Arriva da Pechino una notizia clamorosa. Il Corriere della Sera la titola così: “La felicità in Cina diventa un dovere“. Repubblica sceglie un gioco di parole: “Partito consumista cinese”. Il partito comunista al potere ha indicato l’obiettivo politico della piena soddisfazione. La realizzazione dell’utopia della “società armoniosa” imposta dall’alto.
I paradossi sono molteplici. Una dittatura che impone la felicità. Il comunismo che diventa consumismo. La felicità come antidoto ai crescenti malumori della classe media, sempre più numerosa e sempre più danarosa, ma anche sempre più preoccupata del futuro. La felicità senza la libertà di conquistarsela.
Torna in mente un verso di T.S.Eliot preso dai Cori da “La Rocca”: “Essi cercano sempre di evadere dal buio esterno e interiore sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono“. Un mondo di automi, dove lo stato organizza la tua felicità, vuole che tu sia felice a tutti i costi, prevede addirittura “obiettivi di felicità” da raggiungere come fossero scaloni contrattuali. Dove, naturalmente, la libertà non è necessaria, anzi superflua: e infatti è cancellata. Non c’è nemmeno più bisogno di “essere buoni”, la responsabilità personale è eliminata perché prevalgono strutture sociali che garantiscono un esito buono a prescindere dal comportamento personale. Per Eliot, tutto questo è l’esito finale della rinuncia a Dio e dell’ostilità alla Chiesa: “Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare. È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri. Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli”. Concordo.
L’utopia dei “sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono” non sta alla base soltanto del regime di Pechino. Anche da noi in Occidente e in Italia l’insistenza sulle regole come ultima istanza risponde alla medesima logica: al rispetto delle regole viene assegnata una missione salvifica, esse garantiscono la bontà della struttura sociale, dunque campo libero a chi le deve fare rispettare (cioè i magistrati), venerati come gli unici veri salvatori della patria. In questo senso, ilcalembour di Repubblica che mette sullo stesso piano comunismo e consumismo è fuorviante, perché il “dovere della felicità” è tipico di uno stato etico, non liberale.
Quando cadrà il Muro di Pechino, mi piacerebbe assistere allo spettacolo. E vorrò vedere che cosa diranno i soloni che oggi martellano (dopo averlo sostenuto) il regime di Gheddafi ma salvano quello cinese (tacendo su sfruttamento, autoritarismo, pena di morte, persecuzioni) con cui fanno lucrosi affari.
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