Quelli che hanno devastato le strade di Roma non sono manifestanti, ma feccia politica. Badate: non teppisti, non scalmanati, ma gruppi preparati e militarmente organizzati, che sono arrivati avendo programmato gli scontri, gli assalti, le distruzioni, di cui sono state vittime i veri cittadini, i veri lavoratori, i veri studenti. Basta guardare questa foto: quali teppisti assaltano direttamente dei finanzieri armati? Quali si fermano a pestare un uomo che brandisce una pistola (e che, con grande sangue freddo, continua a dirigerla verso terra e a non utilizzarla)? Solo gruppi militarizzati puntano ai blindati e li isolano dagli occupanti per poi darli alle fiamme. Una cosa, pur sempre deprecabile, è il lancio da lontano di oggetti contundenti, altra l’ingaggio corpo a corpo, la caccia alla divisa, l’infierire sul caduto.
Sono feccia nel senso letterale del termine, ovvero il residuato solido e imbevibile del vino, che guasta il fondo della bottiglia e talora cade nel bicchiere. Come sta capitando. Questa feccia è il prodotto di una cultura politica già più volte sconfitta, ma mai cancellata. Negli anni sessanta e settanta si travestì con un marxismo d’accatto, che avrebbe fatto orrore al barbuto di Treviri. Incarnò nella lotta di classe l’antica anima ribellistica e antistatale, egoista e violenta, luddista e distruttrice, riesumando i miti fasulli di una Resistenza che non ha mai capito, mai studiato, mai avvicinato, ma solo ideologizzato e disonorevolmente tradito. Una feccia non estinta che finge di avere come nemici il padronato e il governo di destra, ma, in realtà, detesta la sinistra che non si piega all’interpretazione della politica quale arena dello scontro frontale, possibilmente anche fisico.
E’ la stessa matrice politica che ha costretto, nello scorso mese d’ottobre, l’allora segretario confederale della Cgil, Guglielmo Epifani, a passare sotto le forche caudine della piazza Fiom, a condividere e fare propria la proposta di uno sciopero generale del tutto inutile a quale che sia rivendicazione operaia, ma consustanziale alla coltivazione dell’antagonismo quale unica dottrina di vita politica. La stessa matrice che ha portato sindacalisti della Fiom ad assaltare la sede Cisl di Livorno. Lo stesso stampino che ha forgiato i giovinastri che hanno tirato un candelotto addosso a Raffaele Bonanni, continuando poi a contestarlo per impedirgli di parlare. Anche solo di presentare un libro.
Questi sacerdoti del servizio d’ordine che crea disordine, delle mazze pesanti e dei caschi senza moto, questi officianti della carica cantata e delle sprangate sulle teste dei lavoratori dell’ordine, questi celebranti del funerale assassino, secondo i quali Carlo Giuliani era una vittima del regime, e non un violento che avrebbe ammazzato a colpi d’estintore, se solo lo avessero lasciato fare, questi santificatori dei carnefici che si fingono vittime, hanno nuovamente trovato il terreno fertile. A concimarlo per loro è stata una pubblicistica e una sinistra incapaci di battersi contro il centro destra e Silvio Berlusconi partendo dai contenuti (materia sulla quale sono debolucci assai, per quanto il centro destra offra spazi a dir poco enormi), quindi intenta a contestarne la legittimità morale, il diritto all’esistenza, a esaltare l’ipotesi dell’arresto, dell’espulsione, della preclusione al gioco elettorale. Una sinistra folle, consegnatasi nelle mani di un giustizialismo reazionario e fascistoide, che davanti alla conta parlamentare di martedì ha dimenticato di far osservare che il governo aveva perso la maggioranza, impegnata com’era a sostenere che la corruzione era stata lo strumento del momentaneo prevalere. E’ la sinistra confusa e sconfitta ad avere soffiato su un fuoco che non domina e al quale si brucia. Perché, sia chiaro, sono loro le prime vittime della feccia, perché loro è il vino che la deposita.
Adesso s’apprestano a commettere gli stessi errori di sempre: alcuni sosterranno che la rabbia s’è forse tradotta in una violenza eccessiva, ma è pur sempre fondata e trae origine dall’esistenza stessa di una destra capitanata da Berlusconi, altri gà argomentano che i più violenti, quelli che hanno fatto da innesco della bomba esplosa in piazza, sono degli infiltrati, dei provocatori. I primi non riescono a digerire che la maggioranza degli italiani, liberamente, sceglie i vincitori delle elezioni, e la cosa rimane loro sul gozzo perché, nella loro cultura deforme, la democrazia è trucco ed inganno, mentre splende il rigore morale delle dittature (che il cielo abbia pietà di cotanti imbecilli). I secondi sperano, denunciando gli agenti esterni, di far finta di non sapere che la violenza è tutta interna a quella feccia, non a caso ritrovatasi accanto ai drogati dei centri sociali e ai mazzieri del tifo squadristico.
Quelli della sinistra politica, che hanno il diritto, ma anche il dovere di candidarsi a governare l’Italia, devono imparare ad avere il coraggio delle parole chiare: questa feccia è nemica dei cittadini onesti, dei lavoratori, dei giovani per bene, che sono la grandissima maggioranza. Il fatto che cantino le strofe partigiane (offendendole) o che indossino le stoffe palestinesi, non li fa migliori, ma peggiori. Non li rende più vicini, ma più pericolosi. Nessuno di noi sa dove si fermerà la feccia e tutti speriamo che non si torni al passato in cui abbattevano gli uomini liberi e coraggiosi, ma sappiamo che nessuno li domina. Tocca alla sinistra condannarli senza appello, chiudere ogni canale di dialogo, sputare la feccia e rimuoverla in fretta. Questa volta lo faccia prima.
Pubblicato da Il Tempo
Nessun commento:
Posta un commento