domenica 30 gennaio 2011

L'editoriale del NYTimes Non esiste figlio più voluto di quello dolorasamente abortito

30 Gennaio 2011
L'ospite di "No easy choice" su MTV, Markai Durham
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L’industria del divertimento americana non è mai stata a suo agio con l’atto dell’aborto. I personaggi dei film o delle serie televisive possono al limite prendere in considerazione l’intervento, ma anche sui programmi più libertini ( “Mad Men” o “Sex and the City”), alla fine generalmente, quegli stessi personaggi cambiano idea piuttosto che andare fino in fondo. I programmi di reality prosperano con soggetti e scene scioccanti – gravidanze e operazioni estreme, poligami suburbani o casalinghe lesbiche a New York – ma l’aborto rimane troppo controverso, e anche un po’ troppo reale.

Questa omissione è spesso citata come una vittoria del movimento pro-life, e qualche volta forse la spiegazione non si allontana dal vero. (Film recenti come Juno o Knocked Up i quali parlano proprio di gravidanze inaspettate, tendono a far sembrare l’aborto non solo inutile ma anche repellente.) Però a guardare bene potrebbe anche trattarsi di un atteggiamento di negazione culturale: un modo per rassicurare il pubblico sul fatto che l’aborto in America è 'sicuro e legale' – e volendo usare la famosa frase di Bill Clinton – 'ma anche raro'.

Non proprio raro a dire il vero: non quando una gravidanza su cinque finisce in un aborto clinico. Di vittoria di realismo si deve parlare, allora, se si pensa alla decisione di MTV di mandare in onda al margine del suo reality show “16 and Pregnant” e “Teen Mom”, uno speciale dal nome “No easy decision” (ndt. Una decisione non facile), ove viene intervistata Markai Durham, una madre adolescente rimasta in cinta una seconda volta e che ha scelto l’aborto.

Dato che MTV è MTV, la linea dello speciale non poteva che essere pro-choice. Non sono mancate le lacrime, comunque, in qualsiasi la si veda. Durham e il suo fidanzato sono i classici giovani che la nostra cultura manda alla deriva – classe lavoratrice, sotto-scolarizzati, con debole rete di sostegno sociale, rarefatta autorità al contorno, e certamente bassa maturità sessuale che non va oltre la prescrizione facilmente negletta di utilizzare sempre il condom. La loro agonia televisiva è un caso di studio per capire quanto l’aborto possa essere considerato tanto un atto contrario alla morale e tanto e al tempo stesso, una soluzione a un problema – soprattutto quando permette di restare al di sopra della soglia di povertà e di dare a una figlia delle opportunità che i propri genitori non hanno mai avuto.

Lo spettacolo è diventato particolarmente lancinante, comunque, quando si è giustapposto con due recenti riferimenti giornalistici provenienti dal mondo della mezza età: l’infertilità del ceto medio - alto. Lo scorso mese un provocatorio articolo di Vanessa Grigoriadis “Waking Up From the Pill”, apparso sul New York magazine, suggeriva che una vita passata sotto controllo chimico delle nascite ha spinto le donne “a dimenticarsi della propria identità biologica di donna …(permettendo così) inavvertitamente, indirettamente, all’infertilità di diventare l’effetto primario da pillola.” La stessa domenica, The Times Magazine ha fornito una ancor più intima storia sulla stessa tematica, nella quale un genitore di mezz’età, la giornalista Melanie Thernstrom, ha fatto una cronaca della sua storia e di quanto le sia “costato” mettere al mondo il suo bambino: sei cicli in vitro falliti, un donatore di ovulo e due madri surrogate, oltre a una inaudita ammontare di spese.

In ogni era è esistito un tragico contrasto tra il peso di gravidanze indesiderate e il peso dell’infertilità. In passato questo divario è stato spesso più colmato dall’adozione di quanto non lo sia oggi. Prima del 1973, il 20 per cento dei nati da donne bianche non sposate, (e il 9 per cento di nascite fuori dal matrimonio nel complesso) conduceva a una adozione. Oggi solo 1 per cento dei bambini nati da madri non sposate va in adozione, e gli aspiranti genitori adottivi fronteggiano una lista d’attesa che si è allungata irragionevolmente.

Cambiamenti questi che riflettono la crescente accettazione di genitorialità singole. E’ comunque bene ricordare che alcune di queste sono il risultato dell’impatto che avuto ilcaso Roe v. Wade. Dal 1973 infatti, innumerevoli vite che avrebbero avuto la possibilità di essere accolte in famiglie come quella della Thernstrom – la quale aveva vagliato la possibilità adozione e che ha mollato causa mancanza di speranza – sono invece state interrotte in utero, tramite aborto.

La 'vita è quella che è. Nello speciale di MTV, le persone che circondavano Durham accettavano l’aborto in modo euforico. D’altronde la creatura dentro di lei altro non è che “tessuto organico.” Nei giorni successsivi l’aborto, Markai Durham ricorda che le venne consigliato di non umanizzarlo: “ Se pensi a ciò come a (una persona), corri il rischio di deprimerti.” Al contrario, “pensalo per quello che è: niente di più che un ammasso di cellule.”

Alla Durham poi trovare il modo di convivere con la situazione. Seduta accanto al suo fidanzato, poco dopo, incomincia a piangere quando ricorda che il suo fidanzato aveva chiamato l’embrione la “cosa”. Indicando la propria figlioletta, lei afferma, “Una ‘cosa’ può diventare così. Ecco quello che ricordo … Quel ‘nient’altro che un insieme di cellule’ può essere lei.”

Quando cerchi la verità, trovi la verità. La scorsa settimana il New Yorker a riportato una poesia di Kevin Young sui genitori che aspettano un figlio, all’inizio della gravidanza, mentre la madre cerca il bambino accarezzando il ventre:

The doctor trying again to find you, fragile,

fern, snowflake. Nothing.

After, my wife will say, in fear,

impatient, she went beyond her body,

this tiny room, into the ether—

... And there

it is: faint, an echo, faster and further

away than mother’s, all beat box

and fuzzy feedback. ...

Questo è il paradosso di quelli che in America non nascono. Nessuna vita è così disperatamente cercata, dopo; così golosamente desiderata; così attentamente allattata. E ciononostante, nessuna vita è così legalmente sprovvista di tutela, e così frequentemente distrutta.

(Tratto dal New York Times)

Traduzione di Edoardo Ferrazzani

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