martedì 29 novembre 2011

Paolo Rosa e Giuseppe Cortesi.

Lovere 29.11.1943 - La sera del 29 novembre del 1943 vennero uccisi a Lovere, in provincia di Bergamo, in due separati ma quasi contemporanei episodi, il notaio, Paolo Rosa ed il perito industriale, Giuseppe Cortesi. Il primo era il Podestà di Lovere, ossia il sindaco, ed il secondo il Segretario politico del ricostituito Fascio Repubblicano. I due, se pur di diverse origini, avevano in comune la dedizione alle loro funzioni per l’amor di patria riversato sul territorio in cui operavano. All’epoca, gli incarichi politici erano completamente gratuiti, e spesso sottraevano, alle rispettive famiglie, parte del loro tempo dedicate. Erano entrambi civili disarmati e, pertanto, bersagli estremamente facili da colpire. Il cinico piano comunista era stato preventivamente elaborato a tavolino da un direttivo ristretto, che trasmetteva gli ordini al braccio militare. Furono eliminare dei rappresentanti politici stimati che legittimavano con la loro adesione al Fascismo Repubblicano, la neonata Repubblica sorta dopo la dichiarazione di un torbido armistizio, lo sbando generale e l’occupazione tedesca dei mesi successivi. Il notaio Paolo Rosa, di antica famiglia loverese, padre di tre figli, aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale dove si era guadagnato ben due medaglie e poi fatto prigioniero. Nominato Podestà di Lovere, durante l’incarico, fondò la Sezione di Lovere del Club Alpino Italiano e ne diresse le prime gite, aperte a tutti. Data la competenza professionale, gli fu offerta la possibilità di trasferirsi a Roma, ma Paolo Rosa rifiutò per poter stare nel paese che amava. Questa sua personalità, oltre alla sua costante attenzione ai bisogni del territorio, gli attribuì una forte popolarità, difficile da demolire. Dopo le turbolenze successive del 25 Luglio, alcuni militanti comunisti ordinarono al notaio di togliere il distintivo del Partito Fascista, cosa che ovviamente non fece. E quando dopo pochi giorni venne costituito un comitato cittadino di pacificazione, inclusi i comunisti, tentò come sempre la riapacificazione e, alle loro larvate intimidazioni, rispose con cortese fermezza, riuscendo a calmare gli animi dei più accesi. Non era nuovo a momenti difficili, anche se di difficoltà diversa. Già al tempo dell’ascesa al potere del Fascismo aveva ricevuto una coltellata da un avversario, poi imprigionato. Così lo aspettarono la sera del 29 novembre del 1943, alle diciotto circa. Con il primo buio, la strada fu disseminata di grosse pietre con l’obiettivo di far fermare l’auto su cui viaggiava il notaio e il suo autista, di ritorno dallo studio. L’uomo fu giustiziato con un colpo di pistola alla nuca. Si diffuse l’ipocrita notizia che avevano si fermato Paolo Rosa, ma che un colpo accidentale era partito da un moschetto uccidendo per caso il notaio. In realtà a sparare fu un ragazzo disperato e incosciente, apolitico, che era scappato da casa perché aveva distrutto un’auto della ditta di trasporti di cui il padre era socio. Giuseppe Cortesi era invece di Bergamo, padre di sei figli. Aveva studiato presso la Casa dello studente, collegio fondato da Angelo Roncalli, futuro Papa, con cui aveva particolari legami. A studi ultimati, i due, intrapresero differenti strade anche se rimasero sempre in contatto. Infatti, in occasione della celebrazione del matrimonio di Giuseppe Cortesi, Mons. Roncalli scrisse una bellissima lettera. Diplomato presso l’istituto tecnico industriale con la qualifica di perito si trasferì a Lovere, trovando lavoro nello stabilimento Ilva. Fascista convinto, assunse l’importante incarico di Segretario politico, che assolse con passione cercando di risolvere i bisogni della popolazione. Versò i propri contributi per concorrere alla costruzione del Lido di Lovere, paese rivierasco di lago, dove tutti i ragazzi potevano dedicarsi e praticare gli sport d’acqua. Un giorno, avendo ricevuto quale compenso, per il disbrigo di una pratica, un pollo, decise di donarlo all’ospedale. Alla moglie si giustificò dicendo che per l’incarico che copriva, doveva essere il primo a dare il buon esempio. Sfamava la famiglia esclusivamente con le razioni della tessera annonaria di guerra. Stile peraltro sottolineato da Mons. Roncalli quando, da Istanbul, apprese la notizia della morte del caro amico, nell’accorata lettera scritta alla madre. Lo stesso giorno in cui fu ucciso, Giuseppe Cortesi aveva scritto una lettera al Prefetto per evidenziare alcuni controsensi delle razioni alimentari di guerra che spettavano ad un operaio e ad un impiegato, per parificarle. Come Paolo Rosa, godeva di pari popolarità, stima e di ammirazione. Entrambi, erano riferimento ed esempio per la popolazione e, quindi, ostacolo per il Partito Comunista clandestino che voleva trarre vantaggi dal momento di sbando generale. Bisognava uccidere, cinicamente ed ipocritamente, per poter creare uno scollamento tra la popolazione ed il partito che ne tutelava gli interessi. Così, sempre la sera del 29 novembre, la Banda di Lovere, poi denominata in Brigata Garibaldi, si divise in due gruppi principali e passò all’azione, in un paese privo di presenza militare. Quasi contemporaneamente, mentre la prima squadra provvedeva all’uccisione del notaio Paolo Rosa, la seconda, invece entrò nello stabilimento Ilva. Avevano opportunamente scelto la data di pagamento degli stipendi, e quindi pensarono bene per prima cosa di rapinare le paghe, per il cosiddetto autofinanziamento, e poi si diressero negli uffici in cerca di Giuseppe Cortesi. Comandava l’azione un ex ufficiale, reduce di Russia. Proprio in quel momento il perito era fuori stanza ma subito indicato da alcune persone. Costretto a seguirli, l’ex ufficiale svuotò tutto il caricatore della pistola sull’uomo ormai inerme e disarmato. Sottratto l’orologio dal polso, i membri della banda decisero di fare prigioniero anche un impiegato notoriamente conosciuto come fascista e ripartirono alla volta della montagna per cercare rifugio. Alla notizia dei due omicidi, ci fu una reazione militare, che portò alla cattura di tredici persone, tra cui l’ex ufficiale. Si trattava per lo più di ragazzi, ingannati e raggirati dalle promesse utopistiche del Partito Comunista, il quale rassicurava una rapida fine del conflitto grazie all’intervento degli Alleati che avevano già occupato alcune zone dell’Italia meridionale. Processati dal Tribunale Militare, con l’accusa di banditismo e di omicidio, furono tutti condannati a morte. Diversi aderenti al Partito Fascista di Lovere si adoperarono fortemente per cercare di salvare la vita ai giovani, di cui pochissimi si dichiararono comunisti e certamente non tutti colpevoli almeno allo stesso modo. Per loro non ci fu nessuna salvezza. Paolo Rosa e Giuseppe Cortesi furono i primi caduti bergamaschi della guerra civile. I primi agnelli sacrificali di un massacro che terminò solo nel giugno del 1945, quando due legionari, feriti, furono prelevati dal letto dell’ospedale, trascinati in riva al lago, uccisi e poi gettati nelle acque.

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