proprio nell’abitazione del funzionario e non negli uffici della questura, visto che tutto avvenne dopo le 11 della sera. «E cosa cambia? — si chiedono tra il divertito e il perplesso i sestesi Giorgio Masellis e Alessandro Vitali — In fondo un reato è un reato, se c’è. E quindi non dovrebbe avere nessuna importanza la Procura».
Un paradosso, quello della Sesto «rossa» che salverebbe Berlusconi, «più concettuale che altro — continua Giorgio —. Di certo è ridicolo che ci si appigli a questo». Parla di «ennesima scappatoia» invece Marco Riccobono, che nell’ultima via di fuga del premier non riesce a trovare nulla di divertente. Come fa invece Silvio Moldovano: «Questa coincidenza è molto divertente, ma purtroppo è la vicenda che fa ridere. E non è un bene». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Martina Paravel, che aggiunge: «È insignificante che sia Monza o Milano, se è innocente dovrà provarlo comunque». Più moderata infine Emanuela Colda: «Se è vero che è iniziato tutto a Sesto è giusto che se ne occupi Monza, anche se si tratta di un dettaglio. Quello che è certo è che la politica andrebbe separata dalle vicissitudini private».
di Rosario Palazzolo (con la collaborazione di Valentina Bertuccio D'Angelo)
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