Più si sviluppa la crisi nel Mediterraneo, allargandosi alla Siria e in misura ancora limitata, alla Giordania, e più ci si chiede dove sia finita l'Unione europea. In realtà di questo mastodonte composto da ventisette Paesi, sembra si siano perdute le tracce tra una rivolta e l'altra tra un bombardamento ed una trattativa tra gli Stati nazionali. Da quando poi la Nato ha assunto la guida delle operazioni contro la Libia (sia pure in maniera piuttosto approssimativa e confusa) è risultata assolutamente irrilevante la sua presenza ai vertici di Bruxelles che si sono susseguiti nei giorni scorsi. Tutti hanno capito Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, e soprattutto quella di Lady Catherine Ashton, alto commissario per la politica di sicurezza e di difesa, non avevano nulla da dire e quel poco che hanno detto è stato talmente inutile da non essere neppure preso in considerazione dai capi di Stato e di governo dell'Unione. Dispiace ammetterlo, ma quando Nicolas Sarkozy dice che i leader, i burocrati, funzionari dell'Unione europea sono i "nostri impiegati" non gli si può dare torto.
Infatti, il palese distacco dell'Unione europea rispetto a quanto avviene nel Mediterraneo - ancora non abbiamo avuto il punto di vista di Barroso o della Ashton sugli avvenimenti siriani che, per molti versi, dovrebbero preoccuparci più di quanto ha determinato l'intervento in Libia - la dice lunga sulla consistenza di un'unione di popoli e di Stati che di fronte ad avvenimenti cruciali, come quelli che tengono il mondo in apprensione e vedono l'Europa drammaticamente coinvolta, suo malgrado, dovrebbe assumere un atteggiamento dinamico anche per evitare conflitti più tra i suoi membri che ormai sono venuti drammaticamente allo scoperto.
Oggettivamente gli eventi di queste ultime settimane hanno dimostrato che si va configurando una nuova linea di tendenza in Europa con la creazione dell'asse franco-britannico e la rottura di quello franco- tedesco. L'Italia, preso atto di ciò che sta accadendo, potrebbe mettersi alla testa dei Paesi che non ci stanno alla costruzione di una nuova egemonia stringendo, prioritariamente, una forte intesa con la Germania al fine di non subire indigesti diktat di quelli che credono di essere i nuovi padroni dell'Unione. Si dirà che questa potrebbe davvero andare in pezzi. Ma qualcuno, forse, la vede coesa come dovrebbe essere?
La guerra libica e più in generale quanto accade nel Mediterraneo, sembra interessare poco o niente all'Unione. Infatti, oltre all'insensibilità dei vertici è di tutta evidenza la distanza della maggior parte dei 27 soci da quanto accade in Nord Africa ed in Medio Oriente, con particolare riguardo ai rivolgimenti nello Yemen, Paese poco considerato purtroppo,ma cruciale nell'area dove si gioca una decisiva partita geopolitica ed economica con particolare riguardo agli sviluppi del qaedismo in Africa Orientale e più in generale nell'accesso all'Oceano Indiano.
Che un'Unione in ordine sparso, come è stato da tutti rilevato, non possa essere interlocutrice di nessuno è talmente da ovvio che forse è venuto il momento di ripensarla. Infatti, il quadro venuto fuori dagli atteggiamenti degli Stati che ne fanno parte è desolante. Da un lato l'impegno diretto e massiccio della Francia, della Gran Bretagna e dell'Italia; dall'altro la Germania che ha detto chiaro e tondo che non ne vuol sapere, la Norvegia che ha sospeso la sua partecipazione in attesa del chiarimento sul comando dell'operazione, la Svezia che ha sostenuto la risoluzione dell'Onu ma ha legato il suo apporto militare all'intervento della Nato. Il Belgio è pur vero che ha messo a disposizione dei caccia, ma è privo di comando politico poiché da sei mesi è senza governo e deve fronteggiare i venti della secessione. Dalla Spagna, dalla Danimarca e dalla Grecia poco o niente stato messo in campo. C'è bisogno di altri approfondimenti per concludere che l'Unione europea è un'entità risibile politicamente che ha qualche motivo d'essere come libero spazio di libero scambio. Questa è la drammatica verità che gli eventi in corso ci scodellano senza finzioni.
Se dovevamo ancora avere una prova, del resto, della sua inconsistenza, essa oggi è sotto i nostri occhi. E, francamente, non è un bel vedere che l'esito dei molti sforzi compiuti negli ultimi due decenni soprattutto per realizzare una vera e propria comunità politico-culturale europea, dotata di sue strutture di intervento ed animata da un destino condiviso, alla prima vera prova resti alla finestra o, ancora peggio, si laceri di fronte ad eventi che avrebbero dovuto renderla coesa al punto porsi come protagonista nell'affrontare una crisi le cui dimensioni probabilmente non sono ancora chiare ai burocrati di Bruxelles ed alle nomenclature politiche dell'Unione.
È davvero stupefacente come Barroso, van Rompuy, lady Ashton, pur senza considerare i governi dei Paesi membri, non si chiedano in che modo l'Europa potrà fronteggiare il pericolo, tutt'altro che ipotetico, di nuove possibili ondate terroristiche orchestrate da Gheddafi o da altri suoi pari, come si porrà davanti alle inevitabili ondate migratorie africane che il Colonnello userà come una vera e propria bomba demografica per innestare nel seno dell'Europa tensioni difficilmente contenibili e governabili, ma anche i "pacifici" tunisini sembra che su questo versante stiano interpretando molto bene la loro parte anche se la logica ci dice che non dovrebbero più fuggire dal satrapo Ben Ali. E poi, quando si tratterà di ricostruire la Libia, ha immaginato l'Unione quale dovrà essere il suo ruolo tra i vari egoismi che si scateneranno resi peraltro evidenti dall'arroganza del presidente francese che sembra fregarsene altamente delle ambizioni altrui e non gli par vero di mettere le mani sugli oltre duecentomila barili di petrolio che attualmente arrivano in Italia, mentre la sua Total deve accontentarsi soltanto di sessantaseimila?
Se fosse questa la ragione vera del furore bellico di Sarkozy, il presidente Barroso ed il suo ristretto club europeista dovrebbero dire qualcosa, non foss'altro per mitigare le pretese francesi e riequilibrare gli appetiti economici di questo o di quello, mentre nella regione del Maghreb stanno producendosi eventi tali da sconvolgere non soltanto gli assetti mediterranei, ma anche quelli mondiali dal momento che la Cina come la Russia, ma anche potenze emergenti come l'India non stanno con le mani in mano e si propongono attivamente quali nuovi riferimenti dei Paesi africani le cui risorse probabilmente sfuggono soltanto ai signori di Bruxelles.
Brutta storia la latitanza dell'Unione europea. La sua inerzia dimostra, una volta di più, che è una finzione di fronte alla concreta realtà degli Stati nazionali. Prima se ne prende atto e meglio è. Del resto come non vedere che l'Europa unita è un'aspirazione a lungo coltivata, e non soltanto dopo la guerra civile continentale, ma sviluppatasi su basi fragili, economicistiche appunto, quando invece la sua struttura portante doveva e poteva essere culturale e politica? Oggi paghiamo gli errori di una prospettiva sbagliata condannandoci all'irrilevanza, mentre gli Stati graniticamente e fermamente "europeisti" si fanno la guerra tra di essi come galli in un angusto pollaio. Non è un spettacolo edificante. Di buono c'è che questa "guerra europea" manda definitivamente al macero quel ridicolo Trattato di Lisbona su cui si sarebbe dovuto fondare il Nuovo Continente.
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