domenica 12 dicembre 2010

E Ciampi non è un santo

Scritto da Salvatore Tramontano   
Friday 10 December 2010
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il Giornale - Auguri presidente. Non è che uno viene qui a rovinar­le la festa, novant'anni sono una strada lunga quasi un secolo e tante cose si pos­sono dimentica­re. È un po'di tem­po che quando si parla di lei tutti an­nuiscono: Carlo Azeglio Ciampi è un padre della pa­tria. Nessuno lo mette in dubbio. Il proble­ma è che quando i politici finiscono su­gli altari è difficile fare loro domande e, soprattutto, ri­cevere risposte. Ma ce n'è una a cui gli italiani forse hanno diritto. È questa. Co­me mai quando lei era presi­dente del Consiglio, e l'emi­nente Conso suo ministro di Grazia e Giustizia, fu revo­cato il carcere duro, il famo­so 41 bis, a 140 mafiosi?

È vero, lei ha già risposto. In una lunga intervista di Giannini su Repubblica davanti a questa domanda ha avuto uno scatto di rabbia, una sorta di lesa maestà, la tenerezza e l'auctoritas sembrano sparire dalle sue parole. «Capisco che a 18 an­ni di distanza le parole assu­mono un peso diverso. Ma il mio governo si prese le bombe della mafia. E ora proprio io mi dovrei sentire sotto accusa? Se Conso ha fatto altro, prima o dopo, lo ha fatto autonomamente. Io non ne ho mai saputo nul­la». Per tutti la questione è finita qui. Nessuna interpel­lanza parlamentare, nem­meno un avanzo di dieci do­mande, sordo e cieco, i professionisti del­l'antimafia omertosi. Silen­zio. Carlo Azeglio Ciampi è intoccabile. Nessun sospet­to. Lui non sa nulla. E non fa niente la piccola caduta di stile di scaricare tutta la re­sponsabilità sul povero Conso. Il guardasigilli non è un padre della patria. Si ar­rangi. Annozero
Ora, questa storia del car­cere duro revocato non è una bazzecola. Dopo le bombe a Milano, Firenze, Roma si narra, e si sospetta, che lo Stato abbia trattato con la mafia per una sorta di tregua. Niente bombe, nien­te carcere duro. Uno scam­bio alla pari. Forse questa è solo una leggenda. Ma alme­no possiamo chiedere a Ciampi se ne sapeva qualco­sa? A quanto pare no. Non serve. È inutile. Tutte le do­mande vanno fatte al gran­de nemico, al Cavaliere. So­lo che al governo non c'era Berlusconi, ma il padre del­la patria.
Questi santoni non si pos­sono neppure sfiorare e se uno ci prova passa i guai. Quando qualcuno chiese a Oscar Luigi Scalfaro, un al­tro grande padre e presiden­te, che fine avessero mai fat­to i fondi neri del Sisde, la risposta fu a reti unificate, con il dito alzato e lo sguar­do da giudizio universale. «Non ci sto», urlò Oscar Lui­gi. «Non ci sto», ancora muovendo il ditone. «Non ci sto», guardando fisso la telecamera. E tutto si spense. È chiaro che a certi signori porre domande non sta be­ne. Con loro,con tutti quelli che in un modo o nell'altro sono stati utili all'aristocra­zia di sinistra, non si va mai a fondo. Basta la parola. Di­cono no e tutti fanno un pas­so indietro. Il solo sospetto è lesa maestà. In un Paese di retroscenisti e dietrologi non c'è nessuno che si scan­dalizzi per questa reticen­za. Per i padri della patria, e per Ciampi in particolare, il «non poteva non sapere» non si applica. Basta la paro­la.
Eppure qualcosa presi­dente ce lo deve dire: come mai le stragi cessarono? Non basta dire che il suo era un governo tecnico. Questa volta non è la scusa miglio­re. C'è di mezzo un mistero e un padre della patria può aiutare a risolverlo. È tutto qui. Ancora auguri.
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