La studiosa Frugoni vede il profilo del diavolo nelle nuvole. «Rivelazione importante per la storia dell'arte»
MILANO - C'è il volto di un demone tra le nuvole di un affresco di Giotto nella basilica superiore di San Francesco ad Assisi: era lì con le sue corna da ottocento anni, nel ciclo pittorico che segna l'inizio dell'arte figurativa occidentale, osservato da milioni e milioni di persone e nessuno se n'era accorto. A scovare l'inquietante presenza nelle nuvole sospese fra la scena della morte di Francesco, in basso, e la scena dell'assunzione della sua anima in cielo è stata la storica e grande specialista francescana Chiara Frugoni.
QUEL PRIMATO PERSO DAL MANTEGNA - La notizia anticipata dal sito edito dal Sacro Convento (http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/) sta facendo il giro del mondo: «Al di lá della curiosità e del valore teologico o pseudoreligioso, la scoperta di un demone dipinto da Giotto fra le nuvole ha un grande valore per la storia dell'arte», ha spiegato Chiara Frugoni. Fino ad oggi il primo pittore ad aver trattato le nuvole era Andrea Mantegna che nel suo San Sebastiano, dipinto nel 1460 (conservato nel Kunsthistorisches Museum a Vienna) mostra sullo sfondo del cielo un cavaliere che emerge da una nuvola. «Ora, questo primato del Mantegna non è più tale». Sul perchè, invece, Giotto abbia dipinto nella parte della nuvola più vicina all'angelo di destra «un vigoroso ritratto» Frugoni non si sbilancia: «Forse non fu soltanto un'impertinenza sfuggita fino a oggi all'occhio di tutti. Nel Medioevo si credeva che anche nel cielo abitassero i demoni che ostacolavano la salita delle anime: è un significato ancora da approfondire, ma che sembra destinato a dare buoni frutti».
MA È «NORMALE» NASCONDERE ELEMENTO IN UN'OPERA - «Non è una stranezza» secondo ha spiegato all'Adn Kronos lo storico dell'arte Claudio Strinati: «Che vi siano elementi nascosti in un'opera d'arte è del tutto normale e le opere hanno sempre due facce, una esplicita ed una implicita, destinata ad essere colta solo da alcuni». «Su questo genere di interventi, cioè sul celare in un'opera qualcosa di segreto o almeno di non evidente, non si hanno testimonianze scritte, quindi è difficile dire delle intenzioni, delle motivazioni dell'autore, capire, ad esempio, se l'elemento nascosto è concordato con i committenti oppure è celato anche a loro» aggiunge Strinati, ricordando poi che «vi sono anche casi particolari, come quello del pittore fiammingo Hieronymus Bosch, nei quali l'autore si rivolge intenzionalmente, con i suoi messaggi celati, a pochi adepti di una realtà cui appartiene, in quel caso una confraternita di iniziati».
SACRO CONVENTO: «L' IMPORTANZA DI OGGETTIVARE IL MALE» -«L'apertura e il dialogo che i frati di Assisi manifestano sulle grandi questioni che interessano la vita dell'uomo e della società contemporanea li ritroviamo anche nel dibattito culturale e scientifico attorno ai tesori artistici custoditi ad Assisi» ha detto il Custode del Sacro Convento, padre Giuseppe Piemontese. «Un dibattito che ci permette di porre delle domande che speriamo conducano alla Risposta del senso del significato della vita che è custodito nella storia di uno dei santi più amati dall' umanità». Per padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento «questa scoperta può farci comprendere a livello catechetico l'importanza di oggettivare il male per non accoglierlo nella propria vita».
Paola Pica
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