lunedì 31 ottobre 2011

I giorni del volontariato 2011

Quello striscione interista che rimpiange l'Heysel? Simbolo del nostro calcio

LA RAI ANNUNCIA: "SIAMO COLLEGATI CON CINISELLO BALSAMO PER TRASMETTERE GEAS BRACCO-ERG PRIOLO...." ... CHE TRISTEZZA! LA SOLITA TRISTEZZA!!!


Sesto San Giovanni - Che tristezza! La solita tristezza! Quando domenica pomeriggio abbiamo acceso il televisore su Rai Sport e abbiamo sentito dire al telecronista "Siamo collegati con Cinisello Balsamo per la telecronaca di Geas Bracco-Erg Priolo" abbiamo pensato alle mitiche vittorie delle rossonere alla Palestra dell'Itis di via Saint Denis, a Mabel Bocchi, agli Scudetti e alla Coppa dei Campioni... Quant'acqua è passata sotto i ponti. E il Geas di Sesto San Giovanni, orgoglio dello sport cittadino, insieme alla Pro Sesto, è ancora costretto a giocare a Cinisello Balsamo. Perchè la politica e chi governa lo Sport a Sesto hanno fallito. Appunto ...Che tristezza! La solita tristezza!

domenica 30 ottobre 2011

La Cina aiuterà l'Europa

"Soprusi, lavoro nero e vessazioni nella Cgil"



La Cgil fa le barricate in difesa delle pensioni e dell'articolo 18. La Cgil fa le barricate in nome del lavoro regolare. Peccato che oggi spuntino come funghi i casi di ex dipendenti del sindacato che denunciatno gravi irregolarità. Il campionario riguarda maltrattamenti, vessazioni, mobbing, licenziamenti illegittimi, finti contratti e lavoro nero. Nel mirino, spesso, ci finiscono le donne, soprattutto del Sud italia. In Sicilia, giusto per avere il polso della situazione, si è recentemente costituito il 'comitato dei lavoratori licenziati dal sindacato'. In Campania - altro esempio - lo scorso dicembre la vertenza di Ciro Crescentini (licenziato dalla Fillea Cgil anni fa) ha registrato una svolta importante: il giudice di secondo grado ha infatti dichiarato "l'inefficacia del licenziamento" dell'uomo, e ordinato alla Fillea Cgil nazionale il reintegro "nel precedente posto di lavoro occupato o in mansioni equivalenti".


Il portale - Sul web è addirittura nato un portale che si chiama Lavoratori licenziati dalla Cgil. "Questo spazio - viene spiegato sul sito - vuole essere strumento di sintesi, di confronto e denuncia, nel rispetto non solo di chi è vittima di licenziamento da parte della Cgil, ma anche dei tanti compagni e delle tante compagne che, dentro e fuori la Cgil, ci mostrano ogni giorno la loro vicinanza e la loro solidarietà". E così, on line, vengono raccolte le sentenze del tribunale del lavoro e diversi video a dir poco impressionanti. In uno di questi, che potete vedere su LiberoTv, vi è un incredibile collage di testimonianze. 


Il video - "E' inaccettabile imbracciare la bandiera rossa, scendere in piazza per il diritto dei lavoratori quando poi tra quei lavoratori ci sono persone che di diritti non ne hanno". Quindi le confessioni. "Per tanto tempo non ho parlato. Vedevo la Cgil più grande di me. Mi sentivo sola". Oppure: "Hanno fatto tutto per licenziarmi". Quindi Giovanni Sapienza spiega: "Ho lavorato per 13 anni alla Cgil di Catania in nero". Quello che svela Romina Licciardi è terribile: "Ho lavorato due anni, dal 1998 al 2000 in nero, per conto della Cgil di Ragusa. Nel 2000 ho avuto un contratto part-time, dopo di che ricevo una tentata violenza da parte di un mio superiore. Denuncio i fatti, ma il mio superiore inizia una serie di azioni vessatorie nei miei confronti e vengo allontanata per un periodo dalla Cgil". E come questa altre drammatiche testimonianze sul sindacato che, in teoria, dovrebbe essere in prima linea nella difesa dei lavoratori.
clicca per il video
http://tv.libero-news.it/video/102920/_Soprusi__lavoro_nero_e_vessazioni_nella_Cgil_.html

Pedrazzini candidato sindaco lumbàrd "Pronto a vincere, mettiamoci la faccia"

Sul palco di SpazioArte è mancata l'investitura ufficiale dell'ex senatore del Carroccio, che non esclude alleanze pur di espugnare Piazza della Resistenza

Celestino Pedrazzini, Lega Nord di Sesto San Giovanni
Celestino Pedrazzini, Lega Nord di Sesto San Giovanni
Sesto San Giovanni, 29 ottobre 2011 - L’incoronazione ufficiale che tutti si aspettavano non c’è stata, ma dal palco di SpazioArte Celestino Pedrazzini ha comunque parlato come il candidato sindaco che si prepara a dare l’assalto al palazzo rosso. E non solo con la Lega Nord. Perché le alleanze, per assicurarsi la vittoria, sono tutte possibili. Lo ha detto chiaro e tondo l’ex senatore del Carroccio l’altra sera, quando in via Maestri del Lavoro le camicie verdi sono arrivate in massa ad ascoltare il ministro Roberto Maroni.

«Per vincere a Sesto è necessario costruire una squadra forte e compatta. Leviamoci dalla testa che ci sarà il ballottaggio, perché tocca vincere al primo turno - spiega Pedrazzini -. Non dobbiamo aspettare gli ultimi due mesi per costruire un’alternativa». Infatti, il Carroccio ha iniziato almeno due anni fa a puntare sull’ex senatore ingegnere. Che guarda al Pdl con favore e un po’ meno alle liste civiche e agli infiltrati speciali dell’ultima ora.
«Vogliamo gente che in questi anni ha messo la faccia, non quelli che arrivano alla fine e pretendono la benedizione».

Perché, come dicevano i militanti, stavolta la partita è seria. Stavolta «se si perde, Sesto rimane rossa per altri trent’anni». Parola di Pedrazzini. Che non fa il veggente, ma in questi mesi è andato a rileggersi i numeri. «Dal 2007 al 2010 la sinistra sestese è rimasta una massa compatta. Significa che dobbiamo cercare di prendere voti anche dall’altra parte».

Dando un’alternativa. «Il cambiamento non può essere soft, non dobbiamo solo cambiare i commensali. L’unica possibilità è ribaltare il tavolo e ricominciare a costruire da capo una proposta politica». Mentre il Carroccio si porta avanti, pensando a programmi e alleanze, il Pdl resta attento alla finestra. Al gran completo giovedì ha ascoltato le parole di Pedrazzini. E quelle di Maroni, che invece non esclude l’ipotesi di una corsa in solitaria. Ma si sa, il gioco delle alleanze dipende dall’asse Bossi-Berlusconi. E da altre partite. Perché oltre a Sesto, sul piatto c’è anche il Comune di Magenta, con i due partiti che potrebbero arrivare a uno scambio per piazzare il loro candidato. «Pedrazzini è una persona autorevole - commenta Antonio Lamiranda, capogruppo di An -. Gli accordi si possono trovare. L’obiettivo è comune: non vogliamo perdere l’occasione di vincere a Sesto».
di Laura Lana

Una caldarrosta costa più di un caffè: non basta un euro

É il business dell'inverno. Le castagne che una volta erano il cibo dei poveri sono diventate oggi un frutto di lusso. Almeno a giudicare dai prezzi praticati dai venditori ambulanti di caldarroste. Questo frutto autunnale ricco di carboidrati ha raggiunto quotazioni da record. Basti pensare che una castagna arrostita è quotata non meno di un euro. Provate ad acquistarne un cartoccio, non importa dove, a Milano, con punte massime in piazza Duomo e al Castello, allo stadio di San Siro o alla stazione Centrale, come in qualsiasi località della Lombardia: il prezzo va da un minimo di 5 euro a un massimo di 7 euro. Ogni cartoccio contiene 6 o 7 caldarroste. Non è difficile stabilire il prezzo di ogni castagna, sempre avendo la buona sorte di non trovarne qualcuna marcia. Chiaramente i produttori non vedono che una minima parte di questi soldi, mentre nei negozi di frutta e verdura i prezzi, seppur aumentati rispetto ad un anno fa, oscillano da due a sei euro al chilo.
http://www.ilgiornale.it/

sabato 29 ottobre 2011

Domani torna l'ora solare I consigli per gli insonni? "Attenti all'alimentazione"

ora solare

Francesco Nigro. Melissa 29.10.1949


Francesco Nigro.

Melissa 29.10.1949 - Al termine della Seconda Guerra Mondiale, in molti paesi del sud Italia, la terra rappresentava l’unico bene fondamentale per la sopravvivenza, la produzione e il sostentamento dell’economia del paese e dei suoi abitanti. Gli appezzamenti terrieri, erano in mano a pochi proprietari, che gestivano in maniera monopolistica, traendo il massimo profitto ma lasciando in miseria tutti coloro che le lavoravano. Nel piccolo paesino di Melissa, trenta chilometri da Crotone, in Calabria, nel fondo Fragalà del Barone Berlingeri, un’intera popolazione era ridotto allo stremo. Il Nobile possedeva in tutta la zona circa quattordicimila ettari di terreno. Un immenso latifondo, circondato con il filo spinato e utilizzato soltanto per far pascolare gli animali. Nella stagione buona il fondo Fragalà era destinato alla caccia, mentre i contadini della zona morivano di fame. Per questo, il 29 ottobre del 1949, il fondatore della Sezione locale del Movimento Sociale Italiano e reduce di guerra, Francesco Nigro, con a seguito i propri familiari e gli attrezzi di lavoro, marciarono pacificamente verso quelle terre incolte con l’intendo di occuparle. Era il tempo della semina delle fave, i contadini iniziarono ad incamminarsi alle cinque del mattino. L’unica raccomandazione fu di accogliere l’arrivo della Polizia con battimani e grida d’evviva. Cosi fu. Alla vista dei primi agenti, i contadini, si riunirono al centro della contrada di Fragalà e iniziarono a battere le mani. Come risposta giunsero i primi candelotti lacrimogeni. Alcuni braccianti li rilanciarono verso lo schieramento e iniziò l’inferno. Duecento celerini in assetto di guerra iniziarono a sparare con moschetti ad altezza uomo contro gente completamente disarmata. A cadere per prima sul selciato fu lo stesso Francesco Nigro, ventinove anni, Giovanni Zito, quindici anni, pastore handicappato, e una ragazza, Angelina Mauro, ferita gravemente alla schiena e deceduta pochi giorni dopo in ospedale. Quindici contadini restarono feriti, di cui due donne in gravi condizioni. Tra i feriti anche un altro attivista missino, Vincenzo Pandullo. Una tragedia della disperazione, una grave colpa della Polizia di Scelba. Il giorno dopo fu proclamato uno sciopero generale. Il Partito Comunista Italiano, tentò di cavalcare la protesta, concedendo una tessera postmortem a Francesco Nigro, sempre rifiutata dalla famiglia. Ma quella dell’esproprio del latifondo fu una battaglia del Movimento Sociale Italiano, partito popolare che a Melissa aveva costituito anche la Cooperativa Italia a cui aderirono persino contadini iscritti al Partito Comunista Italiano. Secondo Antonio Cariati, scrittore e editorialista per le pagine culturali del Corriere della Sera, autore dei libri “Gli orfani di Salò” e “I ragazzi della fiamma”, il giovane Francesco Nigro, fu il primo militante missino ucciso dalla polizia, definendo l’eccidio di Melissa come un episodio chiave nella memoria delle lotte contadine. Stranamente, il Movimento Sociale Italiano, se non con timidi tentativi locali non rivendicò mai il suo martire e la partecipazione all’evento.

Mario Zicchieri. Roma 29.10.1975


Mario Zicchieri.

Roma 29.10.1975 - La famiglia Zicchieri abitava in un appartamento, al secondo piano con due camere più servizi, in via Dignano D’Istria 29, borgata Prenestina periferia di Roma, una traversa stretta e tortuosa. Il marito, Germano, lavorava alla Stefer, azienda tranviaria, come impiegato. Taciturno e democristiano convinto. La moglie, Maria Lidia, invece, lavorava come commessa in una pasticceria di via Po, da “Pasquarelli”. Le figlie, Monica e Barbara, rispettivamente di tredici e dodici anni, frequentavano la scuola in via Aquilonia, dove le scuole medie e il liceo erano completamente attaccate. Infine, l’unico figlio maschio, Mario, diciassette anni, studente al terzo anno del corso per odontotecnici presso la scuola Eastman di via Galvani. Spesso l’orario di lezione si allungavano fino a tardi pomeriggio per le esercitazioni di laboratorio. Aveva fatto il boy scout, era iscritto alla palestra pugilistica di Angelino Rossi e al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, presso la sezione di via Erasmo Gattamelata, nel cuore di uno dei più popolosi quartieri della Capitale, una specie di avamposto nel deserto dei tartari. La simpatia per il fascismo era arrivata a Mario Zicchieri non solo dal lato materno, il nonno di Maria Lidia, Bonifacio Albanesi, era podestà della cittadina sul litorale romano, Terracina, un personaggio sanguigno e forte, ma anche attraverso un’altra figura decisiva, il maestro elementare, un ex simpatizzante della Repubblica Sociale Italiana. In sezione tutti lo chiamavano “Cremino”. Quel soprannome non derivava dal colore della sua carnagione, ma dal fatto che era troppo goloso dell’omonimo gelato Algida. Una settimana prima dell’agguato, Mario Zicchieri, era andato a raccogliere le firme per una petizione popolare che chiedeva l’istallazione degli impianti di illuminazione nel quartiere, insieme ad un altro missino e amico inseparabile, Marco Lucchetti. Era cresciuto in Australia dove il padre era emigrato come manovale. Ritornato a Roma, si era avvicinato al sezione del Movimento Sociale Italiano per fare amicizia e per ambientarsi. Intanto da giorni la guerriglia per il controllo del territorio era imperversa. Apparvero molte scritte sui muri ad opera di Avanguardia Operaia, persino sotto casa di Cremino, “Fascisti a Morte” con falce e martello. Il 29 ottobre del 1975 la scuola in via Galvani era in sciopero e Mario Zicchieri per arrotondare la paghetta aveva deciso di intrattenere per qualche ora il cuginetto. Gli zii più volte lo invitarono a fermarsi da loro ma Mario Zicchieri aveva degli impegni da rispettare. Infatti la sera prima era stato a cena insieme ad altri missini per organizzare un volantino e ricordare l’assassinio di Sergio Ramelli a Milano, preparare la manifestazione a favore degli sfrattati e aspettare il falegname per cambiare la serratura della sezione. Spesso era proprio Mario Zicchieri che disegnava i volantini, con lo stilo d’acciaio direttamente sulla matrice di cera. Non era facile con la pallina tonda del pennino, bisognava stare molto attenti, anche se Mario Zicchieri era già abituato con i ferri da odontotecnico. Cremino era in sezione, davanti al ciclostile che sputava inchiostro e divorava carta. Alcuni missini, guardando la strada lo invitarono ad uscire per guardare delle ragazze. Marco Lucchetti era già sulla soglia della porta ed uscirono. Nemmeno a cinque metri dal marciapiede della sezione ad attenderli una macchina, centoventotto di colore verde targata Roma M 92808, con il motore acceso. Scesero due persone, pochi passi e spararono con fucili a pompa, cartucce da caccia misura 00, una pioggia di pallini, da quella distanza non vi era scampo. Mario Zicchieri fu il primo a essere ferito, colpito alle gambe e al pube, avvitandosi su se stesso cadde a terra agonizzante. L’altra fucilata, invece, fu per Marco Lucchetti, colpito, invece, alle gambe e a una mano, non in pericolo di vita. Il più grave era Cremino. Gli assassini avevano mirato al basso ventre, l’arteria era recisa e nel giro di pochi secondi già era in un lago di sangue. Il primo a soccorrerlo fu il tappezziere che aveva la bottega proprio al fianco della sezione missina. Subito si rese conto del problema dell’emorragia. Corse in negozio prese un giornale per tentare disperatamente di bloccare il sangue con dei tamponi improvvisati premendo sul bacino. Ma Mario Zicchieri era in stato di semincoscienza e quando fu trasportato all’ospedale era già clinicamente morto. Aveva appena diciassette anni. Proprio in quel momento, mentre partivano le fucilate, si trovava di passaggio un aviere in servizio, Vincenzo Romani. Il militare si lanciò con la propria vettura all’inseguimento, ma dalla centoventotto si abbassarono i finestrini e spuntarono di nuovo le armi. Il militare fu costretto a ritirarsi. Al capezzale di Marco Lucchetti, il padre Alessandro, con il torace fasciato per le fratture che si era procurato in un incidente sul cantiere. La madre di Mario Zicchieri fu avvertita dal cognato mentre si trovava in pasticceria. Il padre, Germano, invece, nella sua abitazione, poco dopo il rientro dall’ufficio, da un giornalista, subito colto da malore. I solenni funerali furono organizzati nella chiesa di San Leone Magno, al Prenestino, il 31 ottobre del 1975 alle ore sedici. Migliaia di persone arrivarono in corteo da via Erasmo Gattamelata, letteralmente ricoperta di fiori e di corone. Come al solito fu un rito di casa missina. In testa il Segretario Giorgio Almirante, Teodoro Buontempo e D’Addio, parlamentari del partito e consiglieri comunali. Tutti i ragazzi indossarono la fascetta del Movimento Sociale Italiano. In chiesa numerosi cartelli, quello più significativo del Fronte della Gioventù: “ Mario aveva diciassette anni, voleva vivere, voleva cambiare questa sporca Italia”. Si presentò anche la fidanzata di Mario Zicchieri per la prima volta alla famiglia. Da via dei Volsci, sede di Autonomia San Lorenzo, un drappello di agitatori cercò più volte di interrompere la cerimonia. La situazione degenerò in assalti e contrassalti. Circa cinquecento missini, guidati da Signorelli e D’addio, si diressero verso il centro per assaltare il Ministero dell’Interno in via del Viminale, la sezione del Partito Comunista Italiano di via Cairoli, la sezione di lotta Continua in via dei Piceni. Quattro sconosciuti, a bordo di una Bmw, aggredirono a colpi di pistola, la sezione missina in via Etruria vicino a San Giovanni. Una centoventotto con quattro neofascisti fu data alle fiamme, per fortuna gli occupanti riuscirono miracolosamente a mettersi in salvo. Nella notte, i militanti missini, affissero in tutta la città manifesti in onore a Mario Zicchieri. Anche il Sindaco di Roma, Clelio Darida, dedicò la seduta alla giovane vittima. Germano Zicchieri, dal giorno della morte del figlio, lo sguardo si era pietrificato, era entrato in un tunnel, in un calvario di depressione che lo portò alla morte nel 1996. Monica e Barbara, le sorelle, con il contatto obbligato con i più grandi diventò per loro un inferno. Addirittura inseguite, spintonate e insultate da alcuni ragazzi della sinistra extraparlamentare del liceo. Furono costrette a perdere l’anno scolastico e a iscriversi presso un nuovo istituto. Maria Lidia, invece, fu licenziata dalla pasticceria, per fortuna trovò occupazione in una fabbrica a Pomezia grazie all’aiuto di Michele Marchio, avvocato del Movimento Sociale Italiano. Si costituì parte civile nel processo giudiziario per la morte del figlio. Lo Stato fu assente. Ancora una volta non si videro assistenti sociali, istituzioni, psicologi, nessuno. Completamente abbandonati al loro dolore. Il 2 gennaio del 1978 fu devastata la lapide che i giovani del Fronte della Gioventù avevano affisso sul muro di via Gattamelata. Un chilo di polvere da mina e venti per cento di tritolo. Il 16 luglio dello stesso anno un’altra bomba esplose contro la sezione Prenestino. Intanto, la Magistratura brancolava nel buoi. Una descrizione approssimativa dei due assassini venne data dall’aviere e da Marco Lucchetti proprio durante il periodo di degenza. Il Questore, in un primo momento, aveva battuto la pista dei Nuclei Armati Proletari suscitando l’ira di Lotta Continua. In mancanza di necessari riscontri il Giudice Istruttore D’Angelo fu costretto ad archiviare l’inchiesta. Solo sette anni dopo, nel 1982, durante il processo Aldo Moro, le dichiarazioni di una brigatista pentita, portarono alla riapertura del caso. Emilia Libera sostenne che uccisero Mario Zicchieri per essere promossi brigatisti. In una riunione ristretta del Comitato Comunista di Centocelle si era parlato dell’omicidio di Mario Zicchieri. Gli esecutori furono Bruno Seghetti, Germano Maccari e Valerio Morucci detto Pecos, anni dopo considerati tutti organizzatori del sequestro Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse durante i cinquantacinque giorni del 1978. Le conferme arrivarono anche da altri brigatisti, Walter Di Cera e Antonio Savasta. Il giudizio per Mario Zicchieri fu inserito all’interno del processo Aldo Moro, insieme a tutti gli altri delitti compiuti dalle Formazioni Comuniste Armate, ribattezzate Fac. La richiesta di rinvio a giudizio fu per omicidio premeditato. Il 20 febbraio del 1986 la seconda Corte d’Assise di Roma, presieduta da Sorichilli, emise il verdetto. Assoluzione piena per non aver commesso il fatto. Sconcerto per la famiglia Zicchieri e per la parte civile. Il processo di secondo grado si svolse meno di un anno dopo. Sette ore di camera di consiglio, il rappresentante della Pubblica Accusa, Procuratore Generale Labate, chiese e ottenne l’assoluzione per insufficienza di prove. Nel settembre dello stesso anno venne incredibilmente bocciato il ricorso in Cassazione e per la parte civile non ci fu più nulla da fare. I tre brigatisti furono condannati per altri reati ma non per l’omicidio di Mario Zicchieri. Strano che un personaggio chiave come l’aviatore, Vincenzo Romani, testimone oculare dell’omicidio in via Gattamelata, non fu mai ascoltato dalla Corte.

Lombardia, la guerra dei call center e il servizio gratis diventa a pagamento La Lega ne ottiene uno a Milano, resta quello in Sicilia a Paternò, il paese di La Russa


DA MARZO 2012 IL CALL CENTER PER PRENOTARE LE VISITE COSTERÀ 50 CENTESIMI DA CELLULARE

Lombardia, la guerra dei call center
e il servizio gratis diventa a pagamento

La Lega ne ottiene uno a Milano, resta quello in Sicilia a Paternò, il paese di La Russa

MILANO - Una telefonata hot. Dall'altro capo del filo si offrono, però, Tac ed ecografie. Da marzo 2012 il call center di Regione Lombardia per prenotare le visite e gli esami medici costerà per le chiamate da cellulari cinquanta centesimi «a contatto».
Tutta colpa di Paternò. Un paesone di cinquantamila abitanti a una ventina di chilometri da Catania. Il paese dei fratelli La Russa. Il paese che dal 2007 ospita i 600 addetti del centralino sanitario. Una vicenda tutta politica, e tutta interna alla maggioranza di centrodestra che governa da un quindicennio il Pirellone. Lega contro Pdl, ancora una volta.

Quattro anni fa la Lombardia ha appaltato a milletrecento chilometri di distanza il call center. «Paternò, provincia di La Russa», masticarono amaro i leghisti del Pirellone. La controffensiva iniziò la primavera scorsa, con la nomina di Lorenzo Demartini, ex consigliere del Carroccio, al comando della holding Lombardia Informatica. Nel mirino dei lumbard finì Giovanni Catanzaro, consigliere delegato della società da oltre un decennio. Catanzaro è uomo politicamente vicino a La Russa. E cittadino onorario, dal 2008, proprio del Comune di Paternò. Il capogruppo leghista Stefano Galli era stato il più duro a denunciare in Consiglio regionale i «tanti», «troppi» incarichi di Catanzaro nei cda di società partecipate ed enti pubblici.

Tanto furore non poteva non portare al risultato: addio Sicilia, i centralini dei lombardi tornano ai lombardi. Eccola, la svolta. Un nuovo call center affiancherà quello di Paternò. Per un paio d'anni, fino alla primavera del 2014, quando di fatto si procederà a privatizzare il servizio. Affiancare, appunto. Perché Paternò non chiuderà. Non subito, almeno. Il numero verde raddoppia, e le telefonate finora gratuite si pagheranno per coprirne almeno in parte i costi.

L'ultima puntata è quella di mercoledì scorso. La giunta approva la delibera che dà il via al progetto. «Si prevede una ripartizione di costi con il cittadino pari a 0,50 euro fisso per ogni contatto telefonico da cellulare», si legge nell'allegato al documento. Il consigliere del Pd Alessandro Alfieri allarga le braccia: «Siamo di fronte a una inutile duplicazione del call center pretesa dalla Lega. Il risultato è che ci saranno costi più alti e nessun miglioramento del servizio. E oltre al danno per i lombardi si aggiunge la beffa del nuovo balzello. È, in piccolo, una storia simile a quella dei ministeri del Nord nella Villa Reale di Monza».
Simona Ravizza e Andrea Senesi
29 ottobre 2011 15:06

venerdì 28 ottobre 2011

Un "onorevole" stipendio anche per i consiglieri regionali

Consiglieri regionali più pagati

I pranzi a tariffe agevolate dei senatori? Una bufala. Ecco i veri scontrini


Sta circolando un’altra bufala su facebook. Ma la notizia non è questa, se così fosse dove starebbe la novità?
La vera notizia è che, per buona pace di grillini, popoli viola, seguaci di fan page come “Se tutto va bene siamo rovinati” e “I segreti (?) della casta di Montecitorio”, non è affatto vero che senatori e deputati spendano solo 87 centesimi per un piatto di trofie o 3 euro e 41 per una tagliata, per citare gli esempi contenuto sullo scontrino che sta girando in rete.
A smentire la bufala è un senatore della Lega Nord, Cesarino Monti, il quale ha deciso di fotografare e pubblicare uno scontrino del ristorante del Senato: ebbene, il senatore in questione ha speso 24,06 euro per un filetto alla griglia. Ne ha mangiati due, quindi 48,12 euro, cui si aggiungono i 67 centesimi per mezzo litro di acqua minerale e i 52 centesimi per il servizio.
Totale: 49,31 euro per un pranzo a base di due filetti alla griglia.
Le “tariffe agevolate” sono ben altro, no?
Lo scontrino che circola in rete è quindi un falso? Non esattamente. Semplicemente, chi l’ha fatto circolare, in buona o cattiva fede (è più probabile la seconda ipotesi) ignora la differenza tra “mensa” e “ristorante”.
Ebbene, la mensa è riservata ai dipendenti e ai militari del Senato e non certo ai senatori. E’ vero, ha tariffe agevolate, ma i dipendenti non guadagnano certo quanto un senatore e non beneficiano neppure dei buoni pasto.
Teniamo presente che alcune mense, come quella della Rai, costano meno di quella del Senato.
Osservando entrambi gli scontrini (vedere sotto) si possono notare le differenze: nel primo appare la dicitura “Mensa del Senato” ed un codice cliente, nel secondo “Ristorante del Senato” ed il nome e cognome del senatore, in questo caso Cesarino Monti.
A tutti quelli che si sono indignati esclamando “La casta è strapagata e spende solo 3 euro e 41 centesimi per una tagliata. Vergogna!” chiediamo: secondo voi quanto deve pagare un dipendente del Senato, che guadagna anche 500 euro (o 1.000, 1.200, come i comuni mortali) al mese, per un pranzo?
Cavalcando l’odio anti-casta si diffondono informazioni sbagliate ed in malafede. Sarà anche vero che i parlamentari guadagnano troppo o sono da ridurre, ma il populismo di chi vuole indottrinare la massa con l’onda dell’anti-politica è molto peggio della politica stessa.
Attenzione alle bufale!

Scontrino mensa che sta circolando in rete:

Scontrino ristorante senato, ossia quanto spende davvero un senatore:

giovedì 27 ottobre 2011

Tutti a mangiare da Senato della Repubblica

Per i signori "onorevoli"


Per i comuni mortali

Palermo, un'alunna è musulmana Il quadro della Madonna via dall'aula

La famiglia di una studentessa, musulmana, si lamenta dei simboli religiosi in aula e la preside li fa togliere. Ma gli altri genitori insorgono: "Preserviamo la nostra cultura". L'episodio si è verificato a Borgo Molara, nel Palermitano
http://www.ilgiornale.it/1madonna

mercoledì 26 ottobre 2011

IN EUROPA SI VA IN PENSIONE A 67 ANNI? MA I POLITICI SOLO DA NOI SONO UNA RAZZA SUPERIORE!!!

Un vero italiano: il generale Leonardo Tricarico restituisce alla Francia la “Legion d’Honneur”



Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, non ci sta. E per manifestare tutto il suo sdegno compie uno dei gesti più significativi che un ex generale può fare. Tricarico ha restituito oggi alla Francia la “Legion d’Honneur”, la Legion d’Onore, ordine cavalleresco istituito da Napoleone Bonaparte nel 1802, nonché una delle più prestigiose onorificenze francesi. L’alto riconoscimento gli era stato assegnato per il ruolo svolto durante il conflitto in Kosovo. E così il generale italiano per onorare il nostro Paese, disconosce gli onori che lui stesso si è guadagnato sul campo di guerra. E’ il suo atto di protesta contro  “l’irriguardoso comportamento” del presidente francese Nicolas Sarkozy durante il siparietto ridanciano con la collega tedesca Angela Merkel a Bruxelles.
Comportamento irriguardoso - Oggi Tricarico, come riferiscono le agenzie di stampa, ha restituito la Legion d’Onore all’ambasciatore francese in Italia, insieme ad una lettera nella quale ricorda di aver ricevuto dal presidente Jacques Chirac una onorificenza “della quale – scrive – sono oggi costretto a privarmi con rammarico e dispiacere di fronte al comportamento irriguardoso dell’attuale Presidente francese nei confronti dell’Italia”.
La lettera - La lettera si chiude con un post scriptum in cui Tricarico ricorda un aneddoto legato proprio al cognome di monsieur le Président.
“Il 25 novembre 1916 il nostro leggendario aviatore, il capitano Francesco Baracca​, abbatté il ricognitore austro-ungarico del tenente Kalman Sarkozy, che fu preso prigioniero. Pur essendo incerto il legame di parentela di quell’aviatore ungherese con l’attuale Presidente, l’episodio indica che gli Italiani – affrancati dalle peculiarità di un sistema che tarpa loro le ali – sanno vincere le loro battaglie. Anche quando di fronte abbiamo un Sarkozy”.
http://www.questaelasinistraitaliana.org/2011/un-vero-italiano-il-generale-leonardo-tricarico-restituisce-alla-francia-la-legion-dhonneur/

Ecco il Pd contro la precarietà "Lavora con noi! 4 euro l'ora"































http://www.libero-news.it/news/854284/Ecco-il-Pd-contro-la-precariet%C3%A0-Lavora-con-noi-4-euro-l-ora.html

Il debito pubblico? Il peccato originale di Cavour

di Vito Tanzi

Cavour voleva trasformare il Piemonte in uno Stato moderno, che assomigliasse alla Francia e alla Gran Bretagna – esempi che egli ammirava – e voleva farlo in fetta. Il raggiungimento di questo obiettivo richiedeva però grandi quantità di denaro.
Le ambizioni di Cavour lo resero pressoch´ indifferente all'entità del debito pubblico, a patto che la spesa venisse destinata in modo efficiente al raggiungimento dei suoi scopi. Fin dal principio egli aveva invocato la massima trasparenza nella stesura e nella presentazione del bilancio dello Stato. Tuttavia, probabilmente senza averne l'intenzione, il governo di Cavour iniziò a ricorrere a quella che oggi potremmo definire “ingegneria finanziaria” o, meno caritatevolmente, espedienti contabili. \ Cavour era convinto che una forte tassazione fosse il prezzo che un paese doveva pagare per il progresso e per godere delle libertà civili che lo accompagnano. In effetti si tratta di una convinzione condivisa – allora come oggi – da numerosi economisti. Pertanto egli accrebbe le imposte al fine di coprire l'aumento della spesa pubblica, cercando al tempo stesso di distribuire più equamente il peso della tassazione tra le varie classi di reddito. \ Certamente questa politica non gli avrebbe fatto vincere una gara di popolarità a Torino, ma risultò gradita a molti economisti. La concezione che Cavour aveva del ruolo economico dello Stato e del ricorso alle politiche pubbliche al fine di favorire il progresso era, per i suoi tempi, all'avanguardia. \
Disgraziatamente, come avviene di solito in questi casi, l'indebitamento aumentò in misura significativamente maggiore della crescita economica, cosicch´ il servizio del debito, ossia il pagamento degli interessi, divenne un grave problema. Tra il 1847 e il 1859 il debito pubblico piemontese aumentò addirittura del 565 per cento. L'ammontare complessivo sarebbe ulteriormente cresciuto, grosso modo triplicandosi, tra il 1859 e il 1861, quando raggiunse i 2.000 milioni di lire, un valore astronomico per quei tempi, specialmente per un piccolo Stato come il Piemonte.
Sembra che, nell'anno precedente all'unificazione, Cavour fosse giunto al convincimento che, ben preso, l'alternativa sarebbe stata tra l'unificazione dell'Italia o l'inadempienza (default) del Regno di Sardegna. L'unificazione – e il sistema di governo unitario che ne sarebbe conseguito – avrebbe permesso di raggiungere uno dei più importanti obiettivi di Cavour e avrebbe altresì offerto una via d'uscita dai problemi finanziari del Piemonte. \
Quale che sia il ruolo e la responsabilità da attribuire a Cavour e al Regno di Sardegna (tema che potrebbe suscitare un interessante dibattito), è innegabile che la nascita dell'Italia sia stata segnata da un peccato originale, vale a dire un enorme debito pubblico, che avrebbe accompagnato il nuovo Paese.
http://www.ilgiornale.it/cultura/il_debito_pubblico_il_peccato_originale_cavour/26-10-2011/articolo-id=553599-page=0-comments=1

martedì 25 ottobre 2011

Vox Populi e Fondazione Radici Europee insieme


Venerdì scorso, Palazzo Mezzanotte (sede della Borsa di Milano e splendido esempio di architettura fascista) ha ospitato un grande evento politico internazionale, ovvero la doppia intervista, realizzata da Vittorio Feltri (de Il Giornale), all'On. Daniela Santanchè (Sottosegretario del Governo guidato da Silvio Berlusconi, Segretaria Nazionale del Movimento per l’Italia e Dirigente Nazionale del Popolo della Libertà) e l'On. Marine Le Pen (figlia ed erede politica di Jan Marie Le Pen, Segretaria del Front National francese, eurodeputata e prossima candidata alle elezioni presidenziali). L’eccezionale evento (a porte chiuse e riservato alla stampa, per motivi di opportunità politica e sicurezza) è stato organizzato dalla Associazione Vox Populi di Roberto Perticone e dalla Fondazione Radici Europee di Diego Zarneri. Alla iniziativa ha subito aderito, con entusiasmo, Roberto Jonghi Lavarini, da sempre “lepenista” convinto, da quando, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, come Dirigente e poi Segretario Provinciale del Fronte della Gioventù di Milano, tramite lo storico eurodeputato missino “romualdiano”, On. Franco Petronio (vice-presidente delle Destre Europee), ha incominciato a tessere rapporti politici e personali con gli esponenti dei movimenti nazionalisti ed anticomunisti europei e mondiali. 
Il promotore, Roberto Perticone (noto esponente della destra sociale lombarda, già dirigente missino, poi di AN, ex Segretario Regionale de La Destra di Francesco Storace,esperto di Ezra Pound e di relazioni internazionali, amico personale della famiglia Le Pen), in realtà, prima, aveva proposto la sua iniziativa ad altri esponenti politici nazionali del PDL provenienti dal MSI ma nessuno di questi ha avuto i necessari “attributi” per accettare questa sfida, a differenza di Daniela Santanchè che, avrà  pure i suoi difetti, ma, certamente, non manca di coraggio, fregandosene altamente di perbenisti e benpensanti. Prima di lei, solo l'eurodeputato leghista, On. Mario Borghezio, aveva avuto il coraggio politico di esporsi con il Fronte Nazionale. Purtroppo, gli ex misini, pieni di complessi di colpa e di inferiorità, giunti ai vertici del potere, salvo rare eccezioni, sono diventati i più ligi interpreti del “politicamente corretto”, e, in questo caso, hanno temuto di essere etichettati come lepenisti, “estremisti e razzisti”.
Grazie, dunque, a Daniela Santanchè, che ha fatto sua questa proposta, oltre che per farsi pubblicità personale, anche e soprattutto per far conoscere (quindi implicitamente “sdoganare”, legittimare e sostenere) il Fronte di Marine Le Pen, candidata all’Eliseo, per la vera destra nazional-popolare, in contrapposizione a Nicolas Sarkozy. Marine Le Pen ha dimostrato di avere il carisma e la determinazione del padre, una notevole dose di simpatia ed autoironia, grande fascino femminile e, soprattutto, idee chiare sul presente e sul futuro della Francia e dell’Europa. La vera contrapposizione politica è, secondo la leader della destra radicale francese, fra i veri patrioti (sociali ed identitari) ed il mondialismo (capitalista e liberal-socialista), fra l’Europa cristiana dei popoli e delle nazioni ("dei castelli e della cattedrali") e quella dei banchieri e dei burocrati, fra l’autodeterminazione dei popoli e l’imperialismo della finanza internazionale che (come ad esempio in Libia) con la scusa della democrazia, è interessato solo al petrolio ed allo sfruttamento delle ricchezze altrui. Da questa analisi le proposte del Fronte sul blocco totale della immigrazione extraeuropea, sulla revisione della moneta unica e sulla costruzione di una Europa Nazione, politicamente e militarmente forte, libera ed indipendente dagli interessi USA. Il nuovo Fronte Nazionale è si moderato nella forma e moderno nell’estetica ma ribadisce tutta la sua potente tradizione valoriale e controrivoluzionaria. Quanto espresso nel corso dell'intervista è tutto contenuto nel libro autobiografico e programmatico di Marine Le Pen, "Controcorrente", in Italia edito dalle edizioni de Il Borghese, con la prefazione del giornalista di destra Fabio Torriero.

All’incontro, oltre a decine di giornalisti, erano presenti anche alcuni, selezionati esponenti politici, forniti di invito numerato e nominale, fra questi: Attilio Carelli(Dirigente Nazionale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, guidato da Luca Romagnoli, unico movimento politico italiano ufficialmente alleato del Front National),Generoso Melorio, Massimo Parise e Valeria Valido (dirigenti del Movimento per l’Italia), Franco Seminara (del sindacato nazionale Unione Generale del Lavoro), Francesco Filippo Marotta Mario Mazzocchi Palmieri (del comitato Destra per Milano), Flavio Nucci (del movimento Destrafuturo), Carlo Lasi (segretario del movimento Patria Sociale), il Prof. Giuseppe Manzoni di Chiosca (presidente del Centro Studi Europa 2000) e storici militanti della destra milanese come Remo Casagrande e la contessaElena Manzoni di Chiosca e Poggiolo (una delle promotrici della "maggioranza silenziosa").


LA DUCIONA MINISTRO DEGLI ESTERI!


LA DUCIONA MINISTRO DEGLI ESTERI! - LA MUSSOLINI SPARA PALLETTONI SUL NANOLEONE DELL’ELISEO E LA CANCELLIERA TEDESCA: “SARKOZY? CI SIAMO DIMENTICATI CHE È ANDATO A FARE UNA CONFERENZA STAMPA DA UBRIACO?” - “LA MERKEL? UNA VAJASSA, PORTA DELLE GIACCHE TERRIFICANTI, È RIMASTA ALLA DDR” - LO SBERLEFFO: “È STATA UNA SCENA PIETOSA, SEMBRAVANO GIANNI E PINOTTO” (BOTTE PURE PER CARLÀ)…


"Una scena pietosa. Sembravano Gianni e Pinotto. Una gag di terz'ordine." Così Alessandra Mussolini, deputata del Pdl alla Zanzara su Radio 24 commenta le risate del Presidente francese e del Cancelliere tedesco. "Sarkozy? Ma chi, quello che sta con chi suona la chitarrina? E ci siamo dimenticati che è andato a fare una conferenza stampa da ubriaco? E la Merkel? "Una vajassa, porta delle giacche terrificanti, è rimasta alla Germania comunista. Il muro per lei non è ancora caduto".
merkel e sarko ridono di berlusconiMERKEL E SARKO RIDONO DI BERLUSCONIALESSANDRA MUSSOLINIALESSANDRA MUSSOLINI
Sul nome della figlia di Carla Bruni, la Mussolini prosegue alla Zanzara su Radio 24: "Il nome italiano della figlia? Una paraculata di Carla Bruni, che vuole tenere il piede in due staffe. Se lui la caccia, lei torna in Italia. E poi suona canzoni orribili, sono un purgante. Ha una voce patetica"

CARLA BRUNICARLA BRUNIhttp://www.dagospia.com/

L'asta dei beni comunali fa flop E le casse restano all'asciutto

Le casse comunali restano all’asciutto: le aste per la svendita degli immobili di proprietà dell’amministrazione vanno ancora deserte
Daniela Gasparini, sindaco di Cinisello Balsamo
Daniela Gasparini, sindaco di Cinisello Balsamo

Cinisello Balsamo, 25 ottobre 2011 - Le casse comunali restano all’asciutto: le aste per la svendita degli immobili di proprietà dell’amministrazione vanno ancora deserte. A Cinisello e dintorni pare non esserci nessuno interessato ad acquistare gli appartamenti e le altre proprietà messe all’asta: come a dire, se l’amministrazione è in bolletta e cerca liquidità, anche i cittadini lo sono, e non possono permettersi di fare grandi spese. In particolare, non è riuscita la vendita in gara dell’ex colonia marina di Pietra Ligure, un enorme immobile a due passi dalla spiaggia, di cui il Comune non vedeva l’ora di disfarsi. Nulla da fare, due gare su due andate deserte. E lo stesso vale per molte altre proprietà che l’Amministrazione comunale ha deciso di vendere tramite gara pubblica. Due gare, due gare deserte; e poi, qualche tentativo di accordo privato, non sempre andato per il verso giusto.


Il piano delle alienazioni predisposto dall’amministrazione cinisellese fino a ora non ha riscosso il successo desiderato e immaginato. Le gare indette dal Comune di Cinisello sono state in totale 21 nell’ultimo anno: di queste 18 erano relative a immobili e 3 a terreni. Dei 18 immobili, solo uno è stato alienato e nello specifico quello di via Gran Sasso al civico 12. Un po’ meglio è andata con la vendita dei terreni: dei 3 messi al bando, due sono stati venduti con successo, sia quello sito in via Risorgimento, sia quello di via XXV Aprile all’angolo con via Tiziano (entrambi in fase di rogito).
Magro bottino, per tirare le somme e anche il futuro si preannuncia non del tutto roseo, visto che in generale gli interessamenti alle gare sono comunque pochi. L’assessore competente, Rosa Riboldi, prova a fare chiarezza: «Solitamente, ci siamo accorti che succede questo: le gare vanno deserte perché gli interessati preferiscono trattare in maniera privata — spiega l’assessore al Patrimonio —. Succederà così, ce lo auguriamo, anche con l’ex colonia ligure».

Dati, quelli registrati dal piano delle alienazioni, che fanno presagire alcune difficoltà anche in vista di una possibile (al momento non certa) vendita del Cinema Marconi, che continua a fare dentro e fuori dalla voce «Alienazioni» del bilancio biennale. «Se fanno fatica a vendere qualche appartamento — si sono chiesti in molti —, come faranno a vendere un immobile così grosso?». I tentativi però proseguono: il 3 novembre scadrà la possibilità di presentare le domande per aderire all’asta di vendita di un immobile di proprietà comunale sito in via Monfalcone 40; il 12 dicembre la scadenza invece per il secondo esperimento d’asta per l’alienazione di altre cinque proprietà.

di Andrea Guerra

http://www.ilgiorno.it/sesto/cronaca/2011/10/25/606975-asta_beni_comunali_flop.shtml

Mario Bordogna.

Milano 24.10.2011 - Volontario di guerra, istruttore paracadutista, Ufficiale del “Barbarigo”, primo reparto di fanteria di marina della Decima Flottiglia Mas, encomio solenne sul fronte di Anzio - Nettuno contro l’avanzata delle truppe Alleate, distintivo d’Onore di Guerra, aiutante del Comandante Junio Valerio Borghese dall’otto settembre del 1943 fino al ventisei agosto del 1974 e Presidente dell’Associazione Decima Flottiglia Mas. Mario Bordogna, in un’intervista per la pubblicazione del libro “La Decima Flottiglia Mas e la Venezia Giulia 1943 – 1945” di Sole De Felice, edizione Settimo Sigillo, si descriveva e spiegava le sue scelte di vita durante gli anni del Regime Fascista. Sono nato nel 1920. L'8 settembre del 1943 ero istruttore paracadutista alla scuola di Tarquinia. Alla dichiarazione di guerra nel 1940 frequentavo la Facoltà di Agraria in Milano e mi sono subito arruolato volontario. Inviato prima a Cremona III Artiglieria di corpo d’armata nel marzo del 1941, su domanda fui trasferito alla scuola Paracadutisti di Tarquinia. Partendo volontario nel 1940 avevo un mio motto: Non per un partito, ma per una Patria. Prima del 25 luglio del 1943 lei si riteneva un fascista convinto? Prima del 25 luglio mi sono sempre ritenuto un perfetto Italiano che ha subito risposto alla chiamata della Patria che era costretta a dichiarare guerra. Pur essendo stato nei Balilla, Avanguardisti e Giovani Fascisti non mi sono mai occupato della politica economica fascista. In Italia si era rispettati, vi era organizzazione seria, non vi era delinquenza, ma ordine e rispetto. I postulati: Dio – Patria - Famiglia erano rispondenti alla mia coscienza d'italiano. Quali sono state le sue sensazioni dopo l'8 settembre? Furono diverse da quelle dopo il 25 luglio? Al 25 luglio del 1943 ho compreso la doppiezza del popolo italiano e all'8 settembre ho visto la vigliaccheria di un Governo che non amava l'Italia, ma solo i propri interessi. Tutta l'Italia, esercito compreso fu abbandonato senza ordini. Il Re ed il capo del Governo scappano da Roma e si rifugiano in territorio italiano atto a venire immediatamente occupato dai nemici angloamericani: è una resa senza condizioni. Nel momento di scegliere tra Mussolini ed il Re non ha creduto di venir meno al giuramento nei confronti di quest'ultimo? Il re fuggendo mi aveva liberato dal giuramento di fedeltà. Quando il comandante in capo fugge non si può seguirlo nell'onta e nel disonore. Perché ha scelto di aderire alla Decima Flottiglia Mas? Credeva ancora nella possibilità di una vittoria dell'Asse o la ispiravano altre motivazioni? Al 9 di settembre chiesi all'aiutante della scuola Paracadutisti di essere inviato a Trieste perché ritenevo che in quella zona si sarebbe svolta la vera tragedia italiana. Già da tempo sapevo che la guerra sarebbe stata persa, ma la resa incondizionata non era nei miei intendimenti. Si chiede la resa solo quando si è combattuto sino all'ultima cartuccia o si è morti colpiti dal nemico. Quando andai a Trieste, ove giunsi sempre in divisa e armato, il 12 settembre, nulla si sapeva di Mussolini. Io sapevo che bisognava combattere ancora per lavare il disonore della resa. Qual’era il principale obiettivo della Decima Flottiglia Mas? Qual è stato il suo ruolo all'interno di questa formazione? Una sua definizione del Comandante Junio Valerio Borghese. A Trieste incontrai il Capitano di corvetta Umberto Bardelli inviato dal comandante Junio Valerio Borghese della Decima Mas per recuperare materiale militare a Fola. Con lui rimasi rientrando a la Spezia e poi costituito il Btg. Barbarigo andai al fronte di Nettuno. Ero responsabile della Compagnia Comando. Nel giugno del 1944 al rientro dal fronte fui assegnato quale ufficiale addetto al Comandante Junio Valerio Borghese. Cosa pensava di Mussolini e delle sue responsabilità nella condotta della guerra? Mussolini vedeva gli italiani come lui li desiderava. La guerra fu voluta perdere. Cosa ne pensava delle altre formazioni militari della Repubblica Sociale Italiana e della militarizzazione del Partito voluta da Pavolini? Era al corrente di gruppi politicizzati e alternativi all'esercito? Nel periodo 1943 - 1945 io pensavo alla mia incombenza nella Decima Mas, e non mi interessavano le altre formazioni militari della Repubblica Sociale Italiana. Sapevo che anche queste volevano difendere il suolo italiano. Che immagine aveva degli Alleati? Notava delle differenze tra americani ed inglesi ed auspicava che uno dei due prevalesse sull'altro? Gli Anglo – Franco - Americani erano in quel momento con i Russi nemici della mia Patria. L'America con il suo grande territorio, la lontananza dalle zone di conflitto, le sue industrie, il fatto di non essere mai stata bombardata avrebbe coordinato i suoi alleati come fece. Sul comportamento contro i prigionieri loro fatti, vi è abbastanza letteratura, anch'io fui in carcere per circa un anno. Sperava nella possibilità di accordo tra tedeschi e angloamericani in funzione anti - russa prima della conclusione del conflitto? Io avevo solo il pensiero del mio lavoro e se possibile di essere al fronte contro i nemici dell'Italia, non mi interessavano accordi, io sapevo solo di essere sempre stato anticomunista, e negli anni 1945 - 1999 si parla più bene della teoria economica impostata da Mussolini che di quella voluta da Stalin e successori. Era al corrente dell'esistenza di contatti con esponenti del Regno del Sud finalizzati alla difesa dei confini orientali? Il Comandante Borghese ha ricevuto inviati dal Sud. Mai ha inviato al Sud suoi diretti inviati per accordi. Si è saputo che il Sud avrebbe dovuto inviare militari per la difesa della Venezia Giulia, ma anche questo non fu fatto, e il Governo italiano considerato vincitore non è riuscito a tenere quella terra italianissima. Tutto di un pezzo, uomo di altri tempi, all’età di novantuno anni è partito per l’ultima missione. Per chi volesse partecipare ai Solenni funerali, sono consentiti solo ed esclusivamente i baschi delle proprie appartenenze militari oppure il basco della Decima Flottiglia Mas. Divieto assoluto per qualsiasi Vessillo, Labaro, Bandiere o Guidoni.