Ci mancava solo Sergio Luzzatto a riportare sul terreno della polemica la questione della presenza negli edifici pubblici del crocifisso. La tesi dello storico dell’università di Torino è semplice, disarmante nella sua chiarezza. Senza il crocifisso appeso alle pareti l’Italia «sarebbe più giusta, più seria, migliore». Questo sta scritto sulla copertina del suo nuovo pamphlet “Il crocifisso di Stato” (Einaudi, 127 pagine, 10 euro).
Tutto si può dire delle idee di Luzzatto, tranne che non siano chiare. E nelle sue argomentazioni non risparmia nessuno. Laici e cattolici. Anzi, nel leggere quanto scrive in riferimento ad un articolo di qualche anno fa scritto da Natalia Ginzburg in favore del crocifisso, pubblicato dall’”Unità”, si capisce come non faccia sconti a nessuno. La tesi è semplice. Il crocifisso di fatto discrimina i non cattolici. Anzi, discrimina gli uomini stessi, poiché è il simbolo di una confessione e di un segmento della società italiana. Non unifica ma divide. Per unire ci vorrebbero altri simboli. In alternativa al crocifisso, dice Luzzatto, mettiamo la doppia elica del Dna. Quello sì è un punto di congiunzione, poiché tutti gli uomini (bianchi, neri, gialli; cattolici, ebrei, mussulmani; credenti, dubbiosi e atei) potrebbero riconoscersi nell’«unico simbolo del genere umano punto e basta». Quindi se gli scolari delle elementari, ogni giorno, invece di avere di fronte il crocifisso, potessero osservare la doppia elica, e continuare a farlo per tutto il loro curriculum formativo, alla fine del percorso sarebbero cittadini migliori, esseri umani migliori.
L’Italia rifiorirebbe senza il crocifisso. Anche l’aria da respirare, probabilmente, sarebbe di qualità migliore. La prova della storia smentirebbe Luzzatto, che da storico di valore (non sempre, con gravi cadute quando si lascia trascinare la mano dall’ideologia, come nel caso del lavoro su Padre Pio del 2007) lo sa benissimo. Ma il punto non è questo. La battaglia al crocifisso non ha un valore formale, ma sostanziale. Astutamente Luzzatto ricorda come nelle camere da letto degli italiani il crocifisso (o l’immagine votiva) tende a scomparire progressivamente. Quindi perché obbligare gli italiani ad avere un simbolo religioso a scuola (o negli edifici statali) se non lo vogliono in casa? Si tratta di una forzatura che prima o poi - di questo Luzzatto ne è convinto - l’Europa ci costringerà a sanare. Speranza ben riposta, giacché quella stessa Europa che non è stata capace di riconoscere le proprie radici cristiane, richiamerà l’Italia, tra una disputa sulle quote latte o una sofferta riflessione nel rivedere al rialzo o al ribasso le stime di crescita, farà di tutto per la rimozione forzata del crocifisso.
Luzzatto ricorda giustamente come nella storia il crocifisso sia servito per colpire, condannare e perseguitare. Dimentica però l’opposto: il crocifisso è stato anche (soprattutto) un riparo per i perseguitati, ha richiamato e difeso la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza. Non è certo un caso se nel Novecento la falce e martello, la svastica e il fascio littorio sono stati simboli di una religione secolarizzata, totalitaria e pagana, impegnata a rimpiazzare proprio la religione della croce. Il bersaglio delle polemiche di Luzzatto è certo la storia dell’esposizione obbligatoria del crocifisso. Polemica sempre pronta a riesplodere, in attesa della deflagrazione finale.
Ma il vero bersaglio è un altro. La chiesa di Roma e la sua attuale guida. Il modello di società che ha in mente Luzzatto farebbe volentieri a meno dell’ultima fastidiosa barriera rimasta a difendere, non in astratto ma in concreto, pur tra contraddizioni e difficoltà, la dignità degli esseri umani. Che felicità nel vedere assegnati i compiti svolti dalla Chiesa all’ONU: la perfetta istituzione del “politicamente corretto”, la panacea di tutti i progressisti. L’Angelus la domenica partirebbe dalla casa di vetro. Non avrebbe più niente a che spartire con la Verità, ma con l’opinione, raggiunta magari un minuto prima, a seguito di estenuanti mediazioni, sempre più annacquata e perennemente mutevole. A Benedetto XVI Luzzatto assegna un ruolo molto chiaro: campione dell’oscurantismo. L’ultimo successore di Pietro è convinto che i credenti abbiano «un sovrappiù etico rispetto “agli uomini perduti” che non credono in Dio». A Benedetto XVI Luzzatto preferisce padre Enzo Bianchi, priorie di Bose, vero autentico spirito di dialogo tra credenti e non credenti. La colpa più grave del pontefice? «Esclude la possibilità stessa di una spiritualità senza religione e senza Dio». Enzo Bianchi invece non la esclude.
Insomma, per concludere, ma perché ci ostiniamo ancora a tenerlo appeso questo insignificante crocifisso? Perché non vietiamo la bandiera di Malta (quella della Svizzera è un po’ più difficile, ma l’Europa potrebbe sempre mettere in piedi qualche pressione) o la maglietta dell’Inghilterra? Perché non revochiamo lo scudetto all’Inter che lo vinse qualche anno fa con la casacca storica imbarazzante, grande croce rossa su bianco? Luzzatto dice che saremmo migliori. Qualcuno lo crede davvero?
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