Un altro martire. Un altro durissimo colpo alla fragile situazione sociale e politica del Pakistan. Shahbaz Bhatti, cattolico, Ministro Federale delle Minoranze Religiose del Pakistan, è stato brutalmente assassinato l’altro ieri da un gruppo di estremisti islamici, che ha rivendicato l’uccisione di “un nemico dell’Islam, perché cristiano e contrario alla legge sulla blasfemia”. Ha suscitato shock, sgomento e tanta paura tra i cristiani pakistani un gesto così pianificato e finora impunito. Fonti locali dell’agenzia vaticana Fides narrano che “il Ministro era uscito dalla sua residenza per recarsi in ufficio, era in auto con sua nipote e il suo autista. Non aveva uomini di scorta. All’improvviso una piccola auto Suzuki si è affiancata all’auto del Ministro e ha esploso un colpo di arma da fuoco verso il finestrino dell’autista, per fermarla. Un gruppo di uomini armati, dal volto coperto, ha tirato fuori dall’automobile il Ministro e lo ha colpito con una pioggia di colpi, esplosi da armi automatiche, durata circa due minuti. Il commando è poi fuggito. L’autista ha condotto il Ministro all’ospedale di Islamabad, dove Bhatti è arrivato già senza vita.
Lo sgomento è tanto più forte in quanto molti si chiedono perchè il Ministro, già oggetto di minacce pubbliche da parte di gruppi terroristi come “Laskar e-toiba”, sia stato lasciato senza scorta. Dopo la condanna e la preoccupazione espresse dal mondo politico italiano, dal Vaticano e dal Presidente del Pakistan Asif Ali Zardari, oggi si celebrano i funerali di un uomo che aveva dedicato la sua vita a difesa delle minoranze religiose, cristiane e non, e per l’integrazione della società pakistana. Ha pagato a caro prezzo la sua onestà e il suo impegno. Un vero servitore dello Stato e del popolo, non secondo meri calcoli d’interesse personale o di qualche lobby, né per ideologia, ma semplicemente per un autentico senso della politica. Bhatti, appartenente al Partito Pakistano del Popolo, aveva partecipato al processo di democratizzazione del paese, diventando la voce delle minoranze religiose, così fortemente discriminate dagli estremisti islamici. La fede non è stata una etichetta da appiccicare o da strumentalizzare a seconda del “vento che tirava”, ma l’anima della sua esistenza. “Voglio che la mia vita dica che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita”, si legge nel suo testamento.
Mons. Dino Pistolato, direttore della Caritas di Venezia, ha lavorato per anni a stretto contatto con lui nella raccolta di fondi per soccorrere i villaggi più colpiti dal terremoto (cfr. Bhatti e mons. Pistolato, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianum Press). Dino Pistolato oggi lo ricorda così: “L’ho conosciuto nel 2005, dopo il terremoto che ha colpito l’area di Islamabad. Come presidente dell’associazione APMA (All Pakistan Minorities Alliance), era dedito completamente alla difesa delle comunità emarginate e delle minoranze religiose del Pakistan. Insegnante di scuola elementare, aveva fatto della sua vita un’offerta per i poveri e coloro che sono perseguitati a causa della loro fede. Ricordo con impressione una risposta che mi diede quando gli chiesi perché non si facesse sacerdote. Rispose perché lui voleva stare in mezzo alla gente, a contatto diretto con le persone e le difficoltà, cosa che spesso i sacerdoti non riescono a fare nel suo Paese. Aveva una fede intensa e lucida e la consapevolezza di una morte prossima. Una cosa che mi ha confermato in una mail recente, dove mi raccontava della sua lotta infaticabile contro l’attuale legge sulla blasfemia, delle ripetute minacce che riceveva e del mancato supporto della sua parte politica. Mi consola il pensiero che egli abbia potuto veder realizzato il desiderio della sua vita, incontrare il Papa, evento che accadde l’anno scorso. Ho conosciuto un testimone della fede, ho avuto la grazia di conoscere un martire”. Era originario del villaggio di Khushpur, nei pressi di Faisalabad, in Punjab, chiamato “il Vaticano del Pakistan”, in quanto è un villaggio fondato dai padri Domenicani, che ha dato i natali a numerosi sacerdoti, suore e religiosi pakistani. È l’ultima vittima di un clima di intolleranza religiosa con finalità politica, che ha lasciato una scia di sangue di tanti cristiani trucidati, tra cui Shaheed Mohtarma Benazir Bhutto, primo ministro assassinata nel 2008 e il Governatore del Punjab Salman Taseer Talking.
Le frasi ritrovate sul volantino del gruppo che ha rivendicato l’uccisione di Bhatti rivelano chiaramente e in modo preoccupante il clima che si respira in alcune frange della popolazione: Shahbaz Bhatti è stato ucciso “perché era un cristiano, un infedele e un blasfemo”. Il suo assassinio è parte di una “guerra di religione per eliminare quanti vogliono modificare la legge sulla blasfemia”. “Per grazia di Allah, tutti coloro che sono membri della Commissione di revisione della legge, andranno all’inferno”. Secondo l’analisi di p. Robert McCulloch, missionario da 30 anni in Pakistan, “l’odio religioso viene coltivato e alimentato nelle scuole pubbliche pakistane” che sono divenute “parenti strette delle madrase”. Una delle ragioni della diffusione di tale mentalità “è un sistema educativo distorto”. “La distorsione dei fatti nei libri di testo scolastici è la fonte maggiore delle tendenze estremiste, che hanno un devastante impatto sulla società”. In alcuni testi ufficiali, le minoranze religiose sono del tutto escluse e neanche considerate “parte della nazione”.
“La fonte primaria della corruzione dei valori umani e della manipolazione politica della religione in Pakistan – che giustifica la ‘persecuzione legalizzata’ di Asia Bibi e l’eliminazione di Bhatti – sta nei programmi di mala-istruzione, introdotti dalla dittatura del generale Zia-ul-Haq negli anni 1980 e mantenuti dai governi pakistani fino a oggi”. Su una popolazione di 185 milioni di abitanti, secondo una scheda realizzata dall’agenzia Fides, al 96% musulmani, i cristiani in Pakistan sono circa il 2%, e fra questi i cattolici sono poco più di 1 milione. I cristiani, con indù e sikh (il restante 2% della popolazione), vivono una quotidiana condizione di discriminazione ed emarginazione sociale. Già prima della spartizione fra India e Pakistan (1947) – da cui nacque la nazione – i cristiani erano parte delle fasce dei cosiddetti “dalit”, i fuori casta, secondo la rigida classificazione sociale esistente in India. La loro condizione di subalternità non è mutata nella Repubblica del Pakistan. Le minoranze religiose sono oggi discriminate nell’accesso all’istruzione, al mondo del lavoro, agli uffici pubblici. La Costituzione del Pakistan redatta dal fondatore della patria, il musulmano Ali Jinnah, proclama il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, “senza distinzione di razza o di credo”. Ma a partire dal 1980, con il governo del dittatore Zia-ul-Haq, il paese ha subito una progressiva islamizzazione della società, della legislazione, della politica, del sistema di istruzione. In tale quadro la condizione delle minoranze è peggiorata, soprattutto a causa di alcuni provvedimenti come la “legge sulla blasfemia” (art. 295b e 295c del Codice Penale) e delle “Ordinanze Hudood”, regole di diritto penale basate sulla legge islamica.
Nessun commento:
Posta un commento