sabato 7 gennaio 2012

Acca Larenzia, la strage “antifascista” da non dimenticare

Acca Larenzia, la strage “antifascista” da non dimenticare


Il 7 gennaio 1978 è un sabato, a Roma si vedono ancora le ultime luminarie natalizie. In via Acca Larenzia, una piazzetta di circa 300 metri quadri, c’è una sezione del Msi aperta a metà degli anni ’70. Quel giorno, in quella sede, i giovani missini sono intenti a preparare volantini per un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Amici del Vento. La maggior parte del gruppo esce dalla sezione alle 18 per andare a volantinare con altri militanti in piazza Risorgimento.
Si attardano solo in cinque. Sono Francesco Ciavatta, studente di 18 anni, Franco Bigonzetti, diciannovenne iscritto al primo anno di Medicina e Chirurgia, Maurizio Lupini, giovane responsabile dei comitati di quartiere, Giuseppe D’Audino, studente, e Vincenzo Segneri, giovane meccanico. Spetta a loro chiudere la sezione, per poi recarsi in zona Prati per distribuire volantini di protesta contro la chiusura della sede Msi di via Ottaviano imposta dal Ministero dell’Interno. Escono alle 18.20 circa, spengono la luce. I primi a lasciarsi la porta alle spalle sono Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, dietro di loro Vincenzo Segneri. Per chi esce, alla sinistra della porta d’ingresso della sezione c’è una scalinata a colmare il dislivello con via delle Cave, sulla destra, qualche metro più in là, una serie di piloncini di marmo che delimitano il confine con il marciapiede. E’ proprio davanti a questi piloncini che un commando di 6 o 7 “antifascisti” è in attesa.
Il commando, visi coperti da berretti e passamontagna, spara con pistole semiautomatiche e persino una mitraglietta Skorpion che qualche anno più tardi sarà ritrovata all’interno di un covo delle Brigate Rosse. Franco Bigonzetti, colpito alla testa, muore sul colpo. Vincenzo Segneri è ferito al braccio, ma con prontezza di spirito riesce a spingere gli altri all’interno della sezione, richiudendo la porta blindata. Non ce la fa Francesco Ciavatta: ferito, prova a fuggire disperatamente salendo la scalinata. Gli assassini lo seguono e gli sparano ancora, colpendolo alla schiena. Francesco stramazza a terra e rotola dalle scale.
All’interno della sezione, i tre superstiti restano al buio per qualche istante e sentono le voci degli assassini che imprecano e bestemmiano per il “magro bottino” prima di allontanarsi e fuggire su una Renault 4 rossa.
Quando uno dei tre riaccende la luce, la prima cosa che vedono è una macchia di sangue che entra da sotto la soglia della porta, allargandosi sempre più. E’ a quel punto che si guardano negli occhi, accorgendosi che due di loro sono rimasti fuori.
Il sangue che hanno visto è di Franco Bigonzetti, lo capiscono appena trovano il coraggio di uscire dalla sezione. Ciavatta è una decina di metri più in là, vicino alla scalinata, fa appena in tempo a dire “Non pensate a me, pensate a Franco che sta peggio” e “Aiuto, mi brucia tutto, aiuto”. Poi perde i sensi, e morirà durante il trasporto in ambulanza. Tre proiettili gli hanno trapassato la cavità toracica, uno gli ha perforato il cuore.
E’ la strage di Acca Larenzia, 7 gennaio 1978, uno dei più feroci delitti dell’antifascismo militante degli anni ’70.
Ma non è ancora finita, perché un paio di ore dopo, sul selciato dello stesso piazzale, cadrà un altro giovane.
La notizia dell’agguato si diffonde tra i militanti missini, che organizzano un sit-in di protesta proprio sul luogo della tragedia. Ci sono tutti, dal segretario del Fronte della Gioventù Gianfranco Fini ai futuri terroristi dei Nar Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Franco Anselmi, che proprio in quel maledetto giorno del 1978 decidono, per loro stessa ammissione, di passare allo “spontaneismo armato”.
L’atmosfera è tesa, i militanti missini si raccolgono intorno alle pozze di sangue dei due ragazzi assassinati, scoppiano tafferugli con le forze dell’ordine per motivi imprecisati. I carabinieri sparano in aria, ma uno di loro, il capitano Eduardo Sivori, mira ad altezza uomo. L’arma si inceppa, ma ciò non basta per placare il raptus dell’ufficiale, che si fa prestare la pistola dal suo attendente e spara contro un ragazzo, colpendolo in mezzo alla fronte. A cadere a terra è un diciannovenne, Stefano Recchioni, disarmato, militante della sezione di Colle Oppio, chitarrista del gruppo di Musica Alternativa “Janus”. Morirà in ospedale dopo due giorni di agonia.
Il duplice omicidio di Bigonzetti e Ciavatta sarà rivendicato da sedicenti “Nuclei Armati di Contropotere Territoriale” con queste parole:

Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi.

Le confessioni di una pentita, Livia Todini, portano, nove anni dopo i fatti, all’arresto di Mario Scrocca, un infermiere che il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici si suicida in cella. Altri tre arrestati, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis sono assolti in primo grado “per insufficienza di prove”, stessa sorte tocca a Daniela Dolce, rimasta latitante. I colpevoli dell’agguato sono quindi rimasti sempre ignoti e liberi.
Eduardo Sivori, l’ufficiale dei Carabinieri che ha sparato a Stefano Recchioni, non ha subito alcuna conseguenza giudiziaria né disciplinare.
Il padre di Francesco Ciavatta, Mario, si è suicidato bevendo acido muriatico: sarà la quarta vittima di Acca Larentia.
La data del 7 gennaio 1978, spartiacque degli anni di piombo, non deve mai essere dimenticata. Per difenderci da chi ancora oggi scrive sui muri beceri slogan che inneggiano alla strage. O da chi, come l’Anpi, vorrebbe impedire il ricordo di questo martirio. E per capire a quale efferratezza abbia portato una stagione di odio politico durata un decennio. E a chi, spesso, si ispirino gli “antifascisti militanti” di oggi.
Noi vogliamo ricordarla citando la dedica che appare sulla lapide intitolata a Francesco Ciavatta:

Ora che l’ipocrisia inutile dei discorsi si è spenta, ora che sei soltanto un ricordo, ora ti voglio parlare: per chi sei morto? Non importa, ci credevi. E’ stato inutile? Non importa, ci credevi.
http://www.questaelasinistraitaliana.org/2012/acca-larenzia-la-strage-antifascista-da-non-dimenticare/

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