Scritto da Davide Giacalone | |
domenica 12 dicembre 2010 | |
E’ vero che il costume è diffuso e trasversale, ma ciò dipende da due cose: primo, l’opinione pubblica s’indigna a chiacchiere, ma poi ciascuno chiede per sé qualche cosa; secondo, ad indurlo non è la debolezza umana, ma istituzionale e di mercato. Funziona così. Il nuovo amministratore arriva al suo posto animato dalle migliori intenzioni e desideroso di moralizzare (non bofonchiate, capita). S’insedia e scopre che, però, cambiare le cose non è né semplice né rapido. Non si scoraggia ma, intanto, gli capitano alcuni casi umani da risolvere. Casi veri, drammi reali. Non si sottrae, e chiede si sistemarli (nessun reato, opere di bene). Quelli cui la richiesta giunge si fregano le mani, ossequiosamente pronti e cinicamente previdenti. Il più stretto collaboratore dell’amministratore ha anche lui un caso umano da risolvere. Il titolare non ne ha cognizione diretta, ma si fida e, del resto, l’altro ha visto quel che è stato fatto. Poi arrivano le segnalazioni del capo politico, e non gli puoi dire di no. Quelle del tuo migliore amico, e come fai? C’è il coniuge che ti fracassa l’anima: così s’è sempre fatto, tu non agisci perché sei fesso e non conti nulla o, peggio, svantaggi solo me. E vada. Ciascuno ti dice: non ho mai chiesto niente, vorrei solo questo. A quel punto arriva il rappresentante dell’opposizione, che vede, sa e di casi ne ha dieci. Che fai? procedi. Solo che lo vedono quelli del tuo partito, compagni o camerati che siano, e ti presentano il conto: ti sei fatto gli affari tuoi, ti sei inciuciato con gli avversari, ora, che cavolo, ti occupi di noi. A quel punto non solo sei già bollito, ma quelli delle aziende cui hai continuato a far chiedere assunzioni sono anche loro dietro l’uscio: i conti non tornano, si devono aumentare le tariffe. Così, il nostro moralizzatore è diventato, nel giro di pochi mesi, uno uguale agli altri. Solo adesso s’accorge che quanti lo celebravano come nuovo astro della politica mondiale erano dei furbacchioni, mentre l’allocco è lui. Il rimedio non consiste nell’arruolare un altro moralizzatore, né nell’eleggere solo figli unici di madre vedova, con vocazione all’eremitaggio, e meno ancora nel varare i “codici etici” (a Roma c’è quello adottato nel 2006, e s’è visto a cosa serve!). Il rimedio sta nel non indurre in tentazione e nel rendere gli amministratori responsabili dei risultati e non delle procedure. Cancelliamo tutte le aziende i cui vertici sono nominati dalla politica. Non c’è alcun bisogno che l’azienda dei trasporti o dell’acqua siano delle municipalizzate, serve, piuttosto, che rispondano della qualità del servizio. Più si liberalizza meno si fa clientela. Nel mercato ciascuno risponde dei propri risultati: in azienda puoi assumere amici e parenti, senza distinzione di sesso e ruolo, se poi fallisci sono affari tuoi. In quello che si alimenta di soldi pubblici (come sono le tariffe amministrate, per l’autobus o la spazzatura) devono esserci contratti che chiariscano esattamente quali sono gli scopi da raggiungere: chi li manca se ne va. Rinuncio volentieri al virtuoso ma incapace, così come è saggio consegnare agli amministratori seri qualche strumento per resistere alle pressioni. Le raccomandazioni esistono in tutto il mondo, come anche le famiglie. Può non essere bello, ma non è letale. Mortale, invece, è l’opacità delle procedure che servono a mascherare i favoritismi. Il falso legittimismo al posto della trasparenza. Allora: in quel che è di competenza della politica l’eletto scelga liberamente, ma risponda di come vanno le cose. Se non si accetta questo elementare principio di responsabilità si va avanti per deroghe, eccezioni e sotterfugi. Infine, che si fa con i casi pietosi? Una società non disumana li risolve alla luce del sole. In alternativa vorrei segnalare che il caso pietoso sono io, come i tanti altri che pagano le tasse, costretti a finanziare la carità in conto bontà altrui. www.davidegiacalone.it Pubblicato da Libero |
domenica 12 dicembre 2010
Parentopoli
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