di Marcello Veneziani
Che fine ha fatto la componente «destra» del Popolo della libertà, quella che un tempo aveva una forte identità di forte minoranza, una grande storia alle spalle e un raggio assai limitato di spazio politico? In ogni società europea e globale c’è un’opinione pubblica di questo tipo e oscilla tra il dieci e il venti per cento della popolazione.
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Per molti anni quella destra fu soprattutto l’Msi, ma oltre il nucleo missino c’era l’area conservatrice e cattolica, un tempo incline a rifugiarsi nel ventre democristiano e poi nel berlusconismo. Finì il tempo dell’Msi, finì il tempo di An, finì il tempo del protettorato finiano. Ora sono inquieti, spaesati, scontenti. Vivono ai margini o nella stiva del centrodestra, scarsamente rappresentati, poco visibili e poco influenti, e con la prospettiva di contare ancor meno quando finirà l’esperienza di questo Parlamento e di alcune amministrazioni locali, a cominciare da Roma. Che farà l’ex-destra, mancando l’alibi monarchico del leader gravitazionale, alias Berlusconi? Si scioglierà definitivamente, sopravviverà in piccoli agglomerati o allo stato larvale dentro il Pdl? E il suo domicilio presente diventerà la sua residenza o il suo loculo?
Partiamo da due considerazioni positive e due negative. Le negative: quell’area non ha più un leader di riferimento. Non per alto tradimento ma per basso intendimento: Fini ha mostrato di essere incapace e di non capire i tempi della politica. Oggi sarebbe stato il più quotato successore... E la sua classe dirigente, già di per sé poco spiccata, è dispersa in tre tronconi: i superstiti del Pdl, i frammenti a destra, il cui meteorite maggiore è Storace, e i seguaci di Fini sbarcati in un algido paesaggio lunare, il Terzo polo.
Le positive: al di là di sigle, etichette, collocazioni, leader, esiste ancora un’opinione pubblica sociale, nazionale, statale e tradizionale delle dimensioni europee prima indicate. Entità irriducibile al liberalismo moderato ma anche al popolarismo. Un’area che può allearsi con questi soggetti, ma non può esaurirsi, sciogliersi in loro. Può seguire i suoi interessi immediati ma non può vivere e votare solo sulla base dei suoi interessi immediati. Seconda notazione positiva: l’anno zero dopo il ciclo berlusconiano, l’assenza di prospettive alternative, il deserto di rappresentanza su alcuni temi cruciali della società globale, giocano a suo favore. Non c’è più un nemico incombente, un comunismo occulto che obbliga a fare diga, intrupparsi nel grande centro moderato ed eclissarsi nella subalternità come il male minore; anzi il governo dei tecnici evoca l’esigenza contraria, di riscoprire la politica e il suo primato.
Cosa resta allora da fare a quella area politica proveniente da destra? Innanzitutto un censimento, poi chiamarsi a raccolta, senza limiti di etichetta e collocazione, in una specie di convocazione generale. E qui coniare un documento di riconoscimento e far nascere una fondazione che agglomeri le realtà preesistenti. Magari con una leadership non politica di garanzia, per evitare che finisca tutto in una partitella pre-elettorale o in una guerra egemonica tra gruppi, caporioni e correnti. Quella fondazione deve darsi visibilità, una voce e un portavoce, proiettarsi in una strategia, selezionare un gruppo dirigente, articolarsi in una galassia di realtà periferiche e settoriali.
Insomma uscire allo scoperto. È naturale la sua collocazione all’interno del centrodestra e il suo riferimento, non esclusivo ma prioritario, nell’attuale Pdl. Poi dovrà seguire attivamente gli sviluppi dello scenario politico, senza escludere nulla: per esempio, se mutano le condizioni, doversi costituire in un movimento autonomo, magari alleato ma sovrano in casa sua. Senza però tornare indietro, inevitabilmente postero rispetto alla destra, ai nazionalismi del secolo scorso, e non riconducibile all’alveo liberale.
Area comunitaria, nel senso di tutela e promozione delle comunità in ogni grado: famigliare, locale, nazionale, culturale, religiosa, europea.
Rivoluzionaria e conservatrice, al contempo; ma seriamente rivoluzionaria sul piano degli assetti e seriamente conservatrice nel senso della tradizione. Incentrata sull’Italia ma come civiltà, non come nazionalità. Un patriottismo di civiltà, dove la civiltà non è un territorio ma una visione, un network, una rete; locale, nazionale, sovrannazionale. Un movimento che punti all’educazione, alla meritocrazia, all’autorità e al senso dello Stato, nel quadro di una democrazia comunitaria, decisionista e responsabile.
Penso difficile ma non impossibile la nascita di un movimento del genere. E penso che giovi non solo a se stesso ma anche al centrodestra intero. Ma penso soprattutto che serva oggi all’Italia un moto di passione civile che riparta dall’anno zero per dare un passato e un futuro a un presente troppo assente
http://www.ilgiornale.it/interni/alla_ex_destra_serve_leader_risorgere/20-01-2012/articolo-id=567804-page=0-comments=1.
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