martedì 12 aprile 2011

Si è sempre meridionali di qualcuno I nuovi terroni in Svizzera sono "Lumbard"

di Luca Negri

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Sentiremo di nuovo cori che intonano il vecchio canto anarchico “Addio Lugano bella”? Voci stavolta non di pericolosi sovversivi ma di italiani che lavorano in Svizzera? Pare di sì, almeno così minaccia Giuliano Bignasca, l’uomo che hanno già battezzato il “Bossi svizzero”. Come se fosse possibile l’esistenza di un altro Senatùr sulla faccia della terra o come minimo alle pendici delle stessa catena montuosa. Mentre è noto che, nel bene come nel male, trattasi di un personaggio inimitabile e difficilmente clonabile. Bignasca è comunque risultato vincitore incontrastato delle recenti elezioni cantonali in Ticino. La sua Lega Ticinese è il primo partito con quasi il trenta per cento; liberali, popolari e socialisti arrancano alle sue spalle, sbigottiti.  
Ebbene il Bossi svizzero ha subito esordito con una dichiarazione distensiva e rassicurante: “chiudiamo i valichi per tre giorni”. Che tradotto dal ticinese significa: impediamo l’entrata ai quasi cinquantamila italiani che vengono ogni giorno a lavorare a casa nostra. È una ricetta contro la disoccupazione, dei ticinesi ovviamente, non degli italiani. In effetti, tanti compatrioti (nostri, non di Bignasca) i cosidetti “frontalieri” (che sembra un nome da cyborg spietati in un film di fantascienza: “attenti, arrivano i frontalieri!”) lavorano oltre Chiasso e sono giustamente pagati con stipendi svizzeri. Questi stipendi pare che siano più alti di quelli nostrani, cosa non strana dato che la vita in Svizzera costa circa il doppio che da noi. Ma il problema è che questi compatrioti (sempre nostri, non di Bignasca) spendono i loro lauti stipendi in territorio italiano perlopiù. Il Made in Swizerland ne risente, l’occupazione indigena (cioè svizzera, non nostra) pure.
E che dire dell’esodo nordafricano in corso? Spaventa mica solo noi, anche Lugano e le altre ridenti località ticinesi. Preso atto del non proprio costruttivo e solidale atteggiamento dei cugini francesi, siamo al si salvi chi può. Ovvero, meglio che questa folla di profughi con forse qualche terrorista nel mucchio rimanga nello Stivale, non attraversi le Alpi. Se la vedano loro (cioè noi) che in queste faccende se la cavano sempre, bene o male. 
Sia chiaro, trattasi di spacconata in pure stile leghista, così per muovere le acque, che siano del Po o del lago di Lugano. Infatti la Confederazione non riconosce ai cantoni, nemmeno a quello Ticinese, la possibilità di intervenire  arbitrariamente su questioni di frontiera. Federalisti sì, ma con giudizio. Spacconate a parte, come minimo la Lega Ticinese vorrebbe dare meno soldi a Roma ladrona, propone che i soldi versati per le tasse dai lavoratori italiani in Svizzera rimangano ancor più sul territorio di confine. Le camicie verdi di casa nostra hanno esultato per l’ottimo risultato elettorale degli amici elvetici, anche se qualche conflitto di interessi c’è, a questo punto. Ad esempio saranno forse elettori leghisti i tanti pendolari che da Sondrio, Como, Varese o Verbania vanno a faticare in territorio svizzero. Non prenderebbero bene una frontiera chiusa, la possibilità di un licenziamento improvviso e motivato da questioni, diciamo, “etniche”.
Sia mai che si torni alle discriminazioni antiche nei confronti da lavoratori italiani, figuriamoci poi con l’aggravante di esser clandestini. Sia mai che alle porte dei caffè tornino i vergognosi avvisi: “fuori i cani e gli italiani”. Sia mai che i leghisti italiani si sentano terroni rispetto ai compagni nati più a Nord. Altrimenti per capire il fenomeno leghista sarebbe superfluo studiare le opere di ideologi del federalismo come Carlo Cattaneo e Gianfranco Miglio (entrambi, tra l’altro, grandi ammiratori della Svizzera). Fatica sprecata. Basterebbe limitarsi alla saggezza partenopea di Luciano De Crescenzo nei panni del professor Bellavista in un film di tanti anni fa: “Si è sempre meridionali di qualcuno”.  

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