domenica 3 aprile 2011

Storie di vite più che degne C'è qualcosa di miracoloso nella "diversità" dei Down

3 Aprile 2011
Accade in molte cliniche, specialmente d’oltralpe, che se vieni diagnosticato down tu non abbia diritto a nascere. Se ti concedono di venire alla luce potrebbero impedirti di entrare nei parchi giochi, perché potrebbe farti del male salire sulla giostra: accade a Gardaland. Se frequenti la scuola, vieni affidato a un insegnate di sostegno che, per compiacere qualche collega zelante, ti isola dal resto della classe: accade in molti plessi scolastici del nostro territorio.
Tu alunno down non hai diritto di partecipare a gite di istruzione con finalità didattiche, questo succede in una scuola media di Catanzaro. Se ti fanno nascere devi vivere in un villaggio fuori dei centri abitati per non disturbare i cittadini: questo accade in Russia. Mentre in qualche ambiente musulmano il down è “venerato e rispettato come un dono di Allah”, qualche volta usato anche come shahid, in Occidente è visto come un personaggio scomodo o addirittura soppresso perché improduttivo, come accade in certe popolazioni delle Ande peruviane (1). Tutto a causa di un pregiudizio riferito ai tratti somatici che, nell’ignoranza generale, a lungo ti ha fatto considerare una sottospecie umana.
Come te -  genitore - sei una persona scomoda perché sei la pietra di paragone delle loro ‘certezze’: ti osservano e ti considerano uno da compatire, o addirittura da mettere da parte perché, “…chiusi nella sicurezza dell’essere normale, sono ciechi di fronte alla precarietà della vita, hanno paura di immergersi, la guardano in uno specchio che gli seleziona le immagini in modo da non esserne turbati”. È la denuncia che un giorno lanciò Giulia Basano nei confronti della società quando adottò un disabile (2). 
E’ una situazione imbarazzante che devi affrontare creandoti un nuovo orizzonte sociale, magari più ristretto, più concreto, comunque diverso dal comune sentire. Ennio Flaiano invocava il miracolo per riuscire ad amare la sua Luisa, malata di encefalite subito dopo la nascita; Emmanuel Mounier considerava la nascita della figlia Francesca, un dono inviato dal Cielo; qualche altro si rinchiude in se stesso fino a rovinarsi l’esistenza, o addirittura scappa via, abbandona il tetto coniugale.
E’ evidente che ignoriamo i passi da gigante che hanno fatto questi ragazzi negli ultimi decenni. Filosofi di fama internazionale che si atteggiano a eugenisti come l’animalista Peter Singer, spacciando la mansuetudine e la tolleranza di questi ragazzi con supposte incapacità e sofferenza a vivere suggeriscono di sopprimerli prima di nascere. Ignorano che Fabio ed altri compagni come lui lavorano, sono resistenti alla fatica, praticano sport e amano realmente. Ignorano o fingono di ignorare che alcuni di essi praticano anche attività agonistiche. La 39enne Daniela di Treviso fa l’aiuto istruttore di ballo latino-americano. Il 27enne Mauro di Cagliari è campione nazionale di pattinaggio. Axel di Prato, appena diciassettenne è campione italiano di nuoto nella sua categoria.
Giovanni di Chieti canta in un perfetto inglese e si cimenta in balli di gruppo riscuotendo successi nei cabaret locali. Che dire della trentacinquenne umbra, Cristina Acquistapace, ordinata suora da Monsignor Maggiolini che ora affianca le missionarie in Kenia? “La sindrome di Down – spiega suor Cristina – per me non è stata né una benedizione né una maledizione, ma il modo per capire che sono portata per certe cose piuttosto che per altre, e sono pronta ad affrontare gli impegni che ho assunto”. E’ il grido di maturazione di questi ragazzi cresciuti all’ombra di internet, di televisione e di genitori responsabili: essi vogliono vivere come tutti, senza subire infingimenti.
Un’indagine del Censis dell’Ottobre scorso dichiarava che nella quasi totalità degli italiani (il 94,3%) le persone disabili suscitano sentimenti positivi come la solidarietà e l’ammirazione per la loro tenacia e determinazione di rendersi utili. Mentre è legittimo che il 54,6 per cento prova paura per l’eventualità di potersi trovare un giorno a dover sperimentare la disabilità nella propria famiglia. Non trovo però plausibile che per il 23,3% del campione la disabilità intellettiva susciti “paura”, da far subire in queste persone discriminazione e solitudine. Non tutti sanno che se ben accettati, al loro fianco puoi far fronte ad ogni evenienza.
Saranno loro a darti la forza di reagire alle avversità. È comunque un evento che ti afferra per i capelli e ti proietta in un mondo nuovo. In un mondo violento, i down sono la nuova risorsa: sono le nostre cartine di tornasole con cui  poter misurare lo spessore umano di chi ti avvicina. Nella stessa indagine si sottolinea la convinzione generalizzata (il 58% degli intervistati) che il down abbia ancora un’aspettativa di vita limitata, al massimo 40 anni, mentre in realtà oggi è cresciuta superando i 60 anni.
La verità è che nella nostra cultura essere sani, belli, tonici, senza grassi né cellulite sono segni di affermazione sociale, e non ci si rende conto che tutto questo può essere utile ad uno specchio, non a una società sempre più povera di verità e di calore umano: sentimenti troppe volte confusi con il culto del forte e dell’intelligente in cui il ‘diverso’, in certi contesti è condannato all’isolamento sociale. Siamo stati abituati a considerare i down persone non normali, in quanto partiamo dal presupposto che ciò che noi intendiamo essere normalità sia il metro di valutazione universale.
Una convinzione che costringerebbe questi ragazzi a essere e rimanere come sono, percepiti nel nostro immaginario, aspettandoci che facciano cose da down. Poiché essi hanno aspetto, comportamenti e atteggiamenti diversi da chi vive un’esistenza ‘normale’, li incaselliamo e adottiamo nei loro confronti stupide convenzioni comportamentali che non li aiuta a crescere, ma soprattutto, non aiuta noi. 
Se invece cominciassimo a pensare che poi non è tanto diverso dai cosiddetti normodotati, che hanno problemi esistenziali come chiunque, e il grado di ritardo mentale non sempre dipende dal tipo di trisomia quanto dall’ambiente, dal clima familiare, dalle sue attività e dunque dalla qualità della sua vita, forse impareremo a conoscere meglio noi stessi. Il down è una persona che esige rispetto perché, per natura, rispetta chiunque, specie se in difficoltà come lui e contrariamente agli stereotipi che gli abbiamo cucito addosso, è capace e cosciente. Cominciamo anche a sfatare il luogo comune secondo cui sia una persona felice perché mostra disinvoltura e allegria.
Non sempre è così. Quando diventa adulto, si pone domande come chiunque; riflette sul suo futuro ma non sa progettarlo perché è per natura tributario di chi gli sta accanto e tale potrebbe restare con le sue ansie: non riesce a decifrarle e se è in grado, per non tubarci le camuffa. Egli saprà soltanto accettare o rifiutare quanto gli si propone, sta a noi capirlo, tenendo presente che in questa figura si condensa la fragilità e la resistenza dell’essere umano. Diventa pertanto nostro dovere sentire l’obbligo morale di ricambiare l’affetto che egli ci offre senza la pretesa di un tornaconto, perché ha bisogno di noi e non riuscirà mai a serbare rancore, nemmeno se riceverà delle contrarietà. In questo, forse solo in questo, è diverso da noi.
(1)  F. Pugliarello,  “ Lo specchio nascosto dentro di noi”  (testimonianze di viaggi)
       Centro Editoriale Toscano,  Firenze 2009, pp. 33-36.
(2) G. Basano, “Nicola, un’adozione coraggiosa”, Rosemberg & Sellier, Torino 1999, p. 28.
 

Nessun commento:

Posta un commento