mercoledì 30 novembre 2011

I tre stipendi del ministro Griffi Totale : 475mila euro l'anno

Corneliu Zelea Codreanu.

Tancabesti 30.11.1938 - Nacque il 13 settembre del 1889 a Iasi, piccola città della Moldavia settentrionale romena, immensa in una natura aspra e severa, da padre di origine rutena e da madre di etnia tedesca. Cornelius Zelinski, poi con il nome di battaglia, Corneliu Zelea Codreanu, all’età di undici anni entrò in una scuola militare dove ricevette un’educazione rigida e severamente religiosa. Maturò fin dall’adolescenza grande interesse per la causa nazionale. Esagerato senso dell’onore, rispetto per la gerarchia, amore per la disciplina, nazionalismo esasperato e misticismo religioso. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, anche la Romania fu scossa dalle lotte politiche tra nazionalisti di destra e comunisti. Corneliu Zelea Codreanu tentò di arruolarsi, pur non avendo ancora l’età consentita, aumentando a dismisura i sentimenti nazionalisti ai quali si aggiunsero, dopo la rivoluzione bolscevica, l’avversione all’Unione Sovietica e le comunità ebraiche della Moldavia. Si iscrisse all’Università presso la Facoltà di Giurisprudenza iniziando la carriera politica, che in quel periodo significava soprattutto scontri di piazza e azioni dimostrative. Frequentò prima, Alexandru Cuza, leader nazionalista, poi, fondò la “Guardia della Coscienza Nazionale”. Dopo alcuni studi effettuati come studente presso l’Università di Berlino e di Jena, ritornò in patria nel 1922, fondando con l’amico Cuza, la “Lega per la Difesa Cristiano – Nazionale”. Un’organizzazione molto più battagliera rispetto alla prima, basata soprattutto sulla lotta violenta contro il comunismo e gli ebrei, visti come i capi della sinistra in Romania. Infatti quando il Re, Ferdinando I, il 28 marzo del 1923, modificò la Costituzione consentendo agli ebrei di ottenere la cittadinanza romena, Corneliu Zelea Codreanu, progettò l’assassinio del politico Bratianu, fallito, poi, per un tradimento interno al gruppo. Nell’ottobre del 1923 fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Bucarest. In quel periodo sviluppò l’idea di creare la “Legione dell’Arcargelo Michele”, organizzazione paramilitare, e autoproclamandosi “Capitano” sostenendo di aver avuto una visione mistica dell’Arcangelo Michele e la convinzione della rinascita della Romania solo dopo la scomparsa degli ebrei dal paese. Al termine del periodo di reclusione, riprese intensamente l’attività politica, accettando la candidatura nella città di Focsani, senza però ottenere risultati eclatanti. Corneliu Zelea Codreanu decise di dare una drastica reimpostazione all’azione di propaganda muovendosi per le zone rurali più profonde del paese, facendo leva sui principi del cristianesimo ortodosso e sui sentimenti nazionalisti di molti contadini. Con la morte del Re Ferdinando I, il debole governo di reggenza, la denuncia della corruzione diffusa tra i politici, e soprattutto la salita al trono dell’inetto Re Carol II, nel 1930, la popolarità di Corneliu Zelea Codreanu crebbe ulteriormente tanto da diventare un eroe popolare. Al contrario, i gruppi di potere, lo guardavano con ostilità e sospetto sempre maggiore. Il 20 giugno del 1930 nacque il braccio armato della legione ossia la “Guardia di Ferro”. L’obiettivo era quello di contrastare il bolscevismo che mirava i confini dello Stato, e il capitalismo degli ebrei che controllavano la vita economica e politica del paese. Corneliu Zelea Codreanu sosteneva che bolscevismo e capitalismo erano due facce della stessa medaglia e che la rivoluzione spirituale era ancora più importante e necessaria di quella sociale per la creazione di un uomo nuovo in grado di edificare una grande Romania libera e sovrana. I legionari si impegnarono per migliorare le condizioni di vita dei contadini e degli operai, costruendo dighe, avviando raccolte di fondi, iniziando battaglie pacifiche ma anche violente. Il primo giugno del 1931 il movimento del Capitano Codreanu partecipò per la prima volta alle elezioni politiche raccogliendo soltanto poco più di quarantatremila voti e non riuscendo ad eleggere nessun deputato al Parlamento. Alle elezioni parziali, nel distretto di Neamt, invece, riuscì a farsi eleggere deputato. Nel marzo del 1932 il governo di Carol II sciolse la Guardia di Ferro, ma Corneliu Zelea Codreanu e i suoi legionari si presentarono alle elezione dell’estate dello stesso anno cogliendo il primo significativo successo elettorale e riuscendo a portare in Parlamento cinque deputati. Nonostante l’entrata in Parlamento, il Capitano Codreanu non modificò gli atteggiamenti politici della Guardia di Ferro che continuarono azioni di violenza contro gli oppositori. Il Re Carol II comprese che il movimento di Corneliu Zelea Codreanu poteva rappresentare una pericolosa alternativa al suo potere. Il 10 dicembre del 1933 il governo del Primo Ministro Duca, grazie ad una nuova Costituzione, sciolse per la seconda volta l’organizzazione paramilitare, arrestando e perseguitando miglia di legionari in tutta la Romania e costringendo Corneliu Zelea Codreanu ad agire in clandestinità. In quel periodo, il Capitano Codreanu comprese la necessità di affiancare alle Guardie di Ferro, un partito nazionalista legalizzato in grado di presentarsi alle elezioni. Tra il 1934 e il 1937 Corneliu Zelea Codreanu, impressionato dalla crescita di nuovi aderenti e dalla presa di potere della Germania nazista, tentò di accelerare la trasformazione del movimento. Il primo passo fu la creazione del partito denominato “Tutto per la Patria” dove la presidenza venne affidata all’ex Generale Gheorghe Cantacuzino. Il processo di legalizzazione si sviluppò con un maggior collegamento con il fascismo italiano e il nazismo tedesco. I fondi provenienti dall’Italia e dalla Germania, furono la carte vincente per l’elezioni che si tennero il 20 dicembre del 1937. Infatti il partito di Corneliu Zelea Codreanu ottenne il sedici per cento dei consensi e sessantasei seggi al Parlamento. Il governo fu costituito tra il partito “Nazional Cristiano”, dell’amico Alexandru Cuza, e il partito “Nazionale Contadino” di Octavian Goga. Il nuovo governo operò, in politica estera, un riavvicinamento alla Germania e all’Italia, varando una politica antisemita togliendo la nazionalità romena a quasi duecentomila ebrei. Ma il governo Goga rimase in carica per soli quarantaquattro giorni, presentando le dimissione il 10 febbraio del 1938 al Re Carol II che incaricò di formare il nuovo governo al Patriarca Miron Cristea. Dopo due giorni, con un colpo di stato, il Re Carol II istituì una dittatura reale annullando la Costituzione, sopprimendo i partiti e creando un partito unico il “Fronte della Rinascita Nazionale”. L’obiettivo era di avvicinarsi alla Francia e alla Gran Bretagna temendo che l’Ungheria, entrata nell’orbita delle potenze fasciste, poteva chiedere ed ottenere la Transilvania. Il 17 aprile del 1938, Corneliu Zelea Codreanu fu arrestato e dopo un processo sommario, condannato ad un lunghissimo periodo di detenzione con l’accusa di aver tradito la Patria in favore di potenze straniere. La repressione del movimento trovò il suo apice nel novembre dello stesso anno, quando Corneliu Zelea Codreanu, insieme ad altri tredici legionari, furono trasferiti in un nuovo penitenziario e durante il tragitto furono strangolati contemporaneamente da altrettante guardie carcerarie. I corpi furono sfigurati con sostanze acide e poi occultati in una fossa comune in aperta campagna. La versione ufficiale, diramata dalle forze governative, fu di tentata fuga collettiva messa in atto durante il trasferimento, ma le ricostruzioni successive e varie testimonianza, tra cui alcuni secondini, fu di strage premeditata. Intanto la guida della Guardia di Ferro fu affidata al nuovo leader Horia Sima, un uomo certamente poco carismatico rispetto al Capitano Codreanu, ma capace di governare brevemente il paese insieme al Generale Antonescu dal 6 settembre del 1940 al 23 gennaio del 1941. In quel periodo, Horia Sima, non fu in grado di trasformare il movimento in un partito di governo. Lo stesso Generale Antonescu, stanco ormai delle violenze interne al paese causate dalla Guardia di Ferro, decise di sciogliere e sgominare definitivamente il movimento. Molti rappresentati furono costretti a fuggire in esilio e dopo la caduta del regime di Ceausescu, fu proibita la ricostituzione dalla Costituzione romena.

Vi ricordate il metodo Di Bella? Ecco perché ne riparliamo...

Chi vive con una diagnosi di cancro è come un naufrago in cerca di un approdo sicuro le strade per raggiungere il quale sono più di una. Così nasce l’idea di questo dibattito. Vogliamo invitare i lettori a farsi un’idea, i malati a studiarsi le pubblicazioni affinchè possano trovare il loro approdo... Vai alla sezione...

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In molti casi gli ammalati erano i loro parenti. Le loro domande diventavano le mie. E le mie le loro. “Avrò fatto la scelta giusta?” “Dovevo cambiare città?” “Potevo evitare gli effetti collaterali”? La loro disperazione mi contagiava: “Perché ci sono i tumori chemioresistenti?”. “Perché qualcuno guarisce e qualcuno muore, è solo una questione di diagnosi precoce?”.
Ho trovato notizie di scoperte più o meno eclatanti e le ho segnalate sul blog, come fiori da cogliere: chi vive con una diagnosi di cancro è come un naufrago in cerca di un approdo sicuro. Non so quale sia questo approdo, sicuramente le strade per raggiungerlo sono più di una. Io ho scelto il protocollo tradizionale, dopo l’intervento e la radioterapia, ho affrontato quattro cicli di chemioterapia.
Fra i lettori più assidui del mio blog (e anche fra chi si considera guarito) ci sono molti “dibelliani”, ossia persone che hanno scelto di curarsi con il metodo Di Bella messo a punto da Luigi Di Bella negli anni ’70 e ’80 e che oggi il figlio Giuseppe continua ad applicare.
All’inizio, ammetto, ho fatto un po’ di fatica a riordinare le idee. Ricordavo una sperimentazione condotta dal Ministero della Sanità nel 1998 (il ministro era Rosy Bindi) che stabilì che queste terapie erano inefficaci. Ma continuavo a ricevere documenti e testimonianze che reclamavano la mia attenzione. Tipo: indagini dei Nas, successive alla sperimentazione, hanno dimostrato che molti farmaci furono somministrati scaduti, che in altri fu aggiunto dell’acetone e che per altri ancora vennero modificati posologie e quantità. La terapia così “alterata” fu testata su un gruppo di pazienti gravemente malati, alcuni terminali, altri all’ultimo stadio (quelli che l’oncologia tradizionale tratta con medicine palliative). Nonostante ciò è ancora viva nell’opinione pubblica l’immagine del professore dai capelli bianchi sbugiardato in televisione. Degli esiti dei Nas la gente non ricorda nulla. Molti miei colleghi, tutt’oggi, considerano l’anziano professore alla stregua di un santone. Ho visto che l’argomento “divide”, scalda gli animi – di mezzo c’è il bene più prezioso, la salute (e, ovvio, una marea di interessi economici) - e che su Facebook i dibelliani sono migliaia.
La medicina ufficiale liquidò così il metodo Di Bella. Chi avesse voluto curarsi in quel modo avrebbe dovuto pagare tutto di tasca propria. Come in una terapia alternativa lo Stato non avrebbe rimborsato un centesimo.
Tuttavia esistono fior di richieste di rimborso ordinate dai giudici . Com’è possibile? Sono centinaia i ricorsi presentati dai pazienti – guariti con la cura Di Bella e non con le chemioterapie, i trapianti di midollo o gli anticorpi monoclonali - e vinti. Carta canta come si sul dire, e infatti, i periti dei tribunali, dopo aver esaminato le cartelle mediche di questo esercito di persone hanno “condannato” lo Stato a pagar loro la cura dibelliana. Un assurdo? Giudicate voi…
Così nasce l’idea di questo dibattito. Vogliamo invitare i lettori a farsi un’idea, i malati a studiarsi le pubblicazioni (per chi non ha avuto un cancro: durante le notti insonni, quando il tarlo del cancro si divora i pensieri, si studia e si legge…), chiediamo agli stessi oncologi di intervenire.
Vi raccontiamo la storia di una donna guarita da un tumore al seno senza aver fatto l’intervento chirurgico (il suo caso è uno degli 11 guariti senza intervento e uno dei 523 tumori trattati con la terapia dibelliana, con buon esito, pubblicati su riviste scientifiche e presentati ai convegni mondiali). E vi presentiamo il parere di un oncologo tradizionale, Stefano Iacobelli, direttore della Scuola Oncologica di Roma, a cui abbiamo chiesto perché la medicina tradizionale non prende in considerazione il metodo Di Bella.
Perché? Elementare: non porta denaro alle aziende farmaceutiche.

L’aula vota più soldi agli oratori E da sinistra tuona "Peppone"

Polemica a Sesto San Giovanni. Nel bilancio altri 40mila euro, ma il Pdci non ci sta: diamoli allo sport 

Don Camillo e Peppone (foto Ansa)
Don Camillo e Peppone (foto Ansa)
Sesto San Giovanni, 30 novembre 2011 - Clericali e anticlericalicattocomunisti e comunisti veri. Un tuffonel passato tra don Camilli e onorevoli Pepponi durante una discussione che doveva essere squisitamente tecnica. Lo è stata solo all’inizio, con le cifre messe in fila dal neo assessore al Bilancio Roberto Scanagatti, che ha fatto l’elenco dei tagli subìti e di quelli da fare. Così, su oltre un milione di euro da assestare si è finiti col discutere per oltre un’ora di 40mila euro destinati agli oratori della città.
A saltare sul banco è stato il capogruppo del Pdci Andrea Scacchi. Perché, «senza nulla togliere agli oratori», sarebbe stato meglio destinare parte di quella somma al settore sportivo, guidato dal «suo» assessore Giovanni Urro. «Due settimane fa abbiamo fatto un Consiglio comunale aperto sugli impianti sportivi. Abbiamo appreso che la situazione è grave e oggi andiamo a togliere altri 23mila euro a quel settore — lamenta Scacchi —. La somma non risolve i problemi dello sport, ma dà un segnale di attenzione».
Se si mette da una parte, bisogna togliere da un’altra. Così, Scacchi propone di recuperare quei quasi 23mila euro da un capitolo di spesa che «era pari a zero ed è stato variato in aumento di 40mila euro». Vale a dire quello che riguarda gli oratori, a cui sarebbero rimasti 17mila euro. Apriti cielo. «I conti non tornano, l’emendamento è peggiorativo ed è strumentale a pochi mesi dalle elezioni» ha stigmatizzato Angelo Gerosa di Sel. «Si fa una vertenza su un capitolo storico del bilancio sestese, è paradossale» gli ha tuonato il resto della maggioranza.
«Ecco le manie elettoralistiche del consigliere Scacchi» ha fatto eco l’opposizione. In soccorso del Pdci solo il capogruppo dei Verdi Orazio La Corte: «Anch’io concordo che quella cifra debba rimanere allo sport. I soldi agli oratori sembrano una mossa di riposizionamento elettorale».
Nelle accuse reciproche di strizzare l’occhiolino al proprio bacino di voti, la maggioranza lascia così solo il Pdci, che si vede bocciare l’emendamento con percentuale bulgara. «Allo sport non abbiamo tolto fondi ma i residui non spesi. Però investiamo 100mila euro per le palestre su richiesta dell’assessore — spiega il sindaco Giorgio Oldrini —. Da sei anni gli oratori prendevano quel contributo. Stavolta non siamo riusciti a trovare sponsor e così lo abbiamo messo noi». Tagli per 110mila euro, il Comune registra 267mila euro in meno di entrate extratributarie e 645mila euro di mancati trasferimenti da Governo, Regione e Provincia, tra cui 77mila euro in meno per il sostegno affitto, 56mila per i nidi, 36mila per l’assistenza agli anziani, 81mila per le politiche sociali.


 
di Laura Lana

martedì 29 novembre 2011

Italia risorgi... uscire dall'Euro si può

Milan e Juve tolgono la maschera: parte il duello Scudetto

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VETERE RADIOMILANINTER / MILANO - “Zlatan, vi manca ancora qualcosa per essere al livello della Juve”? Fa uno strano verso Ibra, alla domanda postagli da Alessandro Alciato di Sky nell’immediato post-partita di Milan-Chievo, (...)

Paolo Rosa e Giuseppe Cortesi.

Lovere 29.11.1943 - La sera del 29 novembre del 1943 vennero uccisi a Lovere, in provincia di Bergamo, in due separati ma quasi contemporanei episodi, il notaio, Paolo Rosa ed il perito industriale, Giuseppe Cortesi. Il primo era il Podestà di Lovere, ossia il sindaco, ed il secondo il Segretario politico del ricostituito Fascio Repubblicano. I due, se pur di diverse origini, avevano in comune la dedizione alle loro funzioni per l’amor di patria riversato sul territorio in cui operavano. All’epoca, gli incarichi politici erano completamente gratuiti, e spesso sottraevano, alle rispettive famiglie, parte del loro tempo dedicate. Erano entrambi civili disarmati e, pertanto, bersagli estremamente facili da colpire. Il cinico piano comunista era stato preventivamente elaborato a tavolino da un direttivo ristretto, che trasmetteva gli ordini al braccio militare. Furono eliminare dei rappresentanti politici stimati che legittimavano con la loro adesione al Fascismo Repubblicano, la neonata Repubblica sorta dopo la dichiarazione di un torbido armistizio, lo sbando generale e l’occupazione tedesca dei mesi successivi. Il notaio Paolo Rosa, di antica famiglia loverese, padre di tre figli, aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale dove si era guadagnato ben due medaglie e poi fatto prigioniero. Nominato Podestà di Lovere, durante l’incarico, fondò la Sezione di Lovere del Club Alpino Italiano e ne diresse le prime gite, aperte a tutti. Data la competenza professionale, gli fu offerta la possibilità di trasferirsi a Roma, ma Paolo Rosa rifiutò per poter stare nel paese che amava. Questa sua personalità, oltre alla sua costante attenzione ai bisogni del territorio, gli attribuì una forte popolarità, difficile da demolire. Dopo le turbolenze successive del 25 Luglio, alcuni militanti comunisti ordinarono al notaio di togliere il distintivo del Partito Fascista, cosa che ovviamente non fece. E quando dopo pochi giorni venne costituito un comitato cittadino di pacificazione, inclusi i comunisti, tentò come sempre la riapacificazione e, alle loro larvate intimidazioni, rispose con cortese fermezza, riuscendo a calmare gli animi dei più accesi. Non era nuovo a momenti difficili, anche se di difficoltà diversa. Già al tempo dell’ascesa al potere del Fascismo aveva ricevuto una coltellata da un avversario, poi imprigionato. Così lo aspettarono la sera del 29 novembre del 1943, alle diciotto circa. Con il primo buio, la strada fu disseminata di grosse pietre con l’obiettivo di far fermare l’auto su cui viaggiava il notaio e il suo autista, di ritorno dallo studio. L’uomo fu giustiziato con un colpo di pistola alla nuca. Si diffuse l’ipocrita notizia che avevano si fermato Paolo Rosa, ma che un colpo accidentale era partito da un moschetto uccidendo per caso il notaio. In realtà a sparare fu un ragazzo disperato e incosciente, apolitico, che era scappato da casa perché aveva distrutto un’auto della ditta di trasporti di cui il padre era socio. Giuseppe Cortesi era invece di Bergamo, padre di sei figli. Aveva studiato presso la Casa dello studente, collegio fondato da Angelo Roncalli, futuro Papa, con cui aveva particolari legami. A studi ultimati, i due, intrapresero differenti strade anche se rimasero sempre in contatto. Infatti, in occasione della celebrazione del matrimonio di Giuseppe Cortesi, Mons. Roncalli scrisse una bellissima lettera. Diplomato presso l’istituto tecnico industriale con la qualifica di perito si trasferì a Lovere, trovando lavoro nello stabilimento Ilva. Fascista convinto, assunse l’importante incarico di Segretario politico, che assolse con passione cercando di risolvere i bisogni della popolazione. Versò i propri contributi per concorrere alla costruzione del Lido di Lovere, paese rivierasco di lago, dove tutti i ragazzi potevano dedicarsi e praticare gli sport d’acqua. Un giorno, avendo ricevuto quale compenso, per il disbrigo di una pratica, un pollo, decise di donarlo all’ospedale. Alla moglie si giustificò dicendo che per l’incarico che copriva, doveva essere il primo a dare il buon esempio. Sfamava la famiglia esclusivamente con le razioni della tessera annonaria di guerra. Stile peraltro sottolineato da Mons. Roncalli quando, da Istanbul, apprese la notizia della morte del caro amico, nell’accorata lettera scritta alla madre. Lo stesso giorno in cui fu ucciso, Giuseppe Cortesi aveva scritto una lettera al Prefetto per evidenziare alcuni controsensi delle razioni alimentari di guerra che spettavano ad un operaio e ad un impiegato, per parificarle. Come Paolo Rosa, godeva di pari popolarità, stima e di ammirazione. Entrambi, erano riferimento ed esempio per la popolazione e, quindi, ostacolo per il Partito Comunista clandestino che voleva trarre vantaggi dal momento di sbando generale. Bisognava uccidere, cinicamente ed ipocritamente, per poter creare uno scollamento tra la popolazione ed il partito che ne tutelava gli interessi. Così, sempre la sera del 29 novembre, la Banda di Lovere, poi denominata in Brigata Garibaldi, si divise in due gruppi principali e passò all’azione, in un paese privo di presenza militare. Quasi contemporaneamente, mentre la prima squadra provvedeva all’uccisione del notaio Paolo Rosa, la seconda, invece entrò nello stabilimento Ilva. Avevano opportunamente scelto la data di pagamento degli stipendi, e quindi pensarono bene per prima cosa di rapinare le paghe, per il cosiddetto autofinanziamento, e poi si diressero negli uffici in cerca di Giuseppe Cortesi. Comandava l’azione un ex ufficiale, reduce di Russia. Proprio in quel momento il perito era fuori stanza ma subito indicato da alcune persone. Costretto a seguirli, l’ex ufficiale svuotò tutto il caricatore della pistola sull’uomo ormai inerme e disarmato. Sottratto l’orologio dal polso, i membri della banda decisero di fare prigioniero anche un impiegato notoriamente conosciuto come fascista e ripartirono alla volta della montagna per cercare rifugio. Alla notizia dei due omicidi, ci fu una reazione militare, che portò alla cattura di tredici persone, tra cui l’ex ufficiale. Si trattava per lo più di ragazzi, ingannati e raggirati dalle promesse utopistiche del Partito Comunista, il quale rassicurava una rapida fine del conflitto grazie all’intervento degli Alleati che avevano già occupato alcune zone dell’Italia meridionale. Processati dal Tribunale Militare, con l’accusa di banditismo e di omicidio, furono tutti condannati a morte. Diversi aderenti al Partito Fascista di Lovere si adoperarono fortemente per cercare di salvare la vita ai giovani, di cui pochissimi si dichiararono comunisti e certamente non tutti colpevoli almeno allo stesso modo. Per loro non ci fu nessuna salvezza. Paolo Rosa e Giuseppe Cortesi furono i primi caduti bergamaschi della guerra civile. I primi agnelli sacrificali di un massacro che terminò solo nel giugno del 1945, quando due legionari, feriti, furono prelevati dal letto dell’ospedale, trascinati in riva al lago, uccisi e poi gettati nelle acque.

Il ritorno della lira può farci uscire dalla crisi economica

L’uscita dall’euro con un rapporto 1 a 1 avrebbe risultati molto positivi per la nostra economia, come dimostrano studi sempre più dettagliati

di Claudio borghi
E se l’euro finisse durante i botti di Capodanno? E se cominciassimo il 2012 con la nuova lira convertita internamente 1 a 1 con l’euro attuale e libera di fluttuare nei confronti delle altre valute? Vi hanno forse detto che circolano studi sempre più dettagliati sulle conseguenze di un ritorno alla lira e che molte simulazioni prospettano risultati molto positivi per l’economia da tale scelta? Vi hanno detto che la data migliore per realizzare il cambio potrebbe essere proprio quella di Capodanno, con la possibilità di chiudere le banche e congelare le transazioni per alcuni giorni, minimizzando sia le complicazioni contabili (dato che l’anno sarebbe tutto nella stessa valuta) sia i danni per la produzione dato che sarebbe semplicemente una specie di lungo ponte festivo? No, e il fatto che non se ne parli è un mistero, perché niente di tutto questo può essere fatto senza il vostro consenso.
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Facciamo un passo indietro.
Se vi dicessero che il vostro cuore è malato, che non può andare avanti molto e che le uniche due possibilità di salvezza sono il trapianto o una protesi meccanica, di certo non sprechereste un minuto, vi informereste in fretta, valutereste i pro e i contro delle diverse alternative e soprattutto la fattibilità. Se ad esempio la soluzione preferita fosse il trapianto ma non vi fosse realisticamente alcun donatore, allora sarebbe quanto meno logico prepararsi in fretta per la protesi. In Italia invece la logica sembra fare difetto. Ormai anche i più lenti fra gli economisti si stanno convincendo che la soluzione definitiva della crisi è quella che da tempo andiamo evidenziando e che passa solo da due strade: da una trasformazione della Bce che gli consenta di garantire il debito dell’Eurozona (tutto) se necessario creando moneta (con inevitabile cessione di sovranità degli Stati ad un governo centrale dell’economia), oppure con il ritorno delle valute nazionali. Dato che la soluzione inizialmente più comoda, vale a dire la garanzia Bce, non è scontata e dipende da volontà esterne (Merkel in primis che sembra non ci senta) appare assolutamente stupefacente che il dibattito attorno all’unica delle due vie d’uscita possibili interamente dipendente dalla nostra volontà, il ritorno alla lira, sia nullo. A parte qualche voce isolata e qualche articolo di giornale un po’ folcloristico nessun dibattito serio, nessun partito che esprima un opinione in proposito, nessuna informazione. Nulla di nulla. È da quest’estate, quando c’era tempo e modo per pensare ai problemi veri che proviamo a mettere la questione sul tavolo. Silenzio di tomba. Anche il premiato sito di macinatori di numeri lavoce.info ha liquidato la questione con una paginettina (una) giuridica di Pietro Manzini per dedicarsi invece a comiche disamine quali lo studio dello spread fra i titoli di Stato italiani e quelli spagnoli, roba utile come un cono gelato dato a chi sta annegando. Invece occorre pensarci, da subito, da ieri, perché almeno una cosa dovrebbe essere chiara: non si può pensare che il parlamento in carica (e tanto più il governo dei tecnici) possa assumersi l’impegno di scelte così radicali senza interpellare il popolo, o con un referendum o per via di nuove elezioni dove questi temi siano parte integrante dei programmi elettorali.
Come la pensi Monti lo sappiamo dai suoi scritti, il suo punto di arrivo è l’Europa dei tecnocrati, un superparlamento che assuma anche la guida economica e fiscale lasciando agli stati nazionali (forse) l’autonomia sui colori delle fioriere. Se questo piano piace a tutti bene così, ma se alle forze politiche fosse rimasta un po’ di spina dorsale avrebbero il dovere morale di prepararsi all’alternativa anche perché non è detto che le tattiche dilatorie funzionino ancora, i mercati potrebbero far precipitare la situazione in qualsiasi momento e poi non avremmo più autonomia decisionale.
È bene quindi che la politica informi e si informi e che si apra un dibattito serio sul ritorno alla lira senza posizioni assolutiste (tipica: «sarebbe un disastro», come se il presente fosse il paradiso) mai supportate da uno straccio di ragionamento.
Twitter: @borghi_claudio

lunedì 28 novembre 2011

Igino Mortari.Cinisello Balsamo 28.11.1947


 - La Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti” fu un corpo militare italiano, con compiti di polizia politica e militare, composto principalmente da elementi del fascismo milanese, integrati da volontari della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che operò nei territori della Repubblica Sociale Italiana e principalmente nella Provincia di Milano e nel cuneese fra il 18 marzo del 1944 ed il 27 aprile del 1945. Il reparto fu intitolato al pluridecorato eroe della Prima Guerra Mondiale, della Guerra Civile Spagnola, e della Seconda Guerra Mondiale, Ettore Muti, ucciso a Fregene il 24 agosto del 1943. Militare, aviatore e Politico Italiano, fu convinto fascista fin dagli esordi del movimento, partecipando alle azioni delle squadre d'azione, ricoprendo numerose carica tra cui quella di Segretario del Partito Nazionale Fascista. Si distinse per la sua spericolatezza in numerose operazioni militari. Fu soprannominato "Gim dagli occhi verdi". Posta alla dipendenza del Ministero degli Interni, Francesco Colombo, divenne Comandante e nominato Questore con il grado di colonnello. La Legione fu autonoma dalla Questura di Milano e dalla Polizia della Repubblica Sociale Italiana, ma l’autonomia cessava nel momento della richiesta di truppe da parte dello stato maggiore del Generale Wilhelm Tensfeld, responsabile della lotta antipartigiana nel settore nord - ovest. La Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti” fu suddivisa in due battaglioni permanenti. I volontari assunsero l'appellativo di "Arditi della Muti". Il primo, denominato “Aldo Resega”, operante a Milano e in provincia, composta da circa millecinquecento arditi. Il secondo, invece, denominato “De Angeli”, dislocato in Piemonte e nel piacentino, composto da circa ottocento arditi. A questi si affiancarono altri sette battaglioni "ausiliari" ma di limitata entità. La divisa della Legione era il completo da paracadutista, con il basco, giacca con quattro tasche senza colletto con calzoni lunghi fermati alla caviglia, scarponi bassi. Sul basco, i graduati e gli arditi portavano un grosso teschio a tibie incrociate. Le mostrine erano nere, pentagonali, decorate con un piccolo fascio littorio rosso in alto e con un teschio in basso sovrapposto a due tibie incrociate con il pugnale fra i denti. Sul braccio destro della divisa era presente lo scudetto, simbolo della Legione, composto da un fascio repubblicano sovrapposto a due pugnali incrociati, sotto al quale era riportata la scritta "Legione Autonoma E. Muti", tutto in campo azzurro. Lo stemma era di metallo verniciato per gli ufficiali, mentre era di panno colorato per i militi. A Milano la Muti era acquartierata in cinque caserme, la caserma del comando era in Via Rovello, nei locali del dopolavoro del comune. In quella struttura furono organizzati tutti i servizi, fureria, armeria e autorimessa. Presso la caserma della Legione di via Rovello fu creato un magazzino per la distribuzione di alimenti e vestiario da cui potevano attingere le famiglie più povere. In provincia le caserme di rilievo furono quelle di Monza, Melzo e Cornaredo. I caduti della Legione Muti furono circa trecentoquattordici arditi. Di cui centosessantuno uccisi fino al 26 aprile incluso, data in cui tutti i reparti si arresero e consegnarono le armi. I restanti centocinquantatre furono sommariamente fucilati e assassinati nelle convulse giornate che seguirono la caduta della Repubblica Sociale Italiana. Tra il 1946 e il 1949 furono assassinati dalla Volante Rossa quattro arditi: Bruno Sestini, Giuseppe Celpa, Felice Ghisalberti e Igino Mortari. Quest’ultimo, la sera del 27 novembre del 1947, mentre beveva un caffè in una tabaccheria di via Lomazzo, fu protagonista di una violenta lite con un gruppo di operai della Innocenti. La lite si trasformò subito in aggressione. Igino Mortari fu picchiato selvaggiamente e portato via su una jeep. Il giorno dopo, il 28 novembre del 1947, fu ritrovato cadavere in un prato, nelle vicinanze di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, con un foro di proiettile alla nuca.

E ORA NON CHIAMATELA PIU' DEMOCRAZIA di Marcello Foa

Nei giorni scorsi ho scritto per “Style”, il mensile del Giornale diretto da Marco Lombarco, un articolo sulle  conseguenze della crisi. Alla luce di quel che sta avvenendo – commissariamento dell’Italia e di molti altri Paesi europei – lo ripropongo anche sul blog.
Non chiamatela più democrazia, non in Europa perlomeno. Non conta più nulla. Ormai siamo governati da istituzioni che non hanno legittimità popolare diretta. Prendete l’Unione europea: il Parlamento continua ad essere la foglia di fico di un meccanismo decisionale talmente complesso e oscuro da non poter essere descritto in un articolo. E la Banca Centrale Europa: è indipendente dal potere politici. Più in alto ci sono il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, due organismi che dettano l’agenda al mondo, che non sono trasparenti , che nessuno può controllare, che non rispondono ad alcun autorità di controllo e  i cui dirigenti non sono eletti dal popolo, ma appartengono a circoli di potere transnazionali molto influenti e opachi, come il Bilderberg, di cui la grande stampa non parla mai se non per denunciare come cospirazionista chiunque osi sollevare qualche perplessità. Il Bilderberg è il club, per intenderci, a cui appartiene Mario Monti, e di cui fanno parte Giulio Tremonti e, a quanto pare, Mario Draghi. E’ così esclusivo e riservato che i suoi membri non ne dichiarano mai l’appartenenza.
Alla guida della Grecia hanno messo l’ex vicepresidente della Bce, che nessuno ha mai eletto, ma che appartiene a quel mondo finanziario che oggi riesce a ricattare l’Europa occidentale. La realtà è che i Paesi europei non hanno più potere: non controllano più la moneta, né la politica finanziaria, né i territori, né le frontiere; persino i Parlamenti non sono più sovrani perché possono legiferare solo sugli argomenti che non sono in contrasto con le direttive europee ovvero su quasi nulla. Oggi i capi di governo hanno le mani legate da tanti lacci sovranazionali e per questo falliscono, sia che siano di destra (Berlusconi) che di sinistra (Zapatero). E alla fine i cittadini sono costretti ad obbedire a istituzioni e a personaggi calati dall’alto che hanno tutto fuorché la legittimità popolare. Che avesse ragione Orwell?

"Vox Populi in piazza, come sempre suscita forte interesse, la cittadinanza si avvicina con entusiasmo alle nostre iniziative."

Roma, 'angelo della morte' accusato di 7 omicidi Gia' in carcere per aver ucciso una collega, ora l'accusa e' di aver provocato il decesso di sette anziani in una casa di cura romana

Gia' in carcere per aver ucciso una collega, ora l'accusa e' di aver provocato il decesso di sette anziani in una casa di cura romana
ROMA - E' Angelo Stazzi, l'infermiere gia' in carcere per l'omicidio della collega Maria Teresa Dell'Unto, il responsabile della morte di sette anziani ricoverati in una casa di cura. Lo ha stabilito il gip presso il Tribunale di Tivoli, Alfredo Bonagura, che ha emesso nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare in carcere.
'Grave ipoglicemia determinata dalla somministrazione di farmaci' la causa di morte dei sette anziani, il filo conduttore che ha guidato gli investigatori dell'Unita' delitti insoluti della Squadra Mobile di Roma, diretti da Vittorio Rizzi, a chiudere il cerchio investigativo intorno a Stazzi. Al serial killer, che oggi ha 66 anni, e' stata notificata l'ordinanza nel carcere di Regina Coeli.
    Roma, 'angelo della morte' accusato di 7 omicidi

Scritte infamanti sulla tomba di Mussolini

San Cassiano di Predappio

Un gruppo di vandali ha preso di mira il cimitero dove sono custoditi i resti del Duce
Predappio, scritte infamanti sulla tomba di Mussolini (Foto Quinto Cappelli)
Predappio, scritte infamanti sulla tomba di Mussolini (Foto Quinto Cappelli)
Predappio (Forlì Cesena), 27 novembre 2011 - La tomba di Benito Mussolini presa di mira da un gruppo di vandali. Questa mattina finistre, porte e muri del cimitero di San Cassiano di Predappio sono statI ritrovati imbrattati con scritte infamanti.
"Fascismo e clero complici corrotti", "L'unico fascista buono è quello morto" e "Fascisti assassini a morte", sono le tre frasi impresse con la vernice sulla tomba di Mussolini. A scoprirle è stato il custode, Vittorio Mughini.
La tomba è stata ripulita. Sul fatto indagano i carabinieri e gli agenti della Digos.

domenica 27 novembre 2011

Fratello Monti "è un massone.Al governo altri grembiulini"

Nel Giorno del Ringraziamento Obama si "dimentica" di Dio E subito scoppia la polemica...

Nel suo discorso al Paese per il Giorno del Ringraziamento Obama dimentica di ringraziare Dio. Nulla di male, se non fosse una festa di chiari origini cristiane. E il presidente finisce sotto l'attacco dei repubblicani. In special modo su Twitter

Obama e il tacchino del Thanksgiving

Occhio: è in arrivo la stangata di Natale Le misure approdano al Cdm il 5 dicembre

Lo shopping natalizioDopo la bacchettata del Financial Times fonti del Tesoro confermano quanto annunicato in giornata da Gianfranco Fini: il 5 dicembre la prima tranche di misure anticrisi verrà presentata nel corso del Consiglio dei Ministri. Probabilmente non saranno incluse la riforma delle pensioni e del fisco. Federconsumatori: "Per la prima volta da vent'anni le tredicesime caleranno"

sabato 26 novembre 2011

Voglia di feste, la città s’accende di luci e colori

Sesto San Giovanni: i negozianti della Rondinella hanno dato il La. Addobbata la fontana delle tartarughe

Luminarie di Natale a Sesto (Spf)
Luminarie di Natale a Sesto (Spf)
Sesto San Giovanni, 26 novembre 2011 - Anche quest'anno quest’anno i primi sono stati i commercianti della Rondinella. Una prassi, ormai, consolidata quella che porta Roberto Tentori a fare il porta a porta delle 45 botteghe del quartiere per la colletta per le luminarie. La scelta del soggetto dal brianzolo Spinelli, che da anni ormai illumina via Picardi, Giusti e un pezzo di viale Matteotti e, infine, si fa partire il contatore. «Conserviamo il nostro primato - commenta soddisfatto Tentori, rappresentante dell’associazione di via Picardi -. Siamo stati i primi a montarle e ad accenderle». Preventivo da 4.500 euro, un terzo della spesa è stato coperto dall’Unione del Commercio. «Facevamo davvero affidamento su questo contributo - confessa l’esercente -. In questo periodo di crisi, sborsare 70 euro anziché 100 fa la differenza».
Le luminarie  scelte per le tre vie sono una new entry per la Rondinella. «Abbiamo due fili di stelline, uno che si illumina a intermittenza e l’altro no. Cerchiamo di innovare, rimanendo nel solco della tradizione». Domani in via Picardi ci sarà anche la tradizionale fiera che anticipa il Natale con gli stand delle associazioni sestesi, i creativi, gli hobbisti e gli ambulanti selezionati. La vera novità la regala largo Lamarmora, il salotto di Sesto. Dodici strisce luminose con la scritta “Buone Feste” a segnare l’ingresso nel centro cittadino, per questo Natale sarà illuminata anche la fontana delle tartarughe, il simbolo della piazza.
 
«Sulla vasca abbiamo cinque cilindri e addobberemo con le luci anche dodici alberelli - annuncia Alessandro Pagano del Plaza Café -. Abbiamo voluto sperimentare qualcosa di diverso. L’anno scorso le decorazioni non erano state all’altezza delle aspettative». Colletta tra i 17 esercenti della piazzetta per 150 euro, «l’Unione ne ha messi 580, mentre a noi era rimasto un fondo cassa comune di 290 euro, raccolto per feste o altre manifestazioni», spiega Pagano. Dal 5 al 7 dicembre in largo Lamarmora arriveranno le casette di legno con i prodotti tipici enogastronomici e artigianali del Trentino. «Oltre a un contributo del 30% nei punti principali, abbiamo voluto organizzare qualcosa per animare la città - racconta Alessandro Fede Pellone, segretario dell’Unione -. Anche quest’anno avremo il Villaggio di Babbo Natale».
 
di Laura Lana

26 Novembre 2011 15° giornata nazionale della colletta alimentare

Italia risorgi... uscire dall'Euro si può

venerdì 25 novembre 2011

Viceministro? tutti dicono no: 7mila euro al mese sono pochi

Nessuno vuol fare il sottosegretario :la remunerazione di quasi 169mila euro l'anno per loro e troppo bassa...

Viceministro? Tutti dicono no: 7mila euro al mese sono pochi
Libero-news.it
E'
cute; è così difficile chiudere la partita  dei viceministri e dei sottosegretari? Sicuramente c'è da mettere d'accordo tutti. I partiti che non vogliono stare fuore dal tavolo e Monti che vuole avere l'ultima parola. In tututto dovrebbero essere una trentina e, l'accordo è che ciascuna forza politica presenterà al premier una lista di candidati papabili: dieci a testa indicati da Pd e Pdl, cinque dal terzo polo e otto tecnici scelti da Monti e dai suoi ministri. C'è certamente una questione strettamente politica, di equilibrismi, ma c'è anche un aspetto banalmente economini: lo stipendio.

A quanto pare molti candidati papabili hanno risposto picche all'offerta della poltrona di viceministro e sottosegretario perché lo stipendio è troppo basso e non gli conveniva lasciare l'attuale poltrona per occuparne una che sarà certamente prestigiosa ma - a loro avviso - poco remunerativa. Un sottosegretario guadagna 7mila euro netti al mese, quasi 169mila euro l'anno. Uno stipendio che farebbe sentire nababbi la maggioranza degli italiani che faticano ad arrivare a fine mese ma che, evidentemente, per gli insazabili della Casta non è sufficiente.
http://www.libero-news.it/news/877109/Viceministro-Tutti-dicono-no-7mila-euro-al-mese-sono-pochi.html

La casta ci fa ancora scemi taglia i vitalizi per finta

Continuano a prenderci in giro.Hanno soppresso i vitalizi d'oro degli onorevoli,ma solo degli eletti dal 2018 in poi


La Casta ci fa ancora scemi Taglia i vitalizi. Per finta
Libero-news.it
L
a Casta abolisce il vitalizio alla Casta che verrà. Il consiglio di Palazzo Madama (costituito dal presidente del Senato, dai vicepresidenti, dai questori e dai rappresentanti di tutti i gruppi) ha approvato all’unanimitàla soppressione delle pensioni d'oro dei parlamentari a partire dalla prossima legislatura. . Non poteva riguardare i senatori in carica o gli ex perchè non può incidere sui diritti acquisiti.  La scelta di Camera e Senato comporterà un risparmio diverso, anche se al momento non quantificabile, a seconda del numero di parlamentari che hanno già maturato il vitalizio che verranno  eletti alle prossime politiche: più saranno i 'nuovì più alto sarà il risparmio.   Intanto il consiglio di presidenza di Palazzo Madama ha dato mandato ai questori di definire, in collegamento con i colleghi della Camera, una proposta per il 'dopò perchè, viene spiegato, non sarebbero possibili soluzioni diverse fra le due Camere.   Più di una le ipotesi sul tappeto: una delle idee è quella di passare al sistema contributivo, equiparando di fatto il periodo dell’esercizio della funzione di senatore ( o di deputato) ad un lavoro. Ma si è pensato anche ad una rendita assicurativa. In tutt'e due i casi a versare mensilmente il danaro da destinare a questo scopo, sarebbe il singolo.   I questori di Senato e Camera hanno già avuto modo di confrontarsi e proseguiranno, dunque, a farlo per definire una proposta.
http://www.libero-news.it/news/877031/La-Casta-ci-fa-ancora-scemi-Taglia-i-vitalizi-Per-finta.html

Le due camerette degli onorevoli bimbi

Con una cravatta a stelle e strisce del Senato americano, gentilmente of­f­ertami da un senatore e malamente an­nodata su una polo, mi sono introdotto da extraparlamentare nel Parlamento

di Marcello Veneziani
Con una cravatta a stelle e strisce del Senato americano, gentilmente offertami da un senatore e malamente annodata su una polo, mi sono introdotto da extraparlamentare nel Parlamento.
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Non ci venivo da tempo. Ho trovato un clima sorprendente che ho poi ritrovato nelle dirette tv dagli emicicli: le due Camere sembrano oggi due camerette dei bambini dove vivono, giocano, fanno i compitini numerosi bimbi. Asilo politico. Da quando c’è il governo dei tecnici, hanno smesso di essere e di sentirsi l’epicentro del conflitto politico, il luogo in cui difendere o offendere il governo.
È come se avessero tolto la spina al Parlamento, sia nel senso della corrente che della spina dorsale, e fosse caduta la tensione, il sonoro, le telecamere accese. Gli onorevoli bimbi sono come in pausa pranzo o negli spogliatoi, nell’intervallo o nella simulazione. Li hanno disinnescati e ora giocano a fare i parlamentari. I tecnici, tutti rispettabili babbioni in età grave, sono i loro tutori, genitori e professori.
E loro sono ridotti al rango di alunni. Ubbidiscono, votano e si affrettano, come esigono il collegio dei professori e il preside, il professor dottor commendator Napolitano. Vedono Schifani e Fini non più come presidenti ma come capoclasse e i leader di partito come bidelli, anzi personale non docente. Inutili come i bidelli odierni, passati da inservienti a inservibili. Le aule hanno perso le scorie politiche, le tossine ad personam e ubbidiscono ai professori, salvo pochi disadattati, detti secessionisti. La Camera dei Depurati.

giovedì 24 novembre 2011

Vecchioni batte cassa: per la sua cultura chic vuole 220mila euro

Il cantautore milanese chiede un super compenso per presiedere il Forum. E i cittadini stufi degli sprechi infilzano De Magistris: stracci il contratto

Luci a San Siro, ombre al San Paolo. Roberto Vecchioni stecca proprio nella capitale della melodia: da qualche giorno sta montando la polemica sul ricco compenso che il professore-cantautore si è fatto dare per presiedere a Napoli il Forum delle Culture.

Cinisello Balsamo Maxi truffa al cimitero: dipendenti speculano sulla cremazione dei defunti

A Cinisello un addetto municipale è stato sospeso dal servizio per 5 mesi, in attesa della conclusione delle indagini. Afferma il sindaco Daniela Gasparini: "Siamo sgomenti per l'inciviltà e la disumanità di certe persone"

Cinisello Balsamo, 24 novembre 2011 - Non è sorpresa, sebbene sia sconvolta dalla disumanità dell’intera vicenda, il sindaco di Cinisello Balsamo Daniela Gasparini. «Non siamo sorpresi perché siamo venuti a conoscenza di ciò che stava accadendo già tempo fa e abbiamo offerto la massima collaborazione alle forze dell’ordine perché si possa fare piena chiarezza su tutti gli aspetti ancora oscuri di questo infimo mercato - ha affermato il primo cittadino -. Siamo invece sgomenti per l’inciviltà e la disumanità di certe persone, che non hanno esitato a speculare persino sui defunti. Per questo esprimo la mia solidarietà ai familiari di ognuno».
Poche parole che in qualche modo confermano il massimo riserbo scelto dalle forze dell’ordine e dalleistituzioni su questa vicenda che pare ancora tutta da circoscrivere. Il sindaco tiene a precisare che il municipio e tutte le persone che ci lavorano sono vittima di poche mele marce e di un sistema che non appartiene a Cinisello. Secondo quanto si è appreso solo una piccola parte dei necrofori dipendenti del Comune risulterebbecoinvolta nella vicenda.

«Ci sono persone oneste e altre che evidentemente non hanno scrupoli», afferma. A questo proposito uno degli addetti è stato sospeso per 5 mesi, in attesa della conclusione delle indagini. Proprio ieri, l’amministrazione ha anche ufficializzato lo spostamento di tutti gli uffici cimiteriali all’interno del camposanto di via Ripresi (il cimitero nuovo). Il provvedimento potrebbe essere una semplice coincidenza, tuttavia ha l’effetto di porre sottodiretto controllo le attività di cremazione che rappresentano una fonte di reddito ragguardevole per il Comune, che appena due anni fa ha raddoppiato i suoi forni offrendo il servizio a pagamento ai comuni di mezza Lombardia.
di Rosario Palazzolo

mercoledì 23 novembre 2011

Cinisello Sesto: No alla “tassa sui Cani” del governo Monti

No alla “tassa sui Cani” del governo Monti

Pasolini e Ezra Pound

Esami, ecco gli ospedali più veloci

Come accorciare i tempi di attesa per gli esami in ospedale? Basta rivolgersi a quelli più piccoli. E non prenotare una banale ecografia nei poli d'eccellenza. Le code in Lombardia sono calate del 30% negli ultimi dieci anni e, ad oggi, il 75-80% delle visite viene fatto entro un mese. Parola del direttore generale della sanità Carlo Lucchina. Per accorciare ulteriormente i tempi la Regione ha aperto il centro unico di prenotazione e porterà i medici specialisti negli studi dei medici associali per effettuare la prima visita extra ospedale. Per toccare con mano i tempi di attesa, abbiamo preso in considerazione cinque aziende ospedaliere tra le più grandi (Policlinico, Fatebenefratelli, Sacco, San Paolo, Niguarda) e abbiamo messo a confronto le code su tre esami specialistici, nella top ten di quelli più richiesti dai pazienti: mammografia, colonscopia ed elettrocardiogramma.
http://www.ilgiornale.it/milano/esami_ecco_ospedali_piu_veloci/23-11-2011/articolo-id=558370-page=0-comments=1

In nove anni ha lavorato soltanto sei giorni Arrestata una 45enne

La donna, operatrice in un'ospedale di Bologna, tra finte gravidanze e certificati di malattia non si è praticamente mai presentata al lavoro

Infermieri in un ospedale
di Chiara Sarra
In nove anni si è presentata al lavoro soltanto per 6 giorni, inviando negli altri giorni certificati di malattia o prendendo congedi di maternità pur, di fatto, non avendo avuto figli.
Per questo motivo una 45enne, dipendente dell'Azienda ospedaliero-universitaria Sant'Orsola Malpighi di Bologna, è stata messa agli arresti domiciliari dai carabinieri del Nas per truffa aggravata ai danni di enti pubblici e falso ideologico in documentazione pubblica.
L'indagine, condotta dal pm Claudio Santangelo, è stata ribattezzata Figli mai nati. Al centro del provvedimento preso dal gip di Bologna Alberto Gamberini è finita un'operatrice tecnica (con funzione di supporto assistenziale dell’ospedale) che, oltre a fare numerose assenze per continuati e prolungati periodi di malattia - sotto ulteriori indagini per scoprire se, almeno quelli, fossero reali - era mancata dal lavoro per due presunte gravidanze (la prima volta per complicanze della gestazione, la seconda per maternità obbligatoria). Ma i bambini non sono mai nati e non è certo se mai fossero stati concepiti.
Secondo l’accusa, la donna sarebbe riuscita ad ottenere con raggiri dai medici del consultorio familiare e dell’Ospedale Maggiore falsi certificati di maternità a rischio, ma non si è mai sottoposta a specifici esami diagnostici per l’accertamento dell’effettivo stato di gravidanza. In seguito avrebbe truffato anche la direzione del Policlinico ospedaliero e la direzione provinciale del Lavoro. Non solo. A febbraio 2004 e a ottobre 2009, la donna è riuscita ad ottenere falsi certificati di nascita dei figli mai nati e a ottenere i benefici di detrazione d’imposta per figli a carico, percependo indebitamente circa 33mila euro.