lunedì 28 febbraio 2011

Gaddafi-Zenga Song

Mikis "Miki" Mantakas (Atene, 13 luglio 1952 – Roma, 28 febbraio 1975)

Mikis "Miki" Mantakas (Atene, 13 luglio 1952Roma, 28 febbraio 1975) è stato un giovane militante greco del Fronte Universitario d'Azione Nazionale. Morì a Roma, colpito da due proiettili nel corso degli scontri avvenuti nelle strade durante il processo agli imputati accusati del Rogo di Primavalle.


28 aprile 1945 morte di Benito Mussolini e Claretta Petacci


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Alberto Bertotto   12 maggio 2008

Ecco quello che ancora oggi si apprende studiando i libri di scuola: Benito Mussolini e Claretta Petacci sarebbero stati uccisi da Walter Audisio (il colonnello Valerio) alle 16,20 del 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, un paese situato sul lago di Como là dove questo volge alquanto ad oriente. Accatastati sul pianale di un camion, alle 3 del 29 aprile i cadaveri del Duce e di Claretta sono stati deposti a Milano sul selciato di piazzale Loreto (W. Audisio, «In nome del popolo italiano», Edizioni Teti, 1975).

Foto 1: Piazzale Loreto ore 9-10 del 29 aprile 1945

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Il dittatore viene fatto appoggiare sul petto della Petacci.
Per scherno i partigiani gli fanno impugnare l’asta di un gagliardetto fascista (notare la chiusura del pugno, segno di rigidità cadaverica).
Mussolini indossa un giaccone di foggia borghese con le maniche raglan e provvisto di un vistoso bottone allacciato in alto a destra.
L’analisi fotografica diretta e computerizzata ha dimostrato che l’indumento era imperforato
(F. Andriola, «La morte di Benito Mussolini: una macabra messa in scena», Storia in Rete. numero 10, maggio 2006).

Si tenga presente che all’autopsia sul corpo del Duce sono state dimostrate 9 ferite da arma da fuoco con i caratteri delle lesioni premortali (inferte in vita) (P. L. Baima Bollone, «Le ultime ore di Mussolini», Mondadori, 2005).
Il che sta ad indicare che il capo del fascismo è stato rivestito dopo morto.
Prima di morire era, infatti, rimpannucciato con la divisa da Caporale d’Onore della Milizia e con un pastrano militare (W. Audisio, opera citata).
Giacca e cappotto d’ordinanza non sono mai stati ritrovati.
Avendo le maniche raglan, il giaccone non militare vestito dal Duce in piazzale Loreto era l’indumento più idoneo da far indossare ad un morto in rigidità cadaverica catalettica.

Foto 2: Piazzale Loreto ore 10,30-12 del 28 aprile 1945


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Il corpo di Mussolini e della Petacci, affiancati, vengono impiccati per i piedi al traliccio metallico di un distributore di benzina.
Le braccia del Duce fanno un angolo superiore di poco a 90° con il tronco in quanto la rigidità del cingolo scapolo-omerale (spalla) si è completata (atteggiamento del tuffatore).

Foto 3: Analogo atteggiamento lo assume la  Petacci (contemporaneità o quasi del decesso)


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Foto 4: Obitorio milanese di via Ponzio

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Tardo pomeriggio del 29 o mattina presto del 30 aprile 1945 (prima dell’autopsia iniziata alle ore 7,30).
Il Duce e Claretta giacciono supini.
Il braccio di lei circuisce quello di lui in atto di cortigiana galanteria.
Una posa impossibile da realizzarsi se la piega del gomito fosse stata irrigidita dal rigor mortis. Notare la flessione del polso.

Foto 5: Notare il collo reclinato (ciondolante) di Claretta che poggia sulla testa deformata di Mussolini


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Foto 6: Obitorio milanese di via Ponzio

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Pomeriggio avanzato del 29 aprile 1945 o mattina del 30.
Mussolini e Claretta, fino ad allora supini, sono posti in posizione seduta.
Le loro teste sono sorrette dalle mani dei partigiani perché il collo ciondolava.
Le braccia si sono sciolte spontaneamente dal lubrico «braccetto» e sono ricadute inerti lungo
i fianchi.
I dati nell’insieme indicano che la rigidità cadaverica era in fase di avanzata risoluzione (subentrato rilasciamento).

Commento tecnico: «La rigidità cadaverica si rende evidente dapprima nei muscoli della faccia 2-3 ore dopo la morte; si estende ai muscoli della nuca, agli arti superiori, al tronco, infine agli arti inferiori e si completa 12-24 ore seguendo un ordine cranio-caudale. L’irrigidimento totale del corpo si mantiene stazionario per circa 36-48 ore dalla morte. La rigidità comincia a risolversi gradualmente seguendo lo stesso ordine (cranio-caudale) dopo 72-84 ore». (www.sunhope.it/tanatologia.htm. Reperibile per via telematica; B. Brinkmann, B. Madea. Handbuch Gerichtliche Medizin. Springer, 2003).

Conclusioni: Da tutto ciò si evince che Mussolini e la Petacci sono stati uccisi ben prima delle 16,20 del 28 aprile 1945.
Davanti al cancello di villa Belmone a Giulino di Mezzegra il colonnello Valerio ha sparato su due cadaveri morti da un pezzo.
Questo è quello che ha detto a Giorgio Pisanò il partigiano Guglielmo Cantoni (Sandrino),
un testimone oculare (G. Pisanò. «Gli ultimi cinque secondi di Mussolini», Il Saggiatore, 2004).

Nel programma televisivo Stargate di Roberto Giacobbo, andato in onda su La 7 il 27 ottobre del 2002, si è addirittura affermato, in base all’analisi fotografica, che il leader fascista era morto non il 28, ma bensì il 27 aprile del 1945.

Va, tuttavia, tenuto presente un fatto: i ripetuti maltrattamenti subiti postmortem dal Duce (trazioni, percosse, stiramenti) potrebbero aver interferito sulla rigidità cadaverica, modificando le posture e condizionando certi atteggiamenti (professor G. Pierucci, emerito di Medicina Legale all’Università di Pavia, comunicazione personale).

Sul verbale ufficiale, redatto dal dottor Caio Mario Cattabeni dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Milano, si legge: al momento dell’autopsia (ore 7,30 del 30 aprile 1945) la «rigidità cadaverica è risolta alla mandibola; persistente agli arti (sic!)» (P. L. Baima Bollone, opera citata).
E’ evidente il tentativo di mistificare il quadro autoptico per far combaciare l’orario della morte con quanto affermato dai comunisti: W. Audisio e compagni (ore 16,20 del 28 aprile).
E’ un’affermazione gratuita che ha tutta l’apparenza di una giustificazione non richiesta.

Le fotografie sono tratte dalla videocassetta Combat Film, girata da cineoperatori americani
della V armata.

Professor Alberto Bertotto
EFFEDIEFFE.com 

L'unità d'Italia in vetrina "Rendiamo Sesto tricolore"

I negozianti sono già al lavoro da qualche mese per preparare in grande stile la celebrazione del 150esimo dell'Unità d'Italia che si celebrerà il prossimo 17 marzo. Botteghe aperte e allestite a tema: sì dei titolari

Sesto San Giovanni, 27 febbraio 2011 - A riportare Garibaldi per strada e ad allacciare lo Stivale stavolta ci penseranno i negozianti. Perché se le città si mettono in festa, loro si vestiranno con i colori della bandiera italiana. Al lavoro già da qualche mese, l’Unione del Commercio convocherà in questi giorni le botteghe sestesi per mettere a punto gli ultimi dettagli.
«Abbiamo deciso di unirci alle iniziative organizzate dal Comune per i festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia — annuncia il segretario Alessandro Fede Pellone —. Lanceremo un concorso: le vetrine dovranno allestirsi a tema. Poi si voterà la più bella». Domenico Egidi il suo storico negozio di piazza Petazzi ha già iniziato ad addobbarlo col tricolore. «Ne avevo chieste sette di queste statue del Gianduia con la coccarda in testa e me ne hanno fatte tre — mostra il titolare della drogheria —. Penso che metterò in vetrina la bandiera italiana e i prodotti tipici regionali: quelli trentini davanti al verde, quelli toscani per il bianco e quelli del Sud per il rosso».
Egidi questa ricorrenza l’ha presa seriamente. «Io il 17 marzo sto aperto perché ci credo. In Primavera andrò a Torino a visitare palazzo Carignano, che ospita il museo nazionale del Risorgimento». Anche Massimo Rizzi della Libreria Presenza ha deciso di tenere su la serranda e di partecipare al concorso lanciato dall’Unione. «Ci stiamo già ragionando: il tricolore, i libri sul Risorgimento e sull’Unità d’Italia in bella mostra».
«I traditori» di De Cataldo il volume preferito, ma oltre allo spirito patriottico ci sono anche i conti che spingono a tenere aperto. «Questa festa la sento molto e la farei a casa — ammette Rizzi —. Ma un giovedì di marzo equivale a un incasso medio di 700-800 euro. E in questo momento di crisi non ci si può rinunciare. Tra essere sopra o essere sotto il 5 per cento, preferisco la prima opzione». Qualche prova tecnica per tinteggiare il negozio di verde, bianco e rosso, Michele Centra e Lucia Di Chiara l’hanno già fatta, aiutandosi con borse e ombrelli. «Dobbiamo realizzare un allestimento pazzesco! — scherza il titolare di Cose di Borse in via Dante —. La festa è sicuramente sentita. E farsi scappare un’occasione per poter lavorare bene, non avrebbe senso. Se la città sarà animata, ne saremo contenti tutti quanti. Noi negozianti daremo una mano».
Sfrutterà la giornata di lavoro anche Elisa Zambelli di Original Marines, che nel retrobottega custodisce le magliette per bambini a tema Unità d’Italia: «I love Italy», il tricolore è stato usato per cuori, gondole e per il Colosseo. «Con scuole e uffici chiusi, la gente starà a casa e quindi potremo contare su una buona affluenza. Lavoreremo e giocheremo con le vetrine delle nostre botteghe per divertirci e celebrare questa giornata». Non è tanto convinto Gianfranco Sala. Che, pensieroso, ancora non sa cosa farà. «Valuteremo. Se è festa, io chiudo. Come ho sempre fatto all’Immacolata o il 4 novembre — dice l’ottico —. Certo, se tutti attorno stanno aperti, dovrò farlo anch’io. Perché poi la cassa non può proprio rimetterci».
Sulle barricate, Guido Camozzi. «La festa la fanno al commercio — sbotta il pasticcere di via Picardi —. Con l’aggiunta di un solo giorno di ferie si potrà fare un bel ponte al mare o in montagna. Se ci mettiamo pure l’apertura straordinaria concessa dal Comune ai centri commerciali, la città sarà deserta come a Ferragosto». Non ci sta l’assessore al Commercio Claudio Zucchi. «Ci sono negozi e lavoratori anche nella grande distribuzione. Vista la difficoltà economica, bisogna aiutare tutti. Ogni polemica in questo caso è fuori luogo».
di Laura Lana

Al freddo e al gelo in via Mozart Gli inquilini: "E noi paghiamo"

Nel 2008 parte il progetto di ristrutturazione delle case comunali di via Mozart e ai 70 inquilini venivano promessi alloggi nuovi e perfettamente funzionanti. Ma a tre anni di distanza, i problemi si sono moltiplicati

Cinisello Balsamo, 27 febbraio 2011 – Il progetto di ristrutturazione era partito nel 2008 e prometteva ai 70 inquilini delle case comunali di via Mozart di avere un alloggio tutto nuovo. Invece, a tre anni di distanza e dopo intere stagioni passate al freddo e tra disagi di ogni tipo, per questi inquilini del Comune i problemi sembrano essersi moltiplicati, così come sono cresciute a dismisura le spese condominiali. La denuncia è stata lanciata nei giorni scorsi da un gruppo di inquilini che, sostenuti dal sindacato Unione Inquilini, vogliono opporsi alla lenta deriva che li sta colpendo.
«Abbiamo subìto per tre anni problemi di ogni tipo e nonostante tutto abbiamo continuato a pagare gli affitti — spiegano —. Ma oggi si sta superando ogni misura. Le spese condominiali sono quasi raddoppiate. Sono passate da 40mila euro a 70mila euro in meno di un anno. Tutto questo senza una ragione plausibile e senza che dal Comune ci sia stata data una spiegazione valida». In verità, il sospetto è che l’aumento così consistente delle spese sia causato dall’introduzione di una nuova caldaia centralizzata per il riscaldamento. Una delle opere prevista nel progetto di ristrutturazione gestito dall’Aler per conto del Comune è stata la sostituzione delle caldaie autonome con un nuovi impianto centrale.
«Ci avevano detto che avrebbe fatto risparmiare, invece sono cresciuti i costi e i problemi, perché continua a rompersi e a lasciare al freddo alcuni appartamenti che inspiegabilmente non sono raggiunti dal calore — dicono ancora —. Un sospetto ce lo abbiamo: qualcuno ci ha detto che tutte le tubazioni che raggiungono la caldaia non sono state coibentante e producono una perdita di calore che può arrivare al 30 per cento. Ma nessuno vuole verificare cosa è accaduto, tanto i soldi che vengono sprecati sono i nostri».
Tanto più, che di qui a qualche anno l’Amministrazione comunale dovrà sostituire la nuova caldaia con un impianto di teleriscaldamento, in quanto la zona di via Mozart è già servita da oltre un anno da questo servizio e l’Amministrazione comunale ha stretto una convenzione con la società Smec che prevede il collegamento di tutti gli edifici pubblici. L’Unione Inquilini per voce di Cristino Vettore ha lanciato un appello all’Amministrazione comunale.
«Dobbiamo convocare un tavolo di confronto con gli inquilini, il sindacato, i tecnici del Comune e quelli dell’impresa che ha eseguito le ristrutturazioni — spiega —. Abbiamo già stilato una lista di oltre trenta segnalazioni di lavori non fatti oppure mal eseguiti che rischiano di creare situazioni di pericolo. L’impresa ha completato solamente le opere più importanti e ha lasciato il resto a metà. Ora, a causa del contenzioso aperto con il Comune, non è possibile nemmeno interpellarli per fare manutenzione. Abbiamo un inquilino che ha ricevuto l’alloggio quattro mesi fa ma non ha potuto ancora trasferirsi perché non gli hanno collegato il riscaldamento e non gli hanno sostituito i sanitari».
di Rosario Palazzolo

domenica 27 febbraio 2011

Ringraziamenti per manifestazione

L'associazione culturale Vox Populi ha festeggiato la sua nascita, oggi, in Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo, con l'ospite gradito Alberto Torregiani che, alla presenza di rappresentanti politici della nostra Città, di Sesto San Giovanni, di Milano e della Protezione Civile di Cinisello Balsamo, ha raccontato la sua storia e ha dato vita ad un'interessante discussione su temi socio politici.
L'associazione VOX POPULI  felice per la risposta dei cittadini che hanno partecipato numerosi, ringrazia tutti i presenti e rinnova il suo proposito di lavorare sul territorio, portando alla luce e cercando di dare una soluzione ai gravi problemi economici ed etici che ci affliggono, di parlare della Storia, cercando di dare una valutazione a 360 gradi attraverso il confronto e il racconto di tutte le nuove notizie emerse, ma, soprattutto ascoltando in maniera propositiva tutte le istanze che le verrano sottoposte.
A presto
VOX POPULI

sabato 26 febbraio 2011

Finalmente 1° uscita pubblica di Vox Populi


ASSOCIAZIONE CULTURALE STORICO SOCIALE

In un momento di degrado e smarrimento della politica Italiana,sentiamo la necessità di parlare alla gente con un linguaggio più comprensibile e di confronto sulle tematiche sociali e politico culturali,umili delle nostre origini e delle difficoltà a cui andremo incontro costituendo
l'Associazione Culturale VOX POPULI

L'Associazione si prefigge lo scopo di promuovere e diffondere una visione comunitaria della Politica e dei Movimenti (politici,artistici e culturali) dalla Fondazione d'Italia ad oggi.

Ispirandosi ai valori umani e patriottici di chi fece grande la nostra Patria.

A tal fine l'Associazione si propone di:
  • avvicinare le istituzioni civili e i cittadini,attraverso iniziative dettate dalle esigenze del territorio;
  • favorire la crescita culturale dei propri soci e,in generale,del pubblico attraverso iniziative di formazione specifica realizzate in collaborazione con enti locali,associazioni,scuole,istituzioni,privati,ecc;
  • valorizzare le tradizioni popolari e culturali,in un contesto “multietnico” del territorio,con l'obbiettivo di abbattere le barriere interculturali e religiose dei vari popoli a sostegno e integrazione dell'identità nazionale;
  • partecipare alla realizzazione di iniziative sociali a sostegno e difesa delle famiglie e contro ogni forma di degrado del territorio.

Ogni socio potrà contribuire alla realizzazione dei punti sopra indicati,oltre che aver diritto alla tessera di appartenenza all'associazione,potrà partecipare alle attività interne e assembleari,e nei casi in cui si verificasse usufruire delle promozioni degli eventuali sponsor.

cell. 340 3458165 – 331 8786254

E adesso occhio alla Giordania. L’Islam estremista dietro alle manifestazioni di ieri ad Amman

Mentre tutto il mondo è concentrato sulle vicende che riguardano la Libia, un altro Stato arabo si trova sull’orlo del baratro: la Giordania. Ieri qualche migliaia di persone sono scese in piazza ad Amman per protestare contro il Re Abdullah e contro quelle che i manifestanti hanno chiamato le “mancate riforme”.

A guidare la manifestazione di Amman è stato lo sceicco Hamza Mansour, capo del Islamic Action Front (IAF), il più grande gruppo di opposizione del Paese di chiara tendenza islamista e formato per la maggioranza da giordani di origine palestinese. In passato lo stesso gruppo era stato alleato della OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di Yasser Arafat e proprio insieme alla OLP aveva portato la Giordania, allora guidata dal padre di Re Abdullah, Husayn, sull’orlo di una guerra civile. Ora ci stanno riprovando passando però per la richiesta di riforme in senso democratico.

In apparenza quello che chiede l’Islamic Action Front è una nuova legge elettorale attraverso la quale nominare un Primo Ministro che al momento viene eletto direttamente dal Re. In realtà il fronte islamico chiede una nuova formula di governo improntata all’Islam integralista e una forte riduzione dei poteri della monarchia. Nei giorni scorsi, quando il mondo era distratto dai fatti egiziani e libici, in Giordania vi sono state diverse manifestazioni nelle città di Zarqa e Irbid organizzate dal fronte di azione islamico contro il re e, soprattutto, contro la regina Rania, colpevole per gli islamisti di battersi per i Diritti delle donne e per una modernizzazione del regno Hascemita. L’attacco alla regina Rania è stato particolarmente feroce e si è basato su false supposizioni (le folli spese della regina) che mirano a delegittimare le riforme per cui Rania si batte. Oltretutto per gli islamisti è assai difficile attaccare Re Abdullah in quanto discendente diretto del Profeta, da qui la decisione di puntare sull’attacco alla regina.

Anche ieri la manifestazione ha avuto i suoi punti di forza nell’attacco alla regina più che nell’attacco alla monarchia. All’uscita dalla moschea di Husseini, la principale di Amman, gli islamisti si sono scagliati con veemenza contro Rania che, a loro detta, sarebbe colpevole di spendere grandi somme di denaro per quelli che gli islamisti considerano “lussi occidentali” e “azioni che vanno contro l’Islam” che poi sarebbero una serie di riforme sui Diritti delle donne, sulla scolarizzazione e su un nuovo sistema di assistenza sociale. Paradossalmente gli islamisti del Islamic Action Front contestano alla regina di voler modernizzare il Paese e di portare avanti alcune riforme laiche che potrebbero togliere un po’ di potere alla monarchia, cioè le contestano di fare quello che loro (in apparenza) chiedono. In realtà gli islamisti temono riforme laiche che potrebbero definitivamente portare migliaia di giovai giordani lontani dall’islam integralista e spingerli a sostenere un paese moderno e quindi non islamico.

In seconda battuta ci sono motivi di carattere politico. Gli islamisti del IAF contestano al Re Abdullah una politica di apertura verso Israele, già iniziata dal padre e fermamente mantenuta dal figlio, una politica che tra le altre cose passa per la responsabilizzazione della Autorità Nazionale Palestinese e per la condanna della cronica corruzione insita in seno alla ANP. Per non parlare poi della ostilità dimostrata da Re Abdullah verso i terroristi di Hamas e per la moderazione dimostrata in seno alla Lega Araba, moderazione scambiata dagli islamisti come un segno di debolezza.

In occidente si tende a vedere le manifestazioni di protesta che si svolgono in Giordania come il naturale proseguo di quelle viste in Algeria, Egitto e adesso in Libia. E’ un errore clamoroso. In Giordania non si protesta per avere più libertà e più Diritti, anche se in apparenza può sembrare così. In Giordania si protesta per portare il Paese verso una “democrazia di tipo turco-iraniano”, cioè di tipo islamico estremista fortemente condizionata dai precetti islamici fondamentalisti e lontanissima quindi da quello che vorrebbero i regnanti, cioè un regno che vada verso riforme di tipo laico. E’ importante capire questo per dare il giusto sostegno al regno di Giordania che rischia di diventare l’ennesima provincia iraniana in Medio Oriente.

Sharon Levi

http://www.secondoprotocollo.org/?p=2375

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Dubbi anche dalla comunità scientifica Il Papa ha capito che nelle "banche della vita" c'è un bel po' di egoismo

27 Febbraio 2011
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Le parole del Papa nell’udienza di ieri ai membri della Pontificia Accademia per la Vita, che sollevano forti e concreti dubbi riguardo l’utilità di conservare “per uso proprio” e “in banca” il sangue che alla nascita si prende dal cordone ombelicale del neonato (come vorrebbero certi ambienti cosiddetti progressisti), solleveranno critiche: interessi e pregiudizi non si contano nel nostro Bel Paese; ma bisogna essere perlomeno disinformati per criticare un ragionamento chiaro e scientificamente fondato come quello del Santo Padre a proposito di questo uso. E se leggete qui, finirete col ringraziarlo.
Il sangue preso dal cordone ombelicale è ricco di cellule staminali curative che si possono donare o tenere per sé in costose banche private. Ma: “Il Sistema Sanitario non deve incoraggiare la creazione di banche commerciali per il sangue di cordone ombelicale”. E non sono parole del Papa, ma di Leroy Endozien sul British Medical Journal del 14 ottobre 2006. Ora, si deve sapere che alla nascita di un bambino è possibile prelevare il sangue dal cordone ombelicale (SCO) del bambino stesso, ricco in cellule staminali, donarlo al centro di ematologia che lo conserverà per possibili usi terapeutici in favore di un possibile paziente che ne avrà bisogno, o per lo stesso donatore se nel futuro si ammalasse. Proprio come si fa per le donazioni di sangue in caso di trasfusioni: il donatore non decide a chi donare, ma dal pool di sangue donato tutta la popolazione – senza criteri di censo, religiosi o altro – trarrà beneficio.
“Le donazioni altruistiche di cordone ombelicale sono usate per curare degli ‘estranei’”, scrive Endozien. “Per contro, le conservazioni commerciali operano la raccolta e la conservazione del SCO del bambino per un uso di quella persona (trapianto autologo) o dei suoi parenti”. L’attuale sistema di donazione del SCO in Italia si chiama “donazione altruistica” ed è proprio basato sulla certezza che “donando non si perde nulla”. In Italia è attualmente il sistema in vigore, perché la validità delle banche per lo stoccaggio personale del proprio SCO – tranne nei casi in cui si ha un parente malato – è stato ampiamente criticato dalla scienza.
“Dopo le prime critiche da parte dell’American Academy of Pediatrics e dell’American College of Obstetricians and Gynecologists – scrive Fisk nel 2005 sulla rivista PloS Medicine – il Royal College of Obstetricians and Gynecologists del regno Unito concluse nel 2001 che la conservazione commerciale del proprio SCO non è giustificata scientificamente, è logisticamente difficoltosa e non può perciò essere raccomandata. Nel 2002 il Comitato Francese Nazionale di Bioetica giunse a simili conclusioni. In Italia è proibito. Un report recente dell’Unione Europea ha avanzato serie preoccupazioni etiche sull’uso di banche commerciali per il SCO e mise in dubbio la loro legittimità nel vendere un servizio senza utilità reale”. La conservazione “per se stessi” è stata criticata anche dal Collegio Britannico delle Ostetriche.
Gli argomenti contro la conservazione “per se stessi” sono in sostanza, secondo Edozien, la bassa possibilità che una persona a basso rischio possa aver davvero bisogno di usare il sangue che ha messo da parte (“le stime variano da 1/1.400 a 1/20.000); “Il trapianto autologo può in certi casi non essere la miglior scelta – per esempio mutazioni preleucemiche possono essere presenti nel SCO di bambini che poi sviluppano leucemia”; “Gli argomenti per la conservazione “per se stessi”  che il SCO potrebbe essere usato per trattare diabete e altre malattie sono teorici”; “I progressi nelle cure convenzionali e nei trapianti allogenici significano che solo pochi pazienti con leucemia acuta richiederanno trapianto autologo”.
Esistono inoltre problemi di tipo organizzativo (etichettatura, personale per il prelievo, che sono da considerare attentamente se siamo in presenza di donazione pubblica o di un servizio privato) e di tipo di pubblica sanità (che fare del SCO se una di queste “banche” fallisce?). Purtuttavia, osserviamo forti spinte anche in Italia perché la privatizzazione del SCO venga permessa. E’ una richiesta poco sostenibile, considerate tutte le controindicazioni che abbiamo visto finora. Non ci piace la privatizzazione di qualcosa che sarebbe più utile (e gratuito) se fosse di tutti. Le parole del Papa chiariscono questo punto e sono di aiuto alla scienza. Il sangue preso dal cordone è certo utile se messo a disposizione di tutti. Si pubblicizza, senza nessuna certezza, che questo sangue salverebbe la vita al bambino se se lo tenesse per sé. E si pensa così di fargli un regalo. Un regalo davvero forte sarebbe potergli dire che la sua vita è iniziata donando a qualcuno il suo sangue, che qualcuno se ne è servito avendone salva la vita, e che lui (o lei) potrebbe ricevere da un altro bambino un regalo così bello, semmai gli servisse. E’ la forza dell’altruismo, che va braccetto con la scienza e la fede. 
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RITROVATO IL CORPO DI YARA GAMBIRASIO, ERA A POCHI CHILOMETRI DA DOVE ERA SCOMPARSA

Oriana Fallaci e il destino dell'Europa:”Aprire agli imigrati? Un suicidio”

Crisi in Nord Africa,parla Bat Ye'or,amica della scrittrice ed inventrice del nome “Eurabia”


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Se oggi parliamo di Eurabia e conosciamo i pericoli legati a questa parola è grazie alle profezie della Fallaci. Ma anche grazie al lavoro di Bat Ye’or la «grande esperta dell’Islam» (così la definiva Oriana in La Forza della Ragione) che lo ha diffuso con il libro intitolato appunto Eurabia (pubblicato in Italia da Lindau, come gli altri suoi lavori). Ebrea di origini egiziane, Bat Ye’or vive in Svizzera, da dove oggi osserva con apprensione l’incendio mediorientale. Masse di immigrati si preparano a raggiungere l’Europa. Si avverano le profezie della Fallaci?
«Sì, naturalmente. È un periodo molto difficile e pericoloso per noi europei. Come ha detto il ministro italiano Maroni, molti immigrati hanno già cominciato ad arrivare a Lampedusa. Immagino che ci sarà un’immigrazione di massa, se questo domino delle rivoluzioni continua».
Che cosa dobbiamo aspettarci dalle rivoluzioni?
«Da una parte si spera che possa nascere qualcosa di diverso dai regimi dittatoriali visti finora e che questi popoli possano uscire dalla miseria, dalla corruzione e dall’ignoranza. Però mi sembra che non ci siano dei leader in grado di unificare le speranze di queste folle, che sono enormi. Vedo tante persone che gridano per strada, ma mi sembra che non ci sia alcun pensiero politico. I manifestanti gridano di volere la libertà e la democrazia, ma che significano per loro queste parole? Per ottenere la democrazia si deve avere un pensiero, fare un’analisi politica, si deve comprendere a fondo che cosa comporta la democrazia».
Le sembra che i manifestanti non lo comprendano?
«Mi sembra che queste persone abbiano avuto l’ordine di gridare: “Vogliamo la libertà e la democrazia”, come se potessero scendere dal cielo. Ma non è così che si ottengono. Il fatto è che non ci sono leader con cui parlare. Le uniche organizzazioni ben strutturate nell’area sono i Fratelli musulmani e Al Qaeda. E poi c’è da considerare che la popolazione libica è molto frammentata: è divisa in tribù, non è una nazione omogenea. Sono già divisi».
Pensa che le rivolte siano orchestrate dagli estremisti islamici?
«Non posso dirlo con certezza, ora. Sono sicura che queste rivoluzioni che arrivano l’una dopo l’altra con le stesse parole sono organizzate da qualcuno, ma non so chi. Possono essere i Fratelli musulmani, ma anche l’Iran».
Come ha detto, le uniche organizzazioni strutturate in quelle zone sono fondamentaliste.
«Se sono i Fratelli musulmani ad aver organizzato tutto, stanno giocando molto bene. Si nascondono dietro le folle perché non vogliono spaventare l’Occidente. Fingono di non avere nulla a che fare con questa rivoluzione, dicono che sono pacifici. Ma non lo sono affatto. Mi sembra che tutto ciò sia molto triste. Questi popoli chiedono soldi, pane, lavoro. Che cosa otterranno di tutto questo secondo lei?».
Dunque non ci sono basi per la democrazia.
«Guardi che cosa è successo con l’Iraq di Saddam. Una volta caduto lui, creare una democrazia era possibile. Ma non è stata creata, perché non ci sono i fondamenti. Intanto perché la democrazia, secondo me, non è compatibile con la Sharia. Il principale fondamento della democrazia è l’eguaglianza fra le persone. Ma con la Sharia, per esempio, non c’è eguaglianza fra uomo e donna, fra musulmani e non musulmani. Mi chiedo ancora: che cosa significa democrazia per questi manifestanti, che sono musulmani? Sono sicura che non vogliono abbandonare la legge islamica».
Che deve fare l’Europa per fronteggiare l’immigrazione di massa all’orizzonte?
«Gli europei non devono accettare ulteriore immigrazione. È una questione di sopravvivenza. Gli europei non sono responsabili di quello che succede nei Paesi musulmani. Ci sono 56 Stati musulmani o a maggioranza musulmana. I musulmani dei Paesi in rivolta devono emigrare lì. L’Europa non è una terra di immigrazione, nessuno ci forza a intraprendere una politica suicida perché questi Paesi fanno la rivoluzione. L’Europa può aiutare, certo, ma non accogliere tutti, tanto più ora che siamo in un momento di recessione economica. Abbiamo molti e gravi problemi. Queste rivoluzioni sono un problema del mondo musulmano. I Paesi islamici devono responsabilizzarsi, smettere di chiedere soldi all’Europa per poi, allo stesso tempo, detestarla. Una volta tanto, l’Ue dovrebbe avere una posizione molto ferma e prendere in considerazione gli interessi di propri cittadini prima di pensare ad aiutare altri popoli a detrimento degli europei».
Che cosa ricorda della Fallaci?
«Non l’ho mai incontrata di persona, ci sentivamo sempre al telefono. Mi chiamava lei, le mandavo dei documenti. Oriana mi telefonava spesso. Vedeva la sua agonia dovuta al cancro come l’agonia dell’Europa. Amava tantissimo l’Italia, la sua arte, la sua cultura. Aveva ragione a temere per il suo Paese. Per amore dell’Italia ha lottato fino alla fine. Me la ricordo come una donna coraggiosa».

di Francesco Borgonovo

Aiutatemi, vengo dalla Libia Ma era solo un clandestino

Un trentenne egiziano è stato fermato dalla polizia di Sesto: aveva tentato di eludere i controlli spacciandosi per un profugo libico, ma a una veloce verifica è venuta a galla la sua vera identità ed è stato fermato

Sesto San Giovanni, 26 febbraio 2011 - Non aveva un permesso di soggiorno e nemmeno un passaporto valido, ma quando la polizia gli ha chiesto i documenti ha fornito subito una valida giustificazione: «Sono un cittadino libico, ho bisogno di un visto per motivi umanitari». Gli agenti del commissariato sestese, di fronte all’imprevista richiesta di aiuto, hanno cercato di capirne di più.
Ma è bastato poco per scoprire l’inganno: una perquisizione, il ritrovamento di un foglio, tra i vestiti, con le vere generalità dell’uomo e, per finire, una verifica sulle impronte digitali. Nella rete dei controlli non era finito, dunque, un cittadino libico, bensì un egiziano che ha tentato il tutto per tutto, sperando di farla franca. Gli è andata male: l’uomo, trentenne, è stato identificato, denunciato ed accompagnato in questura, dove sono state avviate le pratiche per l’espulsione dal territorio nazionale dove si trovava come clandestino.
La scoperta del finto-libico è avvenuta l’altra sera nell’ambito di un pattugliamento straordinario organizzato dal commissariato sestese con l’ausilio di personale della questura di Milano. Per tutto il pomeriggio e fino a sera inoltrata, diversi equipaggi della polizia hanno effettuato controlli in una mezza dozzina di bar tra via Risorgimento, viale Gramsci, via Marconi, viale Matteotti e via Zara, sia all’interno sia all’esterno dei locali.
Alcuni di questi esercizi pubblici avevano subìto in passato provvedimenti di chiusura per spaccio di droga o per frequentazioni di pregiudicati. Le verifiche della polizia sono poi proseguite anche in alcuni giardini pubblici e nel piazzale della stazione. Complessivamente gli agenti hanno controllato i documenti di una cinquantina di persone, tra cui appunto il finto libico che si trovava all’interno di un bar.
di Patrizia Longo

Irregolari ma non troppo Strisce blu con la sorpresa

A Sesto e Cinisello molti parcheggi a pagamento regolati da strisce blu non sarebbero regolari. Ma fare ricorso contro le multe non è così scontato. Si tratta infatti di alcune precisazioni tecniche in termini di legge

Sesto San Giovanni, 26 febbraio 2011 – Fatta la legge trovato l’inganno. È con un sorriso stampato sul volto che molti automobilisti hanno seguito qualche sera fa il servizio proposto dal programma televisivo«Le Iene» sulla illegittimità dei parcheggi a pagamento a Milano. Il tam tam di chiamate tra amministratori e comandanti della polizia locale per confrontarsi su quello che in poche ore è diventato un tema scottante, non ha risparmiato neanche il Nord Milano, dove i parcheggi con strisce blu sono ormai una realtà più che consolidata, con soddisfazione dei Comuni che si vedono assicurare un (seppur minimo) introito annuale e lo sconforto di chi ogni mattina paga il balzello per lasciare la propria auto nelle vie centrali della città.
A far sobbalzare sulla sedia sindaci e dirigenti, la semplice lettura del codice della strada: «Le aree destinate al parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata e comunque in modo che i veicoli parcheggiati non ostacolino lo scorrimento del traffico», recita l’articolo 7 comma 6, che secondo il servizio delle Iene e in base anche al giudizio degli avvocati chiamati a «testimoniare» a favore degli automobilisti tartassati, avrebbe come conseguenza che tutti i parcheggi delimitati da strisce blu e non divisi in alcun modo dalla carreggiata, non sarebbero legittimi.
E se questo fosse vero, anche le multe prese per aver parcheggiato in un’area a pagamento senza aver esposto la ricevuta, potrebbero essere nulle. A Sesto San Giovanni sono 394 le aree di sosta delimitate da strisce blu, nella maggior parte dei casi ricavate ai margini della carreggiata. A dividere la parte in cui scorre il traffico e quella dedicata ai parcheggi a pagamento, nella quasi totalità dei casi non ci sono delimitazioni o strisce bianche che facciano intendere all’automobilista che ci sia una netta divisione tra la carreggiata e l’area di sosta. Lo stesso vale a Cinisello Balsamo: qui i parcheggi a pagamento sono 458 dislocati in tutta la città e in particolare nelle vie principali di collegamento intorno al centro.
Anche in questo caso l’area dedicata alla sosta non è divisa in alcun modo dal resto della strada. Ma secondo gli uffici è tutto regolare e i Comuni del Nord Milano non rischiano nulla. «Siamo certi che tutti i parcheggi a pagamento di Sesto San Giovanni siano a norma di legge — fa sapere l’ingegnere Jonathan Monti, responsabile dell’ufficio Mobilità del comune di Sesto —. La carreggiata stradale è definita come area destinata allo scorrimento dei veicoli, quindi la delimitazione con strisce bianche o blu comporta già che la zona di sosta sia esclusa da questa definizione».
D’accordo con lui, sulla parte tecnica, anche il comandante della polizia locale di Sesto, Pietro Curcio: «Spesso il cittadino non distingue i termini utilizzati nel linguaggio tecnico del Codice da quelli del parlare comune. Nel caso specifico, è importante la differenza tra carreggiata e strada: la prima è quella riservata al traffico veicolare, la seconda è in generale l’area dedicata al passaggio di auto, animali e persone. Nel linguaggio quotidiano potrebbero sembrare sinonimi, ma nel “burocratese” non lo sono». Per il comandate della polizia locale di Cinisello Balsamo, Antonino Borzumati, invece qualche problema c’è: «Quella sollevata dalla trasmissione è in effetti, a mio giudizio, una lacuna del Codice. Non consiglio però ai cittadini di fare ricorso: lo perderebbero proprio perché la legge non è del tutto chiara in merito a lascia adito a interpretazioni».
di Chiara Giaquinta

venerdì 25 febbraio 2011

La Fallaci lo diceva nel testamento:”Stiamo diventando colonia dell'Islam”.La scrittice affermava :”Parlo al vento”.

Libero-news.it

U

na «Cassandra che parla al vento». Così si definisce Oriana Fallaci nelle righe iniziali di La Forza della Ragione. Oltre due anni prima aveva pubblicato un libro fulminante, La Rabbia e l’Orgoglio, divenuto immediatamente un bestseller. Mentre gli italiani (e non solo) facevano la fila per comprare il pamphlet, sui giornaloni la scrittrice toscana veniva fatta a pezzi.

Comici come Sabina Guzzanti, fini intellettuali, politici, colleghi: tutti a berciarle contro le ingiurie più taglienti. Non si rassegnavano, non erano disposti ad ammettere che aveva visto giusto. Proprio come avvenne a Cassandra, nessuno l’ha ascoltata quando parlava di Eurabia, del dilagare islamico nel Vecchio Continente, di come saremmo stati schiacciati - e in parte già lo eravamo - dalle armate musulmane. E adesso Eurabia è qui e noi continuiamo a nascondere la testa sotto la sabbia, anzi, sotto la carta delle migliaia e migliaia di pagine di giornale che ci imbottiscono il cranio con parole come «accoglienza», «democrazia» ogni volta che citano quanto sta accadendo in Nord Africa. «Non mi piace dire che Troia brucia», scriveva la Fallaci, «che l’Europa è ormai una provincia anzi una colonia dell’Islam e l’Italia un avamposto di quella provincia, un caposaldo di quella colonia. Dirlo equivale ad ammettere che le Cassandre parlano davvero al vento, che nonostante le loro grida di dolore i ciechi rimangono ciechi, i sordi rimangono sordi, le coscienze svegliate si addormentano presto».

Bene, adesso le fiamme a Troia sono più alte che mai. Le ondate di immigrati in arrivo sono il culmine di un progetto antico, che da sempre cova tra gli islamici. «L’attuale invasione dell’Europa non è che un altro aspetto di quell’espansionismo. Di quell’imperialismo, di quel colonialismo. Più subdolo però, più infido. Perché a caratterizzarlo stavolta (...) sono anche o soprattutto gli immigrati che si installano a casa nostra». Oriana aveva annusato gli umori fondamentalisti che ribollivano in Stati come la Libia e che oggi, levato il coperchio, stanno saltando fuori. «Perdio, non v’è un solo paese islamico che sia governato da un regime laico, da uno straccio di democrazia! E perfino quelli schiacciati da dittature militari come in Iraq e in Libia e in Pakistan, perfino quelli tiranneggiati da una monarchia assoluta come in Arabia Saudita e nello Yemen, perfino quelli retti da una monarchia più ragionevole come in Giordania e in Marocco, non escono mai dai cardini d’una religione che regola ogni momento della vita e della giornata!», gridava in La Rabbia e l’Orgoglio. In La Forza della Ragione ricordava invece come nel 1979 «i mullah e gli ayatollah spodestarono lo Scià e instaurarono la Repubblica Islamica dell’Iran», rispolverando immediatamente «varie Sure del Corano. In particolare quelle che riguardavano il comportamento sessuale». Anche allora, la rivolta musulmana aveva ottenuto il plauso di tutti i progressisti, innamorati della religione maomettana.

Quella religione costrittiva è la stessa che sta arrivando qui. E si impone facendo leva sulla compassione e la pietà che i “sinceri democratici” nostrani provano per il profugo, soprattutto se con figli e moglie. Il metodo di conquista è la «Politica del Ventre cioè la strategia di esportare esseri umani e farli figliare in abbondanza», che è sempre stato «il sistema più semplice e più sicuro per impossessarsi di un territorio, dominare un paese, sostituirsi a un popolo o soggiogarlo. E dall’Ottavo Secolo in poi l’espansionismo islamico s’è sempre svolto all’ombra di questa strategia». Anche ora, l’espansionismo trova complici. Guardate le immagini sconvolgenti dei bambini uccisi in Libia mostrate da Santoro, leggete le paginate di Repubblica. E poi riprendete in mano l’Oriana che illustrava le strategie di «lavaggio del cervello» politicamente corrette, basate «sull’intervista straziante, ad esempio. Sull’articolo strappalacrime...».

Ma non ci sono soltanto gli intellettuali a battere le mani mentre vengono colpiti «il nostro sistema di vita, la nostra filosofia della Vita. Il nostro modo di pensare, di agire, di amare. La nostra libertà». Ci sono anche i politici entusiasti. Della sinistra c’è poco da dire, sappiamo come la pensa. Ma la Fallaci prendeva di mira anche Gianfranco Fini, il quale poi si è rivelato tra i più ferventi sostenitori del multiculturalismo. Nel 2004, la scrittrice era lapidaria: «Quanto al Suo vogliono -integrarsi, si-stanno-integrando, chi crede di prendere in giro?!? (...) Perbacco, su questo pianeta nessuno difende la propria identità come i musulmani. Nessuno. Perché Maometto la proibisce, l’integrazione».

Ora qualcuno, davanti all’esodo di massa, si aspetta aiuti dall’Europa. Sentite che diceva Oriana in proposito: «Ma come si fa a contare su un’Europa che è ormai Eurabia, che il nemico lo riceve col cappello in mano, lo mantiene, e addirittura gli offre il voto?!? Come si fa a fidarsi di un’Europa che al nemico s’è venduta e si vende come una sgualdrina, che i suoi figli li islamizza e li rincretinisce e li imbroglia fin dal momento in cui vanno all’asilo? Un’Europa, insomma, che non sa più ragionare?». Questa era La Forza della Ragione, 2004. Oggi, nel 2011, vale ancora la profezia della Fallaci. Il nostro mondo «sta bruciando. Va in fiamme col nostro passato, il nostro presente, il nostro futuro. E a proposito: c’è nessuno che abbia voglia di spegnere l’incendio?». Pare di no, cara Oriana, pare di no.

di Francesco Borgonovo

25/02/2011

http://libero-news.it/news/677327/La_Fallaci_lo_diceva_nel_testamento___Stiamo_diventando_colonia_dell_Islam_.html

I centri sociali tirano le monetine Ma sono i primi a rubare le case


Gli antagonisti che hanno protestato ieri occupano abusivamente decine di immobili espropriati ai privati, ma anche a enti pubblic

Prima hanno ridotto piazza Scala a un porcile, poi hanno tentato di invadere palazzo Marino, rischiando una scarica di manganellate, infine hanno bloccato i tram in piazza Cordusio. Tutto per protestare contro Affittopoli. E ci vuole una bella faccia tosta visto che i centri sociali di solito le case le occupano senza chiedere niente a nessuno. Ma tant’è. Una bella gazzarra finita solo alle 20, dopo tre ore di contestazione, quando gli antagonisti si sono infilati in metropolitana. Una manifestazione come tante, non fosse per la novità dei bambini usati come scudi, una si è anche sentita male per i troppi bengala e fumogeni respirati.
Appuntamento davanti palazzo Marino alle 17, quando puntuali arrivano i primi comitati inquilini della zona San Siro, una trentina di persone, compresi molti bambini. Alle 17.30, con mezz’ora di ritardo (ma si sa che è chic farsi aspettare), sono arrivati i ragazzi del Cantiere di via Monte Rosa. Antagonisti che, data la vicinanza, considerano quei gruppi di inquilini una sorta di loro pascolo riservato. Curioso poi protestino per le case date a basso prezzo, quando di prezzo, loro non vogliono neppure sentirne parlare. Senza citare le tante case Aler occupate, il Cantiere da una decina d’anni ha «preso» l’ex Derby, dove non paga ovviamente alcun canone, equo o iniquo.
Tra i manifestanti per le case «date ai soli noti a condizioni di favore» come strillano i manifestanti, anche Luciano Muhlbauer, rifondatore comunista e sostenitore di Giuliano Pisapia. Cioé il candidato sindaco del centro sinistra, la cui compagna, Cinzia Sasso, giornalista di Repubblica, vive da vent’anni in una casa Pat di 120 metri quadrati in pieno centro a 500 euro al mese. Ma si sa, sono «contraddizioni del sistema».
A quel punto, con il presidio arrivato si e no a cento persone, inizia la rumorosa protesta, a colpi di fischietti e casseruole sbattute. Ma anche lanci di frutta e verdura, monetine e generi alimentari vari verso palazzo Marino. In mezzo molti bambini che gridano «porci» ai carabinieri e si alternano al microfono con insulti e oscenità contro Silvio Berlusconi e Letizia Moratti. Il tutto tra gli scatti dei turisti che chiedono «What’s happening?». Si va avanti per una mezz’ora fino a quando alcune donne rovesciano le transenne poste per tenere a distanza il presidio dal municipio. Subito fermate dalle forze dell’ordine che devono tamponare la falla su cui si sono gettati tutti. Si rimane così a fronteggiarsi per un’oretta, con i bambini usati come «cuscinetti» tra manifestanti e agenti, che scoppiano in lacrime spaventati. Alle 19, il presidio toglie le tende lasciando dietro di sé un porcile: palazzo Marino è un’unica melma di cibo spiaccicato. Il gruppone infila via Santa Margherita, poi via Grossi, subito trasformata in una sorta di camera a gas da bengala e fumogeni. Una bambina di circa dieci si piega in due e inizia a vomitare. I poliziotti si fermano per soccorrerla e vengono presi a male parole. In Cordusio altra sceneggiata con i manifestanti sdraiati sui binari del tram. Con infinita pazienza la Digos cerca di convincerli ad alzarsi e se ne va un’altra mezz’ora. Quindi tutti nuovamente intruppati lungo via Dante per imbucarsi nel metrò. Tra molti insulti e una promessa «Ci vediamo presto».

CALCIO, PRO SESTO: MANIFESTO CELEBRATIVO PER IL 17 MARZO E PULCINI CON IL TRICOLORE PER IL "TROFEO FRATELLI D'ITALIA"

Sesto San Giovanni -    Una grande festa nazionale, una grande sfida per il futuro calcistico della Pro Sesto. E così il club biancoceleste, con i presidenti Milos e Nava in testa, ha deciso di mettere in atto una serie di belle inizaitive per giovedì 17 marzo, festa dell'Unità d'Itala e data della supersfida Pro Sesto-Arcene. Un torneo per i pulcini di mister Loprieno intitolato "Fratelli d'Italia", con tutte le altre società calcistiche sestesi (la Pro Sesto giocherà con una maglietta tricolore), tanti ospiti importanti e una serie di sorprese che verranno illustrate via via che ci si avvicinerà al 17 marzo. Ecco intanto il manifesto celebrativo (per ingrandirlo cliccategli sopra) che pubblicizzerà la sfida al vertice. 

La bandiera Sahrawi sventola in Comune




L’Amministrazione di Sesto San Giovanni esporrà domenica 27 febbraio sul balcone del palazzetto comunale la bandiera della Repubblica Araba Sahrawi Democratica (RASD), in occasione del 35mo anniversario della sua nascita.

E’ un gesto simbolico con cui la nostra città, che ospita annualmente una delegazione di giovani Sahrawi per offrire loro un momento di vacanza e di arricchimento al termine dell'anno scolastico, si mobilita per restituire a questo popolo dignità e possibilità di autodeterminarsi.

giovedì 24 febbraio 2011

Mamma mia, è sparita Little Italy se l’è mangiata tutta Chinatown

Manhattan è lo specchio del pianeta. Non è una città e nemmeno un quartiere, è una collezione di tanti paesi diversi che imitano gli originali sparsi nei quattro angoli del mondo. Ora, però, il paese che imita l’Italia non c’è più. Lo ha certificato il censimento dell’anno scorso: a Little Italy nessuno tra i residenti è nato nella Penisola. Nel 2000 i nati oltreoceano erano ancora 44. Cinquant’anni prima 2.149. Un declino lento, ma continuo e inarrestabile. A mascherarlo non bastavano i simboli esibiti di un folklore sempre più pacchiano e lontano dalla vita vera della comunità italo-americana.
Al cinema Little Italy è finita negli anni 50: quando, alla morte di Don Vito Corleone, il figlio Michael (Al Pacino) trasferisce la Famiglia a Las Vegas e a Reno, i nuovi centri pulsanti dell’economia e del crimine americano. Nella realtà l’agonia è stata molto più lunga. Ancora nel 2005 Vincent Gigante, boss della famiglia Genovese, passeggiava in ciabatte e accappatoio, urlando frasi senza senso, per le strade del quartiere, tra Mulberry e Grand street. L’unico modo, spiegava la polizia, per farsi passare per folle ed evitare la condanna. Ma poche settimane fa, quando l’Fbi ha arrestato 100 soldati di Cosa Nostra nella più grande retata contro il crimine organizzato da decenni, nessuno di loro abitava a Little Italy.
Gli italiani che arrivano oggi dalla Penisola stanno nei quartieri eleganti, vicino alle sedi delle banche o delle università: sono finanzieri, professionisti o studenti. Gli italo-americani, invece, si sono trasferiti da tempo a Bensonhurst, nel borough (così si chiamano le divisioni amministrative della città) di Brooklyn, con le sue villette allineate, sogno di ogni famiglia piccolo-borghese. Oppure hanno traslocato un po’ più in là, a Staten Island, dove il 44% degli abitanti ha radici italiane.
Vengono da qui gli italo-americani che vanno in tv e magari diventano i protagonisti di reality e serie tv di successo. Come i protagonisti di «Jersey Shore», programma culto di Mtv, ormai trasmesso in mezzo mondo: veri «truzzi», simpatici ed estroversi come forse solo gli italiani sanno essere, ma che con tutta probabilità l’Italia non sanno nemmeno dov’è.
Quanto a Little Italy, come certi palazzi del vicino Lower East side, culla della cultura yiddish americana, ormai è diventata un museo. E a visitarla sono per lo più gli italo-americani che vivono negli altri quartieri e che di tanto in tanto hanno voglia di fare un tuffo nella tradizione. L’anno scorso il National Park service, l’ente che gestisce i parchi e i monumenti, l’ha innalzata al rango di «Distretto storico». Nella delibera ha però unito nella stessa area la Little Italy vera e propria e Chinatown, senza alcun confine tra di loro. Così, accanto al Columbus day e alla festa di San Gennaro, i due giorni gloriosi della comunità tricolore, il quartiere ha iniziato a organizzare un Marco Polo day e una marcia di Natale dal burocratico nome: «L’Occidente incontra l’Oriente».
Nulla di cui meravigliarsi: oggi i residenti della zona, in tutto meno una trentina di isolati, sono 8.600 e tra di loro circa 4.400 sono nati all’estero. L’89% di questi ultimi arriva dall’Asia. Solo una trentina i bimbi di origini tricolori battezzati ogni anno. Due anni fa l’associazione dei negozianti italiani organizzò una gara di canto. Il repertorio prevedeva solo canzoni nella migliore tradizione del Bel canto. A vincere fu un tenore coreano. Quasi contemporaneamente si tennero le elezioni per la carica di consigliere comunale. In questo caso ad avere la meglio fu una americana con origini a Shanghai. Si è compiuta così la conquista iniziata ormai 40 anni fa, quando il vicino quartiere degli immigrati cinesi iniziò ad espandersi a spese della comunità italiana. Come in Italia le vie sono ora piene di pubblicità di centri di messaggi e di rosticcerie asiatiche. New York però è sempre un passo avanti: anche i cinesi di Chinatown si stanno imborghesendo e hanno iniziato a traslocare in zone più eleganti. Lasciando posto ai cugini poveri malesi e vietnamiti.