martedì 8 novembre 2011

Per Mario Zicchieri un giardino d’inverno


Che a Mario Zicchieri siano stati dedicati i giardini romani di piazza Condottieri, a meno di cento metri da dove venne assassinato il 29 ottobre 1975, è un fatto significativo e importante.
Mettiamolo dunque nella giberna delle conquiste morali, se non altro perché la famiglia ci teneva. E ricordiamo anche che ci sono voluti ben trentasei anni prima che questo passo venisse compiuto.
Partiamo di qui per non sembrare, e soprattutto per non essere, ingenerosi. Ma si può parlare solo di un punto di partenza, perché il resto, tutto il resto, non va.

Non vittime inconsapevoli e insulse

Se ne sono resi conto persino i rappresentanti delle istituzioni, non solo l’assessore regionale Teodoro Buontempo, ma addirittura il sindaco Alemanno, visto che hanno ritenuto opportuno ricordare che allora si combatteva e si moriva per un ideale e che anche gli adolescenti lo avevano messo in conto. Non vittime inconsapevoli e insulse quindi. E questo è già un passo avanti rispetto all’ideologia telesiana che fino a ieri sembrava imperare a certe latitudini.

E qui ci fermiamo nel computo delle note positive.
Poi iniziano le negative.Va rimarcato che non c’è mai stata giustizia, come ha ricordato Barbara Zicchieri e come ha ribadito Marco Lucchetti, ferito quel giorno durante l’attentato alla sede missina.
Marco ha però voluto sottolineare con un’ ammirevole grandezza d’animo che non prova sete di castigo ma solo la volontà di perseguire la verità e di riaffermare la dignità.
D’altronde se le identità dei componenti del commando omicida sono esattamente quelle di cui sono convinti sia i superstiti della fucilazione che i familiari di Zicchieri, difficilmente essi potrebbero pagare qualcosa. Chi di loro non è morto ha infatti collezionato condanne per omicidi che sono andate a cumulo e, di fatto, un’eventuale condanna retroattiva non li riporterebbe in prigione.

Va ribadito, in ogni caso, che gli assassini dei fascisti non hanno pagato quasi mai o, nei casi in cui non si poté proprio evitare (Fratelli Mattei, Sergio Ramelli) hanno scontato talmente poco e in virtù di sentenze così beffarde che sarebbe stato meglio che non li avessero neppure condannati. Sarebbe stato meno insultante.

Pacificazioni e condivisioni

Tenendo conto di queste premesse bisognerebbe allora finirla di parlare sia di memorie condivise che di pacificazioni nazionali.

La cui richiesta, ipocrita o sincera che sia, rappresenta un’altra nota negativa e inaccettabile.
Che tra l’altro si erge sulle sabbie mobili.
Non bisogna infatti dimenticare che tutta la masnada partigiana ha sempre rifiutato di considerare belligeranti i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana.

I politicanti di ogni colore nell’italietta occupata li hanno accontentati ininterrottamente e ciò è avvenuto benché proprio i militi della RSI indossassero una divisa e avessero fatto un giuramento ad uno Stato regolare mentre i partigiani invece agivano nell’ombra e contro le convenzioni militari.
Da parte di chi aveva seguito l’invasione delle armate nemiche, dopo la vittoria di queste ultime venne letteralmente capovolta la realtà dei fatti e dei ruoli. Il che alla fin fine ha avuto un effetto miracoloso perché comunque ha fatto sì, sia pure per mezzo di un’iniqua imposizione, che militi e banditi non venissero confusi e accomunati.

Su queste basi, esattamente su queste basi, è perdurata e perdura la logica della memoria selettiva, con i Caduti fascisti, dal 1919 ad oggi, sempre maledetti, oscurati, o al massimo accettati come paria.
Ebbene, è inammissibile che su queste basi, ovvero sull’assenza di giustizia e sulla negazione di dignità, si possa anche solo pensare di cianciare di pacificazioni o di condivisioni. E non riusciamo a capire come e perché qualcuno si ostini in questa pratica vergognosa e inelegante.

Quelle bruttissime targhe

Ma le note stonate non finiscono qui.
Come immaginavamo, sulla targa commemorativa inaugurata ieri, oltre a “Mario Zicchieri” e agli anni della nascita e della morte, appare una dizione banale quanto ignobile, già usata per Ramelli, Di Nella e Cecchin: “vittima della violenza politica”.
Di una “violenza” non ben identificata. Nessuno ha pensato di definirla rossa, comunista, antifascista. Scherziamo? Gli altri morti, tutti, che siano democristiani, comunisti, ultracomunisti o persino passanti ignari, hanno diritto che si lasci ai posteri il monito del colore di chi li ha uccisi.
I nostri no, è già tanto che abbiano una targa, ma per il resto devono tenere un profilo basso, anche dalla tomba. Giacciono come se fossero stati vittime di un incidente stradale del sabato sera.

Ed è davvero incommentabile la leggerezza, la distrazione, l’incuria di chi ha lasciato che la dedica a Mario Zicchieri seguisse la routine di prammatica tanto dal farne né più né meno che un passante ucciso da un ubriaco.
Fa specie che i solerti funzionari che credono di averci fatto il dono di un giardino delle rimembranze non abbiano trovato né il tempo né l’ispirazione per riflettere, sì da esprimere qualcosa di appena appena decoroso.
Se avessero riflettuto si sarebbero resi conto della blasfemia di cui si sono invece fatti portatori.
Se definire in nostri Caduti “vittime della violenza politica” è doppiamente avvilente perché vittimistico e perché negatore d’identità, per Mario ciò è letteralmente impossibile.

Paolo Di Nella morì per le conseguenze di un colpo in testa con un corpo contundente, Francesco Cecchin per quelle della caduta da un muretto; entrambi possono essere definiti vittime di violenza (non di violenza politica tout court ma di violenza antifascista) e anche per Sergio Ramelli, spentosi dopo un mese e mezzo di agonia per i colpi di chiave inglese ricevuti da un commando universitario di avanguardia operaia, al limite può valere la stessa dicitura.

Fucilato dalle Brigate Rosse

Mario Zicchieri fu ucciso a colpi di fucile a pompa dalla canna mozzata.
Venne assassinato mentre insieme ai suoi più giovani camerati, Marco Lucchetti e Claudio Lombardi, presidiava la sezione del Msi prenestino, aperta, perché la sua porta era stata divelta da un attentato diinamitardo. Mario era il veterano del gruppo, un sedicenne.

Lo uccisero le Brigate Rosse, sparandogli quando era inerme. Lo hanno ucciso così, come hanno ferito i suoi camerati, lo hanno ucciso dei militanti armati adulti, di una decina di anni più vecchi di lui. Hanno sparato a ripetizione su tre adolescenti disarmati perché l’antifascismo è fatto così.
E’ fatto così e basta.
A nessuno dei solerti funzionari che credono di averci fatto il dono di un giardino delle rimembranze è però venuto in mente che la dicitura “vittima della violenza politica” è grottesca, che il gesto omicida fu puro e conclamato. Non ci fu preterintenzionalità, né ipotesi di scampo. Di guerra si trattò, di guerra come in tutti gli altri casi ma, stavolta, senza che nessuno – funzionari solerti esclusi – potesse sostenere le assurdità di cui riempiono le ricostruzioni.

Ma si sa, in tutt’altre faccende affaccendati, i solerti funzionari che ci portano doni, non hanno il tempo di pensare al sangue versato, di ricordare i visi, i corpi dei Caduti, e neppure i tempi, i modi, le atmosfere, il clima. La burocrazia non ha di queste debolezze. La burocrazia produce targhe in serie. Tanto quello che conta è accontentare quattro scemi. Un po’ come la plebe urbana cui si regalava qualche sacco di grano e si offrivano spettacoli.
Ebbene credo proprio che gli scemi debbano tornare al più presto a farsi sentire, come due settimane fa in piazza Vescovio, e debbano impegnarsi a rimandare al mittente certe targhe e a scrollarsi di dosso e definitivamente tutti quelli che le incidono così.

Di: Gabriele Adinolfi

http://www.questaelasinistraitaliana.org/2011/per-mario-zicchieri-un-giardino-dinverno/

Nessun commento:

Posta un commento