Mi sto asciugando le lacrime dopo aver seguito, in piedi e con la mano sul cuore, il commovente appello patriottico di uno spot pubblicitario, poi di un altro, poi di un altro ancora
di Marcello Veneziani
Mi sto asciugando le lacrime dopo aver seguito, in piedi e con la mano sul cuore, il commovente appello patriottico di uno spot pubblicitario, poi di un altro, poi di un altro ancora. Non so se ci avete fatto caso, ma da qualche tempo vanno in onda gli spot etico-patriottici, sentimental-retorici, piccoli racconti edificanti sui nostri affetti più cari ripassati in salsa nazionalpopolare; testi di De Amicis-Napolitano- Cutugno. Non solo per vendere l’olio, il caffè o che so, pure i vili legumi, si scomodano Dio, patria e famiglia, la Tradizione e il Libro Cuore.
Ma ora grandi e piccole banche e perfino imprese automobilistiche, di quelle che minacciano di andarsene dall’Italia, cercano di suscitare il nostro consumismo patriottico o i nostri eroici languori finanziario-autarchici per piazzare le loro auto o le loro azioni. Persino quel che fino a ieri sarebbe stato bocciato come la più stucchevole retorica patriottarda, far sventolare il tricolore, viene usato per commuoverci e lanciare i nostri soldi- come la stampella di Enrico Toti - oltre l’ostacolo, che poi sarebbe il loro sportello. Altri condensano in pochi secondi un trattato di antropologia affettiva per dire che siamo italiani de core e dobbiamo esserlo pure de sordi .
La patria stavolta non chiede di versare sangue ma altri liquidi, e non esige di marciare ma di andarci in macchina, purché italiana. Io prima mi commuovo, poi mi rallegro, infine mi chiedo: ma niente niente questi patrioti ai saldi di fine Italia, ci stanno prendendo per il culto?
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