giovedì 16 dicembre 2010

Cambria: «Reggio 1970? Tra Belfast e Berkeley»


Federico Locchi
Reggio Calabria 1970: chi voleva capire capì subito. Gli altri non avrebbero capito mai. Adele Cambria – una vita nel giornalismo, sempre con piglio libertario e autonomo – capì subito: ma quali trame nere, quale sanfedismo, i moti che sconvolsero la città calabrese erano rabbia autentica, che sapeva di popolo e respirava lo spirito dell’epoca. Una via di mezzo tra le rivolte di Belfast e Berkeley, insomma. Le sue cronache per L’Europeo, allora, fecero giustizia dei tanti stereotipi antifascisti (e un po’ antimeridionalisti) della sinistra dell’epoca. E dire che era una che prestava formalmente il suo nome a Lotta continua per permettere al foglio di Sofri di uscire.
Signora Cambria, ha visto? Sansonetti riabilita i moti di Reggio 40 anni dopo...
E perché non mi hanno invitata?
Oddio, questo dovrebbe chiederlo a Piero Sansonetti... Sta di fatto che a sinistra la cosa è stata mal digerita: sa, la “rivolta fascista”, i “boia chi molla”...
Guardi, la mia idea su quegli eventi era ed è questa: quella di Reggio non fu una rivolta fascista. Per lo meno non nel senso di un evento targato elettoralmente Msi. La popolazione locale non era di destra, votava in larga parte per la Dc, con molti socialisti pre-craxiani e qualche comunista figlio delle lotte bracciantili di quella terra. Ma questo non lo si comprese allora.
Non mancò anche qalche atteggiamento sprezzante, vero?
Consideri che Amintore Fanfani all’epoca parlò di una questione di “pennacchio”, cioè di mero campanilismo, si figuri...
Quindi niente rivolta eversiva? Eppure a sinistra potrebbero citarle Ciccio Franco, il sindaco Battaglia, il principe Borghese...
Certo, chi guidava la protesta non mi piaceva. Ciccio Franco, del resto, mi odiava. Anche le donne di Sbarre, se è per questo, volevano linciare me e la mia fotografa, quando lei fotografava le barricate.
E le famose “trame nere”?
Be’, è vero che il principe Borghese frequentava Reggio perché lì aveva la base il suo movimento. Ma era una cosa isolata. La rivolta, insomma, era genuina. Mi sembrava chiarissimo che si trattasse di una ribellione identitaria.
Ha ora usato l’aggettivo “identitaria”? E si capisce perché a sinistra piacessero poco le sue analisi...
Vede, in quel periodo stavo leggendo Le condizioni del conflitto di Furio Colombo, in cui si parlava del Québec, dell’Irlanda del nord. Del fatto, cioè, che il villaggio globale, affermandosi, generasse lotte identitarie come risposta. Ecco, vedendo i moti di Reggio con i miei occhi mi sembrava di assistere allo stesso fenomeno...
Reggio Calabria come Belfast, insomma...
E poi c’è un altro aspetto: quella era una rivolta sessantottina! Ricordo, sulle barricate, questi ragazzi bellissimi con le camicie a fiori e i capelli lunghi. All’epoca li guardavo e pensavo...
A cosa, in particolare?
Be’, che l’unica cosa che l’Italia avesse dato loro fosse il look a buon mercato...
Come reagì alla rivolta il mondo dell’informazione?
Il primo mese il telegiornale sulla Rai non ne parlò proprio. Poi, dopo un mese, il conduttore – abbassando lo sguardo – si limitò a un laconico: «A Reggio è tornata la calma». Fu in quel momento che chiesi al direttore de L’Europeo di mandarmi in Calabria come inviata. Fu una delle estati più appassionanti della mia vita.
E in tutto questo la sinistra?
Il Pci dette un’interpretazione ottusa. Ricordo ancora i ferrovieri comunisti stracciare la tessera di un partito che li aveva chiamati “fascisti”. Del resto anche per capire il movimento studentesco ci mise un bel po’. Questa incomprensione fu il colpo di grazia per una barca che stava affondando...
Non venne nessuno del partito a vedere che succedeva?
Venne solo Ingrao, ma poi fece un comizio in piazza custodito dai celerini. Rimasi molto male quando lo vidi: un compagno protetto dalla polizia nel mezzo di una rivolta popolare... Arrivò anche Adriano Sofri e io esultai: finalmente un barlume di sinistra...
Gli effetti di questa incomprensione vennero scontati alle successive elezioni?
Certamente. In particolar modo ne risentì il Partito Socialista, che perse moltissimo dato che Giacomo Mancini fu ritenuto giustamente l’achitetto della discriminazione di Reggio.
Parliamoci chiaro, la sinistra di allora aveva una chiara difficoltà a interpretare certi fermenti movimentisti.
All’epoca certamente sì, che ce l’aveva. È un dato di fatto.
E oggi?
Oggi mi auguro abbiano imparato la lezione.
http://www.secoloditalia.it

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