Quello di Berlusconi non era un regime, lo abbiamo visto, e invece è un regime potenziale il castello di propositi e ambizioni di cui si nutrono i suoi arcinemici, una certa sinistra nutrita dalle idee e dalle battaglie del gruppo Espresso-Repubblica .
Ex premier Silvio Berlusconi
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Berlusconi ha vinto tre volte le elezioni, è stato all’opposizione per undici anni complessivi da quando entrò in politica, ha cambiato alla radice il modo di essere dei partiti e dei gruppi sociali, le abitudini e la mentalità della classe dirigente, si è definito come un fenomeno internazionale, un caso di scuola nel bene e nel male, dall’alternanza realizzata al conflitto di interessi. Due mesi e mezzo fa se ne è andato con tocco leggero in mezzo a una crisi finanziaria di cui era solo in parte responsabile, e si è accordato con il presidente della Repubblica per un governo tecnico di tregua e, come si dice «d’impegno nazionale ». Berlusconi ha subìto, rivendicando il proprio senso di responsabilità, un rovesciamento del risultato elettorale facilitato dall’erosione progressiva della maggioranza parlamentare, e lo ha accettato senza chiedere quel che il Quirinale non poteva negargli, lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni. Non ha chiesto garanzie, nemmeno indirette e oblique, su alcunché: contro di lui continua un clamoroso accanimento giudiziario e un formale, sprezzante maltrattamento del tribunale di Milano, e le sue aziende sono esposte come beni al sole alla battaglia campale in corso da due decenni almeno, esattamente come nel 1994, il famoso anno della discesa in campo. Può essere che la decisione di cedere alla tregua tecnocratica si riveli alla fine fatale per chi l’ha presa, e chi scrive non l’ha condivisa, ma il fatto che ci sia stata illumina il camminopubblico di Berlusconi di una luce diversa da quella fosca e torbida che i guru dell’opinione pubblica hanno da sempre gettato su di esso.
Non era un regime tendenzialmente tirannico, come sostenevano i suoi detrattori vocianti in Italia e all’estero, quello del Cavaliere. È stato un cartello elettorale capace di vincere e di perdere, una rivoluzione di linguaggio e di costume che ha salvato dalla dannazione la vecchia destra missina, reinserita come forza di governo costituzionalizzata nel sistema, e una Lega per molti anni libera dal fantasma secessionista, ora
in balìa di convulsioni e pulsioni incerte. Un’Italia che non si conosceva, ma che esisteva, è progressivamente emersa e ha rivendicato i suoi diritti di identità politica.
Anche il periclitante e trafelato centrosinistra, due Ulivi e un’Unione e una foto di Vasto e chissà cos’altro ancora, è figlio di questa esperienza politica pubblica dell’industriale e tycoon milanese prestato alla politica.
Invece qualche segno mostra che l’ambizione ideologica e civile degli arcinemici di Berlusconi è di estirpare le nuove libertà di comportamento e di idee maturate in questi anni, di liberarsi di un avversario ancora temibile e ancora utile nelle tattiche di demonizzazione, e di varare un regime di conformismo del pensiero dominante.
Il capo del Pd ha dato una buona intervista sui temi della giustizia, tende a differenziarsi, ma non basta. Sono in molti a lavorare, il giornale e partito che si chiama Repubblica in testa, per un regime fondato sull’obiettivo di sempre: sfondare la tv commerciale, prostrarla, e abbattere anche solo il ricordo di Berlusconi nei processi surreali che ancora lo perseguitano, alla ricerca di una giustizia sommaria e di condanne che hanno l’aria di un supplemento di guerra civile fuori tempo massimo. Serve, alla bisogna, mettere zizzania tra il partito di Berlusconi e il governo, dentro il partito di Berlusconi, con un supplemento di criminalizzazione ideologica dell’opposizione leghista, per la verità più che incline a farsi criminalizzare in virtù del linguaggio folleggiante e borderline del suo capo.
La campagna è in pieno corso. Non c’è uno straccio di intellettualeliberal o di opinionista o di testimone della società civile che abbia il coraggio di riconoscere che il Caimano non era un Caimano, che l’epoca dei processi e del boicottaggio della tv commerciale deve finire, si moltiplicano invece i tentativi di rinverdire l’aggressione ad personam contro Berlusconi, e di spargere veleni capaci di scongiurare un esito ordinario di questa fase di tregua istituzionale (Monti è considerato dai republicones disertore della battaglia, con quelle sue misurate rivendicazioni di continuità con il governo del predecessore); perché il ricordo dell’animale feroce e vorace che non è mai esistito è decisivo per estirpare anche solo l’idea che possa esserci per il futuro un lascito politico di questi anni, e per consentire che la lotta politica in Italia possa non richiudersi in una conflittualità conventicolare tra lobby che considerano «populismo» l’esercizio della sovranità politica e l’alternanza di governo tra forze diverse.Quello di Berlusconi non era un regime,il loro progetto sì. Forse bisognerebbe evitarsi l’ultimo errore di favorirlo, e bisogna fare il contrario di quello che gli arcinemici si attendono.
http://www.ilgiornale.it/interni/altro_che_dittatura/29-01-2012/articolo-id=569335-page=0-comments=1
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