lunedì 31 marzo 2014

Più vittime di Al Qaeda Stati Uniti, veterani di guerra: 22 suicidi al giorno

Stati Uniti, veterani di guerra: 22 suicidi al giornoNel National Mall di Washington, giovedì scorso, c’è stata una mesta manifestazione dei veterani del gruppo IAVA (Iraq and Afghanistan Veterans of America). Sul pratone, si sono presto formate diverse file a perdita d’occhio di bandiere a stelle e strisce piantate dai convenuti. Difficile definire il raduno, a metà tra la solidarietà per i colleghi morti e la rabbia per non aver potuto fare di più per salvare le loro vite. Gli attivisti dello IAVA ne avevano portate migliaia di bandiere, e 1892 ne hanno allineate: sapevano che tanti erano stati fino a quella mattina, dal primo gennaio dell’anno, i loro ex colleghi che si erano tolti la vita per il «male oscuro» della guerra personale con la memoria, con lo stress, con se stessi. Una media di 22 suicidi al giorno, o uno ogni 65 minuti. Ma sapevano anche che, mentre loro osservavano lo sventolio di quelle 1892 bandiere commemorative, in qualche parte d’America altri veterani stavano caricando la pistola per farla finita. «È un’epidemia», aveva detto il presidente Obama parlando alla Convention dei Veterani l’estate scorsa, quando annunciò un ordine esecutivo per ampliare il finanziamento dei programmi di assistenza e prevenzione. Ma questo è un conflitto più micidiale, ormai, della vera guerra che il governo sta liquidando in Afghanistan, dopo aver chiuso in malo modo la presenza militare in Iraq. Di fatto il Paese è oggi abbandonato alle «rivincite» di Al Qaeda e del risorgente estremismo sunnita-sciita, e non vi muoiono più soldati Usa. Tra le migliaia che vi sono passati, però, centinaia crepano in patria, suicidi.

I morti tra i militari in combattimento in Afghanistan nel corso del 2013 sono stati 119, molto meno dei soldati in servizio attivo che si sono ammazzati: 301 in tutto tra membri dell’esercito (150), della Guardia nazionale (98) e dei Riservisti (53). Per anni gli uomini e le donne in divisa sono stati sottoposti alla tensione sfibrante contro i nemici veri, contro le bombe sotto il manto stradale, nei pattugliamenti per le strade di Bagdad o di Falluja o della provincia afghana di Kandahar. Poi, a casa, hanno dovuto affrontare il vuoto scavato dai loro atti di coraggio e dagli attacchi della paura per l’esperienza traumatica mai superata.
Le cifre del Pentagono parlano di circa 8000 suicidi all’anno nell’ultimo decennio, per una media quotidiana fluttuante tra i 20 e i 22 morti, confermati con agghiacciante regolarità dalla statistica del primo trimestre 2014, «fotografata» dalla esposizione delle bandiere al National Mall.
Il ministero dei veterani ha analizzato recentemente anche i dati dei suicidi sulla base dell’età delle vittime: il 69% è di persone con altre 50 anni di età, il 31% di ex militari ancora giovani, sotto i 50 anni. E il numero di chi si toglie la vita tra i soldati è maggiore nell’esercito rispetto ai marines: dal 2001 al 2012 i suicidi tra i fanti sono balzati da circa 50 a 200 all’anno, mentre tra i marines si sono mantenuti sotto le 50 unità.
Da tempo il ministero dei Veterani ha cercato di correre ai ripari, affrontando la crisi dei suicidi con iniziative concrete, come le linee verdi e un sito web che è aperto al dialogo per i reduci in preda allo sconforto. Gli sforzi si spingono a promuovere presso le famiglie dei veterani trasmissioni di informazioni sanitarie e per combattere la depressione. Il primo avversario da battere in questa battaglia è il senso di vergogna che gli ex soldati provano nel dover ammettere di avere bisogno di assistenza psicologica: «eroi» sul campo, non sono portati a riconoscere la fragilità della propria personalità. Eppure, come per i «depressi» civili, anche quelli in divisa possono salvarsi di solito solo se fanno il difficile passo di chiedere l’aiuto professionale degli psicologi e degli psichiatri specializzati nel loro «disordine».
Da quando il comandante in capo è Barack il fenomeno è riconosciuto nella sua gravità «clinica», come una malattia sociale da curare. Prima, con Bush, quando i militari erano più numerosi perché non erano oggetto delle riduzioni di investimenti bellici in uomini e armamenti che caratterizzano l’amministrazione democratica, i morti tra i reduci erano dipinti dai media come «aggressori», vittime della mentalita’ guerrafondaia del loro comandante texano. Il «suicidio» era l’autopunizione per una vita sbagliata, al servizio di un’America colpevole. Con Obama il numero totale dei morti tra i soldati in Afghanistan ha superato da tempo le 2000 unità (erano stati attorno a 550 sotto Bush) e il «male invisibile» che affligge i veterani suicidi si espande, anziché ridursi. Ma adesso la «questione» non è più «nel manico», come con George W. E per curarla c’è un governo «responsabile», che usa medici, consultori e pillole.
di Glauco Maggi
fonte 

domenica 30 marzo 2014

Il Tricolore: la nostra bandiera




Il Tricolore: la nostra bandiera









La Bandiera
Sono
la terra, i monti, i mari, il cielo e tutte le bellezze della natura che ti circondano,
l’aria che respiri,
il sangue di chi é caduto nell’adempimento di un dovere o nel raggiungimento di un ideale, per permetterti di vivere libero,
la zolla che ricopre i tuoi Morti,
la Fede, l’amore, il vibrante entusiasmo dei tuoi avi,
la fatica, l’affanno, la gioia di chi studia e di chi produce con la  mente e col braccio,
il dolore, il sudore e la struggente nostalgia degli emigranti,
la tua famiglia, la tua casa e i tuoi affetti più cari,
la speranza, la vita dei tuoi figli.
Sono la Tua Bandiera, L’Italia, la Tua Patria.
Ricordati di me, onorami, rispettami e difendimi.
Ricordati che al di sopra di ogni ideologia mi avrai
sempre unico simbolo di concordia e di fratellanza
tra gli Italiani.
Ricordati che finché apparirò libera nelle tue strade,
Tu sarai libero.
Fammi sventolare alle tue finestre, mostra a tutti
che Tu sei Italiano.

sabato 29 marzo 2014

Quando Napolitano era contro l’euro

di Giorgio Napolitano
Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo tutti consapevoli, credo, del significato e della difficoltà di questo dibattito. E’ in gioco una decisione  importante, rispetto alla quale i pareri sono discordi, mentre vengono alla luce modi diversi di concepire lo sviluppo della Comunità europea e di intendere la presenza e il ruolo dell’Italia in seno alla Comunità.
Ma, se c’è un paese in cui la discussione attorno a questi problemi, attorno ai problemi suscitati dalla proposta di accordo monetario europeo, avrebbe potuto svolgersi in termini del tutto obiettivi, senza essere alterata e deviata da contrapposizioni ideologiche e da manovre politiche, questo paese, onorevoli colleghi, è il nostro.
In Italia, infatti, tra i partiti democratici, tra le forze fondamentali della nostra società e nello spirito pubblico non circolano pregiudizi antieuropeistici; non operano né tradizioni di isolamento, più o meno splendido, dal resto dell’Europa, né presunzioni di grandezza nazionale. Le tendenze nazionalistiche, sfruttate ed esasperate dal fascismo, e quindi travolte nel suo disastro, non sono risorte, neppure come vaghe correnti di opinione, anche grazie alla linea cui si sono ispirate tutte le forze democratiche italiane.
Non è meno importante il fatto che, pur muovendo da posizioni diverse, tutte le forze politiche e sociali che si riconoscono nei valori della Costituzione, si siano via via riconosciute anche nei valori dell’europeismo democratico, liberati dalle distorsioni e dagli strumentalismi del periodo della guerra fredda; si siano riconosciute nel difficile sforzo di costruzione di un’Europa comunitaria realmente ancorata a principi di solidarietà, di progresso sociale, di cooperazione internazionale e di pace.
Che in questo sforzo si considerino pienamente impegnati tutta la sinistra e il movimento operaio – come dimostra la loro adesione senza riserve alla scelta dell’elezione diretta del Parlamento europeo – è un fatto che differenzia in non lieve misura la situazione italiana da quella inglese o francese. E’ un punto di forza per il nostro paese sul piano internazionale, un punto di forza che solo polemiche pretestuose ,ed irresponsabili possono oggi tendere ad oscurare.
Nello stesso tempo, non può non considerarsi una naturale manifestazione di vitalità democratica e di ricchezza politica e culturale la dialettica di posizioni che si esprime – nell’ambito di una comune scelta europeistica – tra diverse valutazioni dell’esperienza comunitaria e diverse concezioni dell’azione – da condurre in seno alla Comunità. La discussione attorno al progetto di sistema monetario europeo avrebbe dunque, onorevoli colleghi, potuto svolgersi in Italia in termini del tutto obiettivi. E così è stato, nel complesso, sino ad alcune settimane fa: nonostante le disparità di opinioni, si è discusso a lungo, e a più riprese, nel Parlamento e sulla stampa, tra i rappresentanti dei partiti di maggioranza ed il Governo, tra gli specialisti di ogni tendenza, all’interno del mondo economico e sindacale, entrando nel merito dei problemi, nel concreto delle proposte avanzate e delle loro implicazioni, della trattativa in corso e della linea da seguire in tale trattativa e dei risultati che via via si ottenevano.
Oggi, nella fase finale, sono affiorate e prevalse forzature di varia natura. Su di esse tornerò più avanti. Mi limito ora a rillevare che queste forzature sono venute da una parte sola, cioè da coloro che hanno premuto per l’ingresso immediato dell’Italia nel sistema monetario.
Il Presidente del Consiglio ha dato atto, nel suo discorso di ieri mattina che né prima né dopo il vertitce di Bruxelles sono state fatte verso il sistema monetario di cui stiamo discutendo eccezioni mosse da riserve europeiste o da contrarietà alla creazione di un sistema monetario come tale. Non si può, invece, negare ,che le pessioni in senso opposto le la scelta conclusiva siano state viziate da schemi e da calcoli che prescindevano da una valutazione obiettiva dei termini del problema.
Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, signor Presidente, di ripartire dalla posizione assunta da noi comunisti di fronte al vertice di Brema, di fronte alle indicazioni scaturite nel luglio scorso da quella riunione dei capi di Governo della CEE. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare lo sviluppo delle economie europe e combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Non negamno l’esigenza di realizzare, a questo fine, anche una maggiore stabilità nei cambi, non esprimemmo alcuna pregiudiziale negativa nei confronti dell’idea di un nuovo sistema monetario europeo.
Ponemmo invece il problema della relazione tra uno sforzo inteso a conseguire una maggiore stabilità nei rapporti tra le monete e lo sforzo inteso ad avvicinare le situazioni e le politiche economiche e finanziarie dei paesi della Comunità in funzione di obiettivi chiari di crescita, di riequilibrio, di progresso sociale. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui il nuovo sistema monetario europeo avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fiin dall’iniizio.
E’ un fatto, signor Presidente del Consiglio, che quindi ci riconoscemmo nelle condizioni formulate dal Governo italiano e illustrate alla Camera dal ministro del tesoro nella seduta del 10 ottobre, e valutammo via via l’andamento del negoziato in rapporto a quelle condizioni. Su di esse sembrarono concordare tutti i partiti della maggioranza; ma mentre alcuni hanno poi finito per discostarsene nei loro giudizi, è ancora ad esse che noi ciriferiamo nel valutare le conclusioni raggiunte a Bruxelles e la decisione a cui ieri è pervenuto il Presidente del Consiglio.
Consideriamo non seria – mi si consenta di dirlo – la tendenza a liquidare come problema tecnico irrilevante quello di una attenta verifica dei contenuti della risoluzione di Bruxelles del 5 dicembre per valutarne la rispondenza alle concrete esigenze poste da parte italiana. Quello delle garanzie da conseguire affinché il nuovo sistema monetario possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno della Comunità europea (e non sortire un effetto contrario), contribuire a una maggiore stabilità monetaria e ad un maggiore sviluppo su scala mondiale, è un rilevante problema politico.
Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto – cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia – “Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale, sull’avvenire e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea e sulle condizioni dei singoli paesi”.
E come condizione perché il nuovo sistema risultasse realistico e duraturo si indicò uno sforzo volto a contemperare le esigenze di rigore che un sistema di cambi deve necessariamente avere con la realtà della Comunità, che presenta situazioni fortemente differenziate; e in modo particolare si sollecitò una flessibilità del sistema tale da accompagnare senza sussulti il cammino del rientro dell’Italia verso condizioni economiche generali e, più in particolare, verso condizioni di inflazione prossime a quelle dei paesi più forti.
Gli interessi della costruzione comunitaria e gli interessi dell’Italia si sono cioè presentati come strettamente intrecciati tra loro.
Ma, ciononostante, le condizioni poste da parte itaiiana sono state in notevole misura disattese, e i rischi paventati e indicati dai nostri negoziatori e da tanti osservatori obiettivi, da tanti studiosi ed esperti, rimangono sostanzialmente in piedi.
Ella, onorevole Andreotti, ha dato invece nel suo discorso di ieri un apprezzamento largamente positivo dei risultati ottenuti, e non ha parlato più dei rischi. Ma l’apprezzamento positivo, punto per punto, strideva, me lo consenta, con il suo stesso giudizio complessivo, secondo cui la riunione di Bruxelles ha solo in parte soddisfatto le aspettative, dando l’impressione che si dimensionassero sia la suggestiva cornice di Brema, sia taluni propositi di concreta solidarietà che erano apparsi realistici nella fase preparatoria.
Inoltre, mentre su alcuni punti è apparsa corretta la valorizzazione, che noi non contestiamo, dei risultati conseguiti (la possibilità per la lira di oscillare nella misura del 6 per cento anziché del 2,25 per cento; le disponibilità di quello che poi diventerà il Fondo monetario europeo; alcuni aspetti del funzionamento dei meccanismi di credito), nella sua esposizione, onorevole Andreotti, non sono stati però presentati nella loro effettiva e cruda realtà i punti più negativi delle conclusioni di Bruxelles.
Così, per quel che riguarda gli accordi di cambio in senso stretto, si è teso quasi a far credere che si sia ottenuta una equilibrata distribuzione degli oneri di aggiustamento o, come si dice, una simmetria degli obblighi di intervento, tra paesi a moneta forte e paesi a moneta debole, in caso di allontanamento dai tassi di cambio iniziali e di avvicinamento al margine estremo di oscillazione consentito.
Ma l’ulteriore alterazione nell’ultimo vertice di Bruxelles nella formula relativa a questo aspetto essenziale dell’accordo di cambio, quella sostituzione – che può apparire innocuamente bizantina dell’avverbio “eccezionalmente” con l’espressione “in presenza di circostanze speciali”, è stata solo la conferma di una sostanziale resistenza dei paesi a moneta più forte, della Repubblica federale di Germania, e in modo particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi ed a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle monete e delle economie di paesi della Comunità.
E così venuto alla luce un equivoco di fondo, di cui le enunciazioni del consiglio di Brema sembravano promettere lo scioglimento in senso positivo e di cui, invece, l’accordo di Bruxelles ha ribadito la gravità: se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla deflazione.
E ben strano, mi si consenta, che di questo rischio, così presente nelle dichiarazioni del rappresentante del Governo il 10 ottobre alla Camera e il 26 ottobre al Senato, non si parli più nel momento in cui si propone l’adesione immediata, alle attuali condizioni, dell’Italia al sistema monetario europeo.
Non voglio ripetere le considerazioni già svolte puntualmente dal collega Spaventa sui motivi che giustificano e impongono un particolare sforzo del nostro paese per conseguire un più alto tasso di crescita, e sul rischio che invece i vincoli del sistema monetario, quale è stato congegnato, producano effetti opposti.
Ma desidero sottolineare che nulla ci è stato detto per confutare analisi come quella citata dal collega Spaventa secondo cui, di fronte ad una tendenza alla rapida svalutazione della lira rispetto al marco, che discende dallo scarto attualmente così forte tra tasso di inflazione italiano e tedesco, le regole dello SME ci possano portare ad intaccare le nostre riserve e a perdere di competitività, ovvero a richiedere di frequente una modifica del cambio, una svalutazione ufficiale e brusca della lira fino a trovarci nella necessità di adottare drastiche politiche restrittive. Il rischio è comunque quello di dissipare i risultati conseguiti negli ultimi due anni in materia di attivo della bilancia dei pagamenti e delle riserve, quei risultati di cui anche il cancelliere Schmidt, con un giudizio politicamente significativo, ha nei giorni scorsi messo in luce il valore. I1 rischio è quello di veder ristagnare la produzione, gli investimenti e l’occupazione invece di conseguire un più alto tasso di crescita; di vedere allontanarsi, invece di avvicinarsi, la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.
Questi rischi erano tanto presenti al Governo e ai suoi rappresentanti nel negoziato per il sistema monetario che essi non solo avevano richiesto garanzie – in materia di accordi di cambio – ben più consistenti di quelle che si sono ottenute, ma avevano posto, come una delle condizioni non scambiabili con altre, quella del trasferimento di risorse e dalla revisione delle politiche comunitarie in funzione dello sviluppo delle, economie meno prospere.
Si disse che andava così compensata la più rigida disciplina economica, comunque implicita nel sistema monetario, e che occorreva procedere simultaneamente nelle diverse direzioni.
Mi pare che si tentasse di evitare che quella che il Presidente dal Consiglio ha ieri definito <la suggestiva cornice di Brema>, restasse solo una cornice e per di più ridimensionata. Da questo punto di vista, le cose sono andate purtroppo nel modo più deludente – non è giusto nascondercelo – per i limiti posti sia all’ammontare dei nuovi prestiti disponibili per l’Italia e l’Irlanda, sia alla misura (non più dd 3 per cento) degli abbuoni di interesse, sia all’utilizzazione dei prestiti stessi, con l’esclusione di qualsiasi progetto per lo sviluppo industriale (per quel ci riguarda nel Mezzogiorno) e addirittura di qualsiasi progetto che alteri i termini della <<competitività di particolari industrie all’interno degli Stati membri >>.
Il problema non era per altro solo questo, ma quello del concreto avvio alla revisione e allo sviluppo di determinate politiche comunitarie; anche se ovviamente nessuno si illudeva che tale revisione potesse essere conclusa entro il 4 o il 5 dicembre. Ma contano, a questo proposito, i segni negativi che si sono avuti.
Il primo vi è stato con il rifiuto francese di aumento del fondo regionale; rifiuto che significa molte cose: negazione dell’autorità del Parlamento europeo; negazione, al limite, della necessità di una politica di riequilibrio nell’ambito della comunità, di cui il mezzogiorno d’Italia sia tra i principali beneficiari; tendenza, comunque, della Francia a sottrarsi ad un maggior impegno in questo senso.
L’altro segno negativo è costituito dal fatto che a Brema non si sia niusciti ad avviare seriamente alcun processo di revisione della politica agricola comunitaria; che non si sia preso in esame neppure il memorandum a questo scopo predisposto e preannunoiato dal presidente della Commissione Jenkins. Non si sono nemmeno avuti chiarimenti esaurienti rispetto alle preoccupazioni esposte di recente nella Commissione agricoltura del Senato da esponenti di diversi gruppi, del partito repubblicano, della democrazia cristiana, e dallo stesso ministro dell’agricoltura, per quel che riguarda le ripercussioni di un’entrata immediata dell’Italia nello SME sul sistema dei prezzi agricoli, mentre non si sono definiti finora i correttivi di cui a questo proposito si è parlato, e le ipotesi pure ventilate di svalutazione della <lira verde> sollevano intanto seri interrogativi sugli effetti inflazionistici che ne potrebbero derivare.
Il tema della politica agricola comunitaria, onorevoli colleghi, è un tema centrale; e quando si compie il bilancio di questa politica, come di tutta l’esperienzacomunitaria, non si deve indulgere a semplificazioni retoriche di stampo idilliaco.
Non si può parlare di politica agricola comunitaria solo per ricordarne il fine dichiarato di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali, e tacere sulle grandissime distorsioni che essa ha prodotto a beneficio dei paesi più ricchi a svantaggio di paesi come l’Italia, alla quale – se si calcola la differenza tra i prezzi dei prodotti CEE importati dall’Italia e quelli vigenti sul mercato internazionale – è stata addossata una tassa che da qualcuno viene calcolata (si tratta di calcoli probabilmente discutibili, ma non possediamo stime ufficiali) in 2 mila miliardi di lire.
Tornando, Signor Presidente, alle conclusioni raggiunte a Bruxelles, non c‘è dubbio che esse autorizzassero largamente la decisione, presa il 5 dicembre dal Presidente del Consiglio, non di aderire entro otto giorni, ma di riservarsi ancora sostanzialm,ente la scelta dell’adesione immediata e a tutti gli effetti oppure no.
E le valutazioni espresse nel merito dei risultati ottenuti dal ministro degli esteri e dal ministro del commercio con l’estero pubblicamente, dal ministro del tesoro in Parlamento, ed in sede tecnica dalla autorità monetaria (senza che questa per altro travalicasse i limiti della propria competenza ed invadesse il campo della autorità politica, senza che si prestasse a strumentalizzazioni né in un senso né nell’altro), queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e alla partecipazione a talune dellle operazioni previste dalla risoluzione di Bruxelles, e che escludesse l’accettazione dal 1° gennaio dei vincoli di cambio, del meccanismo del tasso di cambio, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.
Una scelta che infine esprimesse un impegno positivo e incisivo- dell’Italia per l’ulteriore confronto su tutti gli aspetti del nuovo sistema monetario e della politica complessiva di sviluppo della Comunità.
Perché non si è seguita questa strada ?
Perché non si sono raccolte le preoccupazioni e gli avvisi di prudenza che venivano da diversi settori della maggioranza e dall’interno dello stesso Governo ?
Queste preoccupazioni nascevano anche dall’esigenza finora non sodisfatta di collocare la creazione di un’area di stabilità monetaria in Europa nel più vasto quadro – ne ha parlato il collega Spaventa – di una ridefinizione dei rapporti con l’area del dollaro e di uno sforzo per giungere ad un nuovo ordine monetario internazionale e per contribuire ad una accelerazione, non ad un rallentamento, dello sviluppo economico mondiale.
Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata ? Onorevoli collleghi, su questo punto noi non possiamo ritenere che si sia fatta sufficiente chiarezza finora e ci si permetterà di contribuire alla ricerca di risposte sodisfacenti.
Parto dalle sollecitazioni e motivazioni davvero più nobili, quelle dei più ardenti fautori dell’unità europea, tra i quali il collega ed amico Altiero Spinelli. Questi amici si sono preoccupati di non contribuire, con una decisione di non ingresso immediato dell’Italia nello SME, a un parziale insuccesso di quello che appare il primo rilevante tentativo di rilancio del processo di integrazione europea dopo anni ed anni di involuzione e di crisi. Ma quello che non ci ha persuaso in tale motivazione è la tendenza ad attribuire ad un tentativo del genere, così come è concepito e congegnato, la virtù di mettere in moto una reale ripresa su basi nuove e solide dell’integrazione europea.
No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi ad una risoluzione, quella di Bruxelles, che assume i limiti ristretti della creazione di un meccanismo del tasso di cambio le cui caratteristiche rischiano per di più di creare gravi problemi ai partecipanti.
Naturalmente non sottovalutiamo la importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità e un fattore negativo per lo sviluppo del commercio intracomunitario (la crisi di questo commercio non può per altro essere ricondotta soltanto alle fluttuazioni nei cambi) è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all’interno dei singoli paesi, all’interno della Comunità europea e nelle relazioni economiche internazionali.
La verità è che forse – come si è scritto fuori d’Italia – si è finito per mettere il << carro >> di un accordo monetario davanti ai <<buoi>> di un accordo per le economie. Ed è invece proprio su questo terreno, oltre che su quello della revisione del meccanismo dei cambi in quanto tale, che occorreva continuare a premere, a discutere, a negoziare.
Ma – ci si chiede – come: stando dentro o stando fuori?
Francamente di fronte ad una domanda di questo genere noi sentiamo il bisogno di osservare – e mi scuso per l’ovvietà – che il 5 dicembre non si è creata a Bruxelles una nuova Comunità europea al posto della vecchia.
Noi continuiamo, evidentemente, qualunque sia la decisione relativa allo SME, a stare dentro tutte le istituzioni e le sedi di confronto comunitarie; possiamo anche partecipare, pur non aderendo nell’immediato al sistema monetario, a consultazioni specificamente previste dalla risoluzione di Bruxelles in materia di politiche monetarie.
Il documento approvato il 5 dicembre – e questo è un suo aspetto indubbiamente positivo – non scava alcun solco fra chi aderisce subito e chi si riserva di aderire successivamente; né credo che il nostro  ingresso immediato avrebbe avuto un effetto traumatico, quasi che dipendesse da ciB che lo SME nascesse, come ha detto ieri l’onorevole Andreotti, a sei invece che ad otto e mezzo (tanto per restare nel gergo monetario, non riesco a capire quale unità di conto abbia adoperato l’onorevole Andreotti per attribuire un peso del due e mezzo all’ingresso immediato dell’Italia nel sistema monetario).
E nostra convinzione che avremmo potuto esercitare una maggiore forza contrattuale mantenendo la nostra riserva, la nostra posizione di non ingresso immediato.
Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto)delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci negli ultimi giorni da governi amici; sembra anche che esse abbiano avuto un notevole peso nella scelta finale del Governo.
Per la verità voglio ricordare che anche qualche altra volta abbiamo ricevuto telegrammi. Ricevemmo – non è vero, ministro Marcora? – un telegramma pieno di assicurazioni dal cancelliere Schmidt anche nel maggio scorso, per invitarci a sciogliere la riserva sul negoziato per i prezzi agricoli e sul << pacchetto >> mediterraneo.
Quale seguito han. no avuto quelle assicurazioni telegrafiche ?
Anche in questa occasione più dei messaggi a fuochi spenti sarebbe valso l’accoglimento concreto di determinate istanze e proposte.
Queste sollecitazioni, comunque, confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nel sistema monetario. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando la adesione immediata allo SME, per portare avanti un serio negoziato, utilizzando le stesse scadenze previste dalla risoluzione di Bruxelles, in particolare la scadenza della revisione di determinate misure dopo sei mesi, nonché altre occasioni e scadenze, soprattutto quella della annuale trattativa di marzo sui prezzi agricoli, che va trasformata in un ben più ampio ed impegnativo negoziato sulla politica agricola nel suo complesso, partendo da proposte già elaborate in Italia dai partiti, dal Parlamento e dal Governo, per le modifiche da realizzare sia nell’immediato, sia nel medio periodo.
Si tratta, in definitiva, di muoversi in modo conseguente per una trasformazione della Comunità – a cui ci auguriamo possa contribuire anche quell’importante, primo elemento di democratizzazione che è costituito dall’elezione diretta del Parlamento europeo – che punti all’affermarsi di un nuovo modo di guardare allo sviluppo dell’economia europea, non concependo più – siamo d’accordo su questo punto fondamentale con il collega Spinelli – questo sviluppo come consolidamento delle economie più forti e come ulteriore elevamento del livello di benessere nei paesi più ricchi, ma come impegno di espansione verso le regioni più arretrate della stessa Comunità e verso i paesi di quello che veniva definito terzo mondo.
Ma se ci si vuole, onorevoli calleghi, confrontare con questi che sono i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, del ritmo e della qualità dello sviluppo, bisogna sbasrazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera dando ben altra organicità, forza e coerenza alla presenza dell’Italia nella Comunità.
Sappiamo che passa qui una linea discriminante fra diversi modi di concepire e di praticare l’impegno europeista, ma sappiamo anche che su questo punto esistono posizioni convergenti fra diversi partiti; in primo luogo, come hanno dimostrato le vicende di queste settimime e questo dibattito, tra il partito comunista ed il partito socialista, ma non salo tra essi.
Nella nostra visione – desidero ribadirlo – tutela degli interessi nazionali e impegno per il rilancio dell’integrazione europea fanno tutt’uno.
Nessuno di noi ha commentato il vertice di Bruxelles ponendo i problemi come li ha posti il primo ministro Callaghan ai Comuni, senza essere per questo accusato di golpismo.
“La semplice verità” – ha dichiarato Callaghan – “è che noi a Bruxelles abbiamo valutato i nostri interessi nazionali esattamente come altri paesi hanno valutato i loro”.
Noi non poniamo i problemi in questi termini, proprio perché siamo convinti che l’interesse ,del nostro paese, e specificamente l’interesse del nostro Mezzogiorno, coincida con la causa di uno sviluppo della Comunità su base di maggior coordinamento e integrazione delle politiche economiche e in direzione delle regioni più arretrate. Ma quella che non possiamo accettare è una posizione di rinunci a battersi per la trasformazione della Comunità e ‘dei suoi indirizzi, di sfiducia radicale nel ruolo ,del nostro paese e di utilizzazione strumentale dei nostri impegni comunitari a fini interni, quali che siano.
Da parte di alcuni esponenti del partito repubblicano si è giunti a sostenere che << l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno ad un meccanismo valutario o ad un’area di stabilità dei cambi, ma se recidere >> – dico recidere – << o meno i suoi legami con i paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico.
Ma questa è una tesi che non trova alcun riscontro obiettivo, che non poggia su atcun argomemto razionale e si colloca, invece, nel quadro di una drammatizzazione gratuita ed esasperata della scelta che era davanti al nostro paese.
Si è giunti anche a dire che, d’altra parte, noi saremmo nell’imbarazzo, perché l’europeismo dei comunisti deve ancora tradursi in atti pratici.
Ma atti pratici, coatributi pratici sul terreno europeistico ne abbiamo dati assai più di altri, in dieci anni di lavoro altamente qualificato nel Parlamento europeo, che qualunque osservatore obiettivo ha riconosciuto ed apprezzato.
Al di là di ciò già un mese fa non è mancata in qualche discorso da me personalmente ascoltato l’affermazione che il nostro paese non fosse in grado di porre alcuna condizione e che la sola speranza di salvare l’Italia da sviluppi catastrofici della crisi attuale fosse il vincolo esterno di un rigoroso meccanlsmo di cambio.
Chi sostiente questo fa un grave torto a tutte le forze democratiche italiane dimenticando prove come quella dell’autunno 1976, quando, di fronte ad una drammatica caduta della lira i partiti dell’attuale maggioranza, i partiti democratici, con la collaborazione delle forze sociali, con la collaborazione del movimento sindacale, seppero assumere impegni severi, che valsero ad evitare il peggio e permisero di conseguire quei risultati, per quanto parziali, su cui oggi possiamo fare affidamento per fronteggiare le difficoltà che ci stanno davanti.
Noi non attenuiamo minimamente – ella lo sa, onorevole Ugo La Malfa, ma io tengo a ribadirlo – il nostro giudizio sulla persistente e per certi aspetti crescente gravità degli squilibri di fondo che minano lo sviluppo economico e sociale del nostro paese. Noi non ci nascondiamo l’acutezza di problemi come quelli della produttività, del costo del lavoro, della competitività.
Concordo con le considerazioni che sono state svolte a questo proposito da altri colleghi. Non può reggere a lungo – è questa la nostra persuasione – una << via italiana >> alla competitività, basata su una svalutazione strisciante, su un alto tasso di inflazione, sull’economia sommersa e sul lavoro nero.
E – voglio aggiungere – non ci nascondiamo le difficoltà che incontra lo sforzo per trovare consensi nelle parti sociali attorno a comportamenti coerenti con le esigenze del rilancio degli investimenti, di sviluppo del Mezzogiorno e dell’occupazione e, insieme, di lotta all’inflazione.
Ma queste difficoltà non vengono solo dall’interno del movimento sindacale e lì, comunque, siamo noi che con più chiarezza e coraggio reagiamo a posizioni che consideriamo sbagliate. La si smetta, però, onorevoli colleghi, di guardare da una parte sola, senza vedere le responsabilità che altre forze si stanno assumendo (parlo di forze imprenditoriali) con i loro atteggiamenti negativi nei confronti di ogni prospettiva di programmazione e nei confronti proprio delle più qualificate proposte del movimento sindacale.
Comunque, proprio per rispondere a queste  difficoltà fu concepito il << docunento Pandolfi>>  e si assunse l’impegno del piano triennale il cui obbiettivo – non si dimentichi – deve essere la riduzione graduale del tasso di inflazione ma, insieme, il rilancio degli investimenti e della occupazione, in un contesto di rinnovata solidarietà europea.
E’ sul piano triennale che si deve realizzare il necessario severo confronto fra tutte le parti investite di responsabilità nella vita politica, economica e sociale.
Ma in quale rapporto con questo impegno così importante andava posta la questione dell’ingresso immediato o meno dell’Italia nel sistema monetario europeo ?
Condividiamo l’opinione che è stata espressa, secondo cui il confronto sul piano triennale previsto per le prossime settimane andava assunto come la necessaria preparazione ad una entrata credibile dell’Italia nel nuovo sistema, piuttosto che come insostenibile conseguenza di una entrata prematura.
Se oggi, comunque, tra i fautori dell’ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra ed il movimento operaio – eludendo la difficile strada della ricerca del consenso – dinanzi ad una sostanziale distorsione della linea ispiratrice del programma concordato tra le forze dell’attuale maggioranza, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto determinate componenti della democrazia cristiana a premere per l’ingresso immediato dell’Italia nello SME in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente ma non senza aver prodotto il danno di una irresponsabile mescolanza tra fatti di corrente e di partito e scelte altamente impegnative, sul piano internazionale e sul piano interno, per il nostro paese.
Noi attendiamo, onorevoli colleghi, le risposte del Governo – dando già ora ed essendo pronti a dare il nostro contributo costruttivo – sui problemi aperti acutamente e posti con forza dal movimento sindacale per Napoli, la Calabria ed il Mezzogiorno, problemi ormai non più prorogabili, sui temi di una politica di seria lotta all’inflazione ed alla disoccupazione sui contenuti e gli strumenti del piano triennale per la finanza pubblica e per la economia che dovrà essere presentato entro il 31 dicembre.
Anche in questo momento difficile, che vede una divisione non certo irrilevante in seno alla maggioranza, il nostro obbiettivo, la nostra scelta non è una crisi di Governo, ma il superamento delle debolezze e delle ambiguità che hanno finora caratterizzato l’azione di Governo, il rilancio della solidarietà tra i partiti della maggioranza per superare l’emergenza, per risanare l’economia italiana rinnovandola nelle sue strutture, per risanare la finanza pubblica attraverso una pratica di effettivo rigore in tutte le direzioni e garantendo una effettiva giustizia – dalla quale si continua a restare molto lontani – nella ripartizione dei sacrifici.
Dicevo all’inizio, onorevole Andreotti, che condividiamo oggi un dibattito difficile; ma nella vita di un’ampia maggioranza come quella che oggi sorregge il Governo vi sono momenti in cui si impongono la chiarezza delle rispettive posizioni e la distinzione delle responsabilità.
Questa distinzione, onorevole Presidente del Consiglio, noi non l’abbiamo ricercata. Ella ha ritenuto di dover compiere una scelta, che consideriamo rischiosa e da cui dissentiamo, e di doversi assumere una responsabilità che non ci sentiamo di condividere.
Ci auguriamo che le prossime scadenze vedano una seria ripresa dell’impegno comune dei partiti dell’attuale maggioranza a fare uscire il paese dalla crisi.
Ci guida comunque la serena coscienza di aver operato lealmente nell’interesse dell’Italia e dell’Europa
(Vivi applausi dell’estrema sinistra - congratulazioni).
Fonte: http://www.camera.it/_dati/leg07/lavori/stenografici/sed0383/sed0383.pdf


giovedì 27 marzo 2014

La rilevazione Sondaggio Datamedia: "Gli italiani vogliono la lira"

Sondaggio Datamedia: "Gli italiani vogliono la lira"

"Torniamo alla lira". Gli italiani hanno le idee chiare. L'euroscetticismo in Italia continua a sedurre gli elettori che in vista delle europee sono pronti a dare una scossa all'Ue rivendicando il ritorno alla vecchia valuta. L'istiututo di rilevazioni Datamedia ha chiesto agli italiani, per conto de il quotidiano il Tempo, se l'uscita dalla moneta unica possa rappresentare un fatto positivo. Ebbene quasi sei italiani su dieci hanno detto si. Nel dettaglio il 58,1. Un dato - come racconta il quotidiano romano - ancor più rafforzato dalla distanza tra il sì e il no, ben 22%. Ormai - si legge - la percezione diffusa è che una delle cause principali di questo malessere sia proprio la moneta unica. Insomma a quanto pare la vocazione europeista degli italiani è ormai al capolinea.

I partiti - Anche le rilevazioni per le elezioni del 25 maggio parlano chiaro. I partiti euroscettici come La Lega e Fratelli d'Italia sono in trend positivo. La Lega, sempre secondo Datamedia è al 5 per cento. Mentre Fdi continua a crescere. Se si votasse oggi. A due mesi quasi esatti dal voto solo quattro partiti supererebbero la soglia del 4%. Il Pd (fermo al 30,5%), M5s (stabile al secondo posto con il 24,0%), Forza Italia (20,5%) e la Lega (5,0%). Gli altri sarebbero fuori anche se c'è un trend positivo che riguarda due formazioni: Fratelli d'Italia e Lista Tsipras, potenzialmente in grado di arrivare oltre quota quattro. Il vento della Le Pen ora bussa alle porte dell'Italia. 

fonte

mercoledì 26 marzo 2014

Renzi pinocchio Dal premier solo promesse da marinaio. Marzo passa e le riforme non partono. Tutti i guai di Palazzo Chigi

 

Più passa il tempo, maggiori sono le possibilità che le riforme vengano impallinate. Il problema è che il tempo sta passando velocissimo anche per il «torrente impetuoso» Matteo Renzi.

E lo sbocco nella «palude» si avvicina pericolosamente per tutte le principali scelte del governo. Dall 'abolizione del Senato (per la quale si cerca un compromesso) alla riforma elettorale, (in teoria la prima), poi la riforma del titolo V (il federalismo) che dovrebbe arrivare entro il mese. Poi ci sono quelle fatte a metà. La riforma del lavoro, affidata in buona parte a un disegno di legge dai tempi lunghi e la restituzione dei debiti della Pa.
Ora la corsa contro il tempo che Renzi non può assolutamente perdere è quella per il Documento di economia e finanza. Il vero esame dell'Europa al governo Renzi - al netto dei sorrisini di scherno - sarà sul documento che contiene le previsioni su conti e crescita.
Pier Carlo Padoan al ministero dell'Economia e Carlo Cottarelli a Palazzo Chigi, stanno cercando la formula magica per evitare una brutta figura all'esecutivo.
La quadratura del cerchio è il rispetto dei vincoli europei e la copertura dell'ambizioso programma del permier, a partire dal taglio dell'Irpef da 10 miliardi. Il problema sta emergendo soprattutto sul 2014. La quota di una tantum da trovare potrebbe salire perché dalla spending review, stanno emergendo tagli al massimo per 4 miliardi per la parte che resta dell'anno, e non 5 come programmato. Il governo sta cercando di fare passare anche l'utilizzo dei risparmi di spesa dovuta al calo degli interessi sul debito pubblico. Resta invece sullo sfondo la partita per recuperare tutti i decimali di punto che separano il deficit 2014 dal 3%. Non se ne riparlerà per un po', perlomeno fino a quando da Bruxelles non sarà arrivato il «sì» al Def.
Nel documento di economia e finanza ci dovrebbero essere le previsioni di crescita : un po' più pessimistiche rispetto a quelle di Letta, che dava il Pil di quest'anno all'1%, ma meno negative rispetto a quelle di tutti gli osservatori internazionali, che accreditano, al massimo, uno 0,6%. Anche sulle previsioni del Def è in corso un braccio di ferro, ad esempio tra chi vorrebbe mantenere un profilo basso e chi invece vorrebbe azzardare un effetto positivo delle riforme approvate (ad esempio quella sul lavoro) sulla crescita.
Sugli sgravi a favore dei redditi bassi è in corso un confronto nel governo. Il ministero dell'Economia sta lavorando principalmente ai tagli delle detrazioni Irpef, come da programma. Ma in questi giorni sono emerse altre ricette. L'idea del bonus in busta paga, ipotizzata dal quotidiano Repubblica e smentita dal ministero, non farebbe parte delle ipotesi più accreditate, anche perché avrebbe un effetto paradossale: la cifra verrebbe tassata. Sicuramente costerebbe meno, ma si tradurrebbe in una riduzione drastica dell'aumento in busta paga, che passerebbe dagli 80 euro mensili annunciati a 60. È emersa anche l'ipotesi di sgravi sui contributi previdenziali, quindi un intervento centrato ancora di più sui redditi da lavoro. Poi c'è il nodo incapienti, cioè i redditi sotto gli 8 mila euro, che non avranno alcun beneficio. Palazzo Chigi vorrebbe includerli. Il bonus potrebbe andare a loro, magari in misura minore rispetto agli 80 euro per gli altri redditi, da 8 fino a 25mila euro all'anno,
Le coperture devono essere trovate a tutti i costi. Il premier Renzi si è esposto su tutti i fronti e così ieri il sottosegretario all'Economia Giovanni Legnini ieri si è affrettato a smentire le “cassandre”: «La copertura ci sarà». L'agenda è quella nota. Entro il 10 aprile il Def, che sarà portato a Bruxelles, al massimo il 30 aprile, insieme alla Piano nazionale di riforme. Il governo italiano è tenuto a spiegare a Bruxelles come intende incidere sui principali problemi del Paese. Principalmente l'alto debito pubblico e la scarsissima produttività del lavoro. Le carte che il governo cercherà di giocare sono le privatizzazioni e la riforma del lavoro. Che, però, si occupa solo di flessibilità in entrata. Gli esami per l'Italia, con buona pace del premier, sono solo cominciati. E il tempo sta passando.

fonte
 

lunedì 24 marzo 2014

Convocazione Assemblea Ordinaria Soci

Prot.n° 2/2014 Cinisello Balsamo, 19 marzo2014

A tutti i soci dell'Associazione Culturale Vox Populi

Convocazione Assemblea Ordinaria Soci

E' convocata l'Assemblea Ordinaria dei soci per il giorno 27 marzo 2014 alle ore 23,45 in Via Guardi n°50  ed in seconda convocazione presso lo stesso luogo per il giorno 31 marzo 2014 alle ore 20,45, con il seguente ordine del giorno:
·     Lettura e approvazione della Relazione del Consiglio Direttivo per l'anno 2013
·     Approvazione del Bilancio Consultivo al 31/12/2013
·     Elezione Consiglio Direttivo 2014
·     Lettura e approvazione Bilancio Preventivo per l'anno 2014
·     Varie ed eventuali.
L'assemblea sarà validamente costituita secondo le norme statutarie.
Firmato il Presidente
Antonio Spadavecchia

L'indicazione del firmatario sostituisce la firma autografa.

Si ricorda a tutti i soci che,  in base all'art.10 dello statuto vigente possono partecipare all'Assemblea, tutti i soci di cui all'art.4 che siano in regola con il versamento della quota sociale alla data della convocazione della stessa.

I documenti all'ordine del giorno saranno a disposizione dei Soci presso la sede dell'Associazione in Via Venezia 25 - Sesto S.Giovanni (Mi).
La presente comunicazione è da considerarsi a tutti gli effetti quale "convocazione", ed è resa pubblica tramite invio di posta elettronica ed il sito web dell'Associazione, che ne è il mezzo di comunicazione ufficiale.

Per una migliore organizzazione è richiesta la conferma della presenza entro il 26 marzo c.m.

Se eri un bambino negli anni '50 '60 '70 '80 DEVI LEGGERE!!!

lo-skateboard-a-new-york-negli-anni-60-7.jpeg?w=640&h=4201.- Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né airbag…
2.- Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una passeggiata speciale e ancora ne serbiamo il ricordo...
3.- Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con vernici a base di piombo.
4.- Non avevamo chiusure di sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle porte.
5.- Quando andavamo in bicicletta non portavamo il casco.
6.- Bevevamo l’acqua dal tubo del giardino invece che dalla bottiglia dell’acqua minerale…
7.- Trascorrevamo ore ed ore costruendoci carretti a rotelle ed i fortunati che avevano strade in discesa si lanciavano e, a metà corsa, ricordavano di non avere freni. Dopo vari scontri contro i cespugli, imparammo a risolvere il problema. Sì, noi ci scontravamo con cespugli, non con auto!
8.- Uscivamo a giocare con l’unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari… cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile….
9.- La scuola durava fino alla mezza, poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con il papà).
10.- Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente, e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.
11.- Mangiavamo biscotti, pane olio e sale, pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di sovrappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare…
12.- Condividevamo una bibita in quattro… bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.

13.- Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi , televisione via cavo con 99 canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari personali, computer, chatroom su Internet … Avevamo invece tanti AMICI.
14.- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell’amico, suonavamo il campanello o semplicemente entravamo senza bussare e lui era lì e uscivamo a giocare.
15.- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non andavano dallo psicologo per il trauma.
16.- Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicologo, dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né d’iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno.
17.- Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità … e imparavamo a gestirli.


La grande domanda allora è questa: Come abbiamo fatto a sopravvivere? E a crescere e diventare grandi?

Se appartieni a questa generazione, condividi questo link con i tuoi conoscenti della tua stessa generazione…. e anche con gente più giovane perché sappiano come eravamo noi prima!

(Paulo Coelho) 

fonte

domenica 23 marzo 2014

Occhio ai conti Allarme Bancomat: dall'8 aprile a rischio il 95% dei prelievi


Allarme Bancomat: dall'8 aprile a rischio il 95% dei prelievi

A rischio tutti i vostri prelievi bancomat. A partire dal prossimo 8 aprile Microsoft smetterà di fornire i supporti per l'aggiornamento e la protezione di Windows XP, il sistema operativo nato nel 2001 e più diffuso al mondo. Secondo il Financial Times tutti coloro che ancora utilizzano il sistema Windows XP, tra cui il 95% dei bancomat e circa il 40% dei pc, rischiano di subire gli attacchi degli hacker e dei virus. Windows XP risale alla fine del 2001 ed è il sistema operativo più diffuso ed usato al mondo. Secondo i dati del gruppo di ricerca Netmarketshare, circa il 40% dei personal computer usano ancora Windows XP. Ma oltre ai PC, Windows XP è ancora il sistema operativo più utilizzato per il funzionamento dei bancomat e di alcuni dispostivi Pos. Inoltre, anche molti dispositivi medici girano con Windows XP.

Allarme bancomat - Il Financial Time avverte quindi che la maggioranza delle aziende sta ancora oggi rimandando il costoso, nonché complesso, sistema di aggiornamento, anche perché in alcuni casi non basterà installare Windows 8.1, poiché gran parte dei vecchi computer con Windows XP non hanno i requisiti di sistema3 necessari per l'installazione dell'ultima versione del sistema operativo di Microsoft. Inoltre, molti sistemi informatici sono compatibili solo con Windows XP. L'unica soluzione al problema l'ha proposta la stessa Microsoft prolungando fino a luglio 2015 il supporto del suo sistema Antivirus Security Essentials per le banche.

Il rischio - Una soluzione che tutelerà i circuiti bancari ma che non mette del tutto a riparo chi preleva alle casse elettroniche con un bancomat. Sembra che solo un terzo dei dispositivi riuscirà ad essere aggiornato (e quindi sicuro) prima dell'8 aprile 2014. Timothy Rains, direttore dell'area Trustworthy Computing di Microsoft,comunque lancia l'allarme e afferma che c'è il "100%" delle possibilità che gli hacker riescano ad individuare i punti deboli di Windows XP partendo dagli aggiornamenti di Windows Vista, Windows 7 e Windows 8. Insomma dall'8 aprile fate molta attenzione al bancomat. Nell'attesa che vengano aggiornati i sistemi andate a prelevare il contante direttamente allo sportello.

fonte

sabato 22 marzo 2014

Anticipazioni di Giass Luca e Paolo imitano i marò e sul web si scatena la polemica

Luca e Paolo imitano i marò e sul web si scatena la polemica
Un botta e risposta di fuoco. Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu sono al centro delle polemiche degli utenti di twitter per alcune foto che hanno pubblicato sui loro profili. Mentre stavano facendo le prove del loro nuovo programma Giass, i due comici hanno pubblicato alcune anticipazioni della prossima puntata - come avevano fatto anche per l'imitazione di Laura Boldrini. Questa volta Luca e Paolo imiteranno i nostri due marò detenuti in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, e nelle foto i due comici compaiono in divisa. Per chi avesse ancora dubbi, le fotografie sono accompagnate dalla frase "...nel frattempo, a Nuova Delhi...".


Le polemiche - Gli scatti pubblicati dal duo comico sui social hanno subito scatenato l'ira sul web. Tra le numerose risposte si legge anche: "Dovete solo vergognarvi". A questo tweet Luca Bizzarri ha risposto chiedendo di cosa si dovesse vergognare e un utente ha risposto "A prendere in giro due uomini che rischiano la vita e non vedono da mesi le proprie famiglie. Penso ci sia poco da ridere".
fonte

venerdì 21 marzo 2014

Lettera aperta a Vladimir Vladimirovič Putin

Caro Signor Putin,
sei uno dei pochi Presidenti che ancora può vantare un Popolo Sovrano con diritto di coniare la propria moneta e di tenere distanti le mani della Bilderberg dal proprio Paese.
E’ vero, non sei proprio una persona buona come il nostro Papa Francesco, hai un passato nei servizi segreti del KGB dove, a quanto si dice, eri uno zelante esecutore di ordini, non permetti il “politicamente corretto”, Ti ostini a giudicare i gay dei pervertiti scherzi di natura ed i mussulmani un pericolo contro la Civiltà, non sei Massone, non godi della simpatia delle Grandi Casate, ma tuttavia, “malgrado ciò” sei la persona più adatta al Tuo Popolo – insomma hai le palle! -.
Per favore, evita la guerra con l’Europa e gli USA, non lasciarTi vincere dalle loro provocazioni, dalle loro risibili sanzioni (Tu hai più ricchezze e risorse di quei due messi assieme!). So che non posso chiederTi di lasciare la Crimea all’Europa, dopo che i risultati del Referendum hanno sancito col 96% la Riunione alla madre Russia (dopo che Kruscev l’aveva regalata all’Ucraina nel ’54, quando entrambe facevano parte della Repubblica Sovietica). Lo so, Ti dicono che questo Referendum è inammissibile, e certamente, almeno da noi è improponibile … Ma da noi, lo sai non c’è più Sovranità Popolare, siamo sudditi di altre Potenze, di altre forze non più solo politiche e non abbiamo più diritti, ma solo doveri. FiguraTi se ci permettono di esprimere il nostro malcontento !...
Cionondimeno, caro Putin, non entrare in conflitto, non costringerci a fare delle scelte etiche: se essere, insomma solidali con Te e tradire quindi il nostro Paese, o se essere complici nel cercare di ridurTi al nostro stato di servi. Sappi che sotto, sotto, chi non ha gli occhi foderati di prosciutto, chi non accetta supinamente il bombardamento delle reti televisive e delle testate giornalistiche, costoro sanno perfettamente come gira questa situazione e sanno che … se anche non hai ragione, non hai tutti i torti. Un’altra cosa: sapendo che il nostro governo non la pensa proprio come il popolo Ti prego, IL PROSSIMO INVERNO NON LASCIARCI AL FREDDO !!!


giovedì 20 marzo 2014

STRAMBO PAESE


STRAMBO PAESE

Matteo Renzi va in Germania a dirgliene quattro alla Angela Merkel, la dama di ferro del 4 reich …
A parte il cappotto non proprio abbottonato correttamente (dettagli alla Fantozzi!)
Il nostro, con la solita spavalderia toscana si insedia da padrone e assicura che non si splafonerà il famoso e sventurato (per gli italiani, naturalmente) 3%, non perché lo imponga l’Europa, ma in quanto desiderio di tutto il Paese è quello di ottemperare ai propri doveri (e lo fa con entusiasmo!).
Povero Renzi, il viaggio deve avergli spappolato il cervello … O forse fa suo il detto (mi pare di Mao): “Se non puoi combatterli, unisciti a loro!” …

La Corte Costituzionale ha ribadito la condanna per Silvio Berlusconi e l’interdizione dai pubblici uffici per due anni (mi pare). Cionondimeno il Cavaliere non intende rinunciare alla propria candidatura in tutte le circoscrizioni italiane per le elezioni del Parlamento Europeo. Evidentemente la legge gli impedisce di ESSERE parlamentare, non di candidarsi. E sapendo l’enorme affetto che ancora riscuote tra gli elettori, non è difficile immaginarsi il successo che potrà ottenere … Insomma, Berlusconi dovrà rinunciare a sedersi a Strasburgo, ma i suoi voti … no!

Gli omosessuali non si limitano più a difendere i propri diritti, ma cominciano a brigare per convincere tutti che gli anormali sono gli eterosessuali … Vogliono fare adepti? Ma la natura è natura e la contro natura … pure. Dubito che si possano proporre come maggioranza dell’umanità e, malgrado loro si impegnino, alla lunga dimostreranno di essere perdenti in una Società per fortuna conservatrice delle proprie tradizioni …

Gli immigrati scappano dall’Italia … Ma come: sono privilegiati, coccolati, messi al di sopra dei nativi eppure … Proprio INGRATI !!! No! E’ che non vogliono avere nulla a che fare con la miseria che attanaglia l’Italia, né con i politici … Preferiscono di gran lunga i loro paesi. Quindi dovremo rinunciare alla grande risorsa di cui spesso si parla. Grazie, immigrati!

mercoledì 19 marzo 2014

Festa del papà 2014: bambini regalano fiori „Sesto San Giovanni, festa del papà: i bimbi seminano fiori“

Festa del papà 2014: bambini regalano fiori
In occasione del 19 marzo 2014 tra gli orti di via Fratelli di Dio e viale delle Rimembranze tanti bambini hanno seminato dei fiori che regaleranno ai loro padri

Sesto San Giovanni, festa del papà: i bimbi seminano fiori

In occasione del 19 marzo 2014 tra gli orti di via Fratelli di Dio e viale delle Rimembranze tanti bambini hanno seminato dei fiori che regaleranno ai loro padri

Per la festa del papà 2014, Sesto San Giovanni ha fatto un regalo particolare a tutti i papà. Un giorno prima, martedì 18 marzo, tanti bambini si sono recati ali orti di via Fratelli di Dio e viale delle Rimembranze e hanno seminato dei fiori che regaleranno ai loro padri.
Una giornata che ha coinvolto anche il sindaco Monica Chittò, un gesto simbolico per far vedere a figli e papà la crescita di un fiore come se fosse un metaforico cammino del proprio rapporto familiare.
fonte 



Potrebbe interessarti: http://sesto-san-giovanni.milanotoday.it/festa-papa-2014.html
Seguici su Facebook: http://www.facebook.com/MilanoToday

martedì 18 marzo 2014

Lo scolaretto fortunato

L'alunno Renzi è stato interrogato dalla maestra Merkel alla vigilia della campagna elettorale e del semestre italiano alla guida dell'Europa


L'alunno Matteo Renzi è uno scolaro fortunato. È stato interrogato dalla maestra Merkel alla vigilia della campagna elettorale e poi del semestre italiano alla guida dell'Europa. Queste sono le prime elezioni dopo le mazzate europee e la conseguente diffusione di una forte e variegata protesta antieuropea e antieuro. I governi temono i populismi e devono disinnescarli alleviando l'arcigno rigore e le misure sacrificali se non vogliono essere spazzati via o duramente mutilati. Per l'Italia, oltre la paura che crescano le quattro opposizioni all'austerity - berlusconiani, grillini, leghisti e destri, più frange dell'estrema sinistra - c'è pure la prospettiva della nostra leadership europea. Che si fa, cacciate o mettete dietro la lavagna, come dice lo scolaro Matteo, il Paese che dovrà guidare l'Europa fino alla fine dell'anno? No, che non si può. E questo agevola i compiti a casa di Renzi col permesso dei prof.
Matteo deve ringraziare la fortuna ma anche la forte pressione dei populisti se porterà a casa il nullaosta per il suo bonus popolare ed elettorale. In questo caso l'interesse degli italiani coincide con quello del suo premier; dopo tante angherie arriva un calice di speranza. Renzi giobba il suo partito, formato da vigilantes degli eurocrati, e poggia sulla forza populista delle opposizioni, salvo scusarsi con la Merkel se per contenerli è costretto a sospendere il rigore. Il perverso ménage della politica nostrana, fondata sull'adulterio triplo e carpiato. Italian cumparielli, in breve Italicum.
fonte

lunedì 17 marzo 2014

Sciopero dei mezzi mercoledì 19 marzo: le informazioni su treni, metro, bus e tram. Ecco gli orari e le fasce di garanzia Atm: a Milano l’agitazione è prevista dalle 8.45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio. Tutte le informazioni

Sciopero dei mezzi (Newpress)Sciopero dei mezzi (Newpress)

domenica 16 marzo 2014

Il male del secolo - III puntata - La Terra dei Fuochi


C'è un'area che comprende la maggior parte dei comuni delle province di Caserta e Napoli,questa area viene chiamata Terra dei Fuochi. Tale nome è dovuta ai roghi,fuochi,nelle campagne di qualsiasi tipo di materiale partendo dalla semplice spazzatura fino a rifiuti industriali e speciali.
Questi roghi provocano fumi tossitissimi provocando inquinamento nell'aria e nel terreno arrivando alle falde acquifere sottostanti,provocando all'intera catena alimentare una contaminazione.
In Campania e nella Terra dei Fuochi non furono eliminati solo i rifiuti dei residenti cittadini private o industrie,ma arrivarono da altre parti d'Italia e dall'estero rifiuti anche scorie nucleari e piombo.
Dietro questa organizzazione capillare dello smaltimento dei rifiuti speciali e no quale grande compagnia poteva gestire tutto nell'omertà politica se non la camorra che avevano come progetto per la Campania,farla diventare una discarica a cielo aperto.
Certo anche la camorra aveva sottovalutato cosa avrebbe portato lo smaltimento di rifiuti speciali senza precauzioni e in modo non controllato,perché hanno provocato malattie tumorali non solo ai residenti ma anche ai loro affiliati della zona e ai propri figli...
Abbiamo in quella zona aria,terreni con relative colture e falde acquifere inquinate che sono diventate agenti di comandamento dei tumori colpendo tutte le fasce d'età e di ceto della popolazione locale.
Tutto questo tenuto nascosto dai politici che usavano i rifiuti per non avere rifiuti dentro la cabina elettorale,dalla camorra che aumentava i loro guadagni a discapito della popolazione che solo gli studi degli ultimi anni hanno fatto alzare il tappeto dove tutto veniva nascosto.
Studi che hanno dimostrato che l'incremento dei tumori nella zona è strettamente e correlato ai roghi della Terra dei Fuochi.
L’area più esposta, è quella compresa tra il litorale domizio-flegreo e l’agro aversano, praticamente quasi tutta le provincia di Napoli e Caserta. Si tratterebbe, quindi, dei comuni di Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castelvolturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d’Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d’Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant’Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola- Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca e Visciano. 
 

sabato 15 marzo 2014

L'esclusiva di Libero in edicola oggi "Quell’insegnante è di destra" E le negano l’abilitazione


"Quell’insegnante  è di destra" E le negano l’abilitazione

RENATO BESANA
L’università italiana non le ha concesso l’abilitazione a professore associato perché è dichiaratamente di destra e - quale orrore - si permette di svolgere attività giornalistica, anche in tivù e persino su fogli impresentabili quali Libero: con queste motivazioni, benché espresse nella prosa elusiva del burocratese, Simonetta Bartolini si è vista bocciare al concorso nazionale per titoli cui ha partecipato.
Ai candidati, il ministero dell’istruzione chiedeva di compilare un formulario in cui elencare le attività svolte, allegando, in formato elettronico, (...)
(...) dodici pubblicazioni fra quelle degli ultimi dieci anni. Simonetta Bartolini si è attenuta alle indicazioni, senza sospettare che stava fornendo ai suoi giudici il pretesto per escluderla. Da una decina d’anni è ricercatrice all’Unint, Università internazionale di Roma, dove insegna Letteratura italiana contemporanea e Letterature comparate. Segretaria di redazione alla «Rassegna della letteratura italiana» dal ’95 al ’98, ha ricoperto incarichi in numerose istituzioni culturali, dirige la rivista on line «Totalità» e si è a lungo dedicata alla critica sulla carta stampata e dagli schermi tivù. Un ottimo curriculum, cui si aggiungono libri e articoli su riviste importanti, per esempio «Nuova storia contemporanea» di Francesco Perfetti. Titoli inutili, se non dannosi, per chi è stato chiamato a vagliarli.
Uno dei commissari, Mario Sechi - omonimo del più noto giornalista - non ha remore nel metterlo nero su bianco: «Come studiosa», scrive nel testo rintracciabile sul sito del Muir, «la candidata presenta un profilo marcatamente militante, orientato sulle tesi del revisionismo storiografico (sul fascismo e sulla Resistenza come guerra civile, e sulla stessa esperienza della Rsi), e impegnato in un tentativo di rivalutazione di autori rivendicati dalla destra politica come fondativi di una tradizione alternativa a quella “vincente” ed egemonicamente canonizzata: da Soffici a Barna Occhini, di cui ha pubblicato il carteggio, a Papini e Guareschi (che viene messo a confronto con primo Levi in un saggio del 2008), a Comisso nella sua formazione dannunziana, a un Pasolini proiettato sin dai suoi esordi in una prospettiva ultra-mistica e ultra-tradizionalista».
Gli autori esclusi dal Pantheon della sinistra - quali Papini, Soffici, Comisso - non hanno dunque diritto di cittadinanza: dedicare loro analisi critiche è superfluo. Sul fascismo siamo tornati a un’era antecedente a De Felice; rileggere Pasolini in chiave eterodossa è blasfemo; parole come mistica e tradizione costituiscono, di per sé, un marchio d’infamia. Alla Bartolini si rimprovera il «profilo militante», perché rivolto a destra; se la militanza si fosse orientata nella direzione opposta, avrebbe rappresentato un titolo di merito.
Non è finita: la monografia su Papini, di cui la Bartolini è autrice, l’unica mai pubblicata, che conta 400 pagine fitte, è stata ritenuta «modesta». Beata ingenuità: nel testo, per ottenere plauso, sarebbe bastato aggiungere che il corrosivo scrittore presentava aspetti d’antifascismo inconsapevole, un po’ come fece Bruno Zevi che, per salvare Giuseppe Terragni dalla damnatio memoriae, asserì che la sua opera era «oggettivamente» antifascista.
Tra i demeriti ascritti dalla commissione ministeriale all’imprudente studiosa, anche il fatto d’aver dedicato saggi e scritti al padre, il grande pittore e incisore Sigfrido Bartolini: pubblicazioni, si legge nello sprezzante giudizio, “che nascono dal contesto familiare”, e dunque per questo irrilevanti. Da non credere, soprattutto in un’università, com’è la nostra, soggetta al più bieco familismo. Ancor peggio l’attività giornalistica, di per sé spregevole, anche perché svolta fuori dalle testate gradite all’apparato cultural-mondano. Se gli articoli della Bartolini fossero apparsi su Repubblica, di sicuro nessuno avrebbe avuto da ridire.
Da notare che l’abilitazione a professore associato non garantisce alcun posto: chi l’ottiene, può soltanto sperare nella chiamata d’un ateneo. È tuttavia agghiacciante costatare come nel 2014 il pregiudizio ideologico ancora determini le sorti del nostro sistema educativo. Il criterio, da quarant’anni a questa parte, resta il medesimo: fuori i fascisti dall’università, come continuano a gridare i bravi ragazzi dei collettivi (e fascista, beninteso, è chiunque non s’inchina al politicamente corretto).

Renato Besana
fonte