venerdì 13 gennaio 2012
Il primo colpo all'articolo 18: salta fino a 50 dipendenti
L'articolo 18 torna a scaldare l’arena politica. Non potendo affrontare la questione nella riforma del mercato del lavoro, il governo di Mario Monti ha avuto l’idea di infilarlo all’interno del decreto sulle liberalizzazioni. Non si tratta dell’abolizione tout court del tanto vituperato articolo dello statuto dei lavoratori. Ma potrebbe essere un primo passo. In un passaggio del decreto, infatti, si parla di aumentare da quindici a cinquanta dipendenti la soglia di non applicazione dell’articolo 18 nelle imprese in caso di fusioni. Dunque, secondo la bozza del governo – che però è stata smentita da Palazzo Chigi – se due o tre imprese si fondono, il licenziamento senza giusta causa può essere effettuato per tutte le aziende al di sotto dei cinquanta dipendenti. La notizia, naturalmente, ha provocato subito la levata di scudi da parte dei sindacati. «I nostri studi dimostrano che l’articolo 18 non è un’anomalia. Si tratta di un dato certificato anche dall’Ocse. Vogliamo un confronto serio e il testo sulle liberalizzazioni non lo è. Qualcuno forse non vuole che ci sia confronto tra il governo e i sindacati», dice la Cgil. Per Raffaele Bonanni «l’articolo 18 non va modificato e non è stato oggetto di trattativa con il ministro Elsa Fornero». Secondo il leader della Cisl, «chi pensa che abolendolo si facilita l’occupazione, si sbaglia di grosso ed è davvero singolare ritrovare questo punto nella bozza sulle liberalizzazioni». Anche Luigi Angeletti è della stessa idea. «Inserire l’articolo 18 nelle liberalizzazioni è improprio. Non vedo nessun disastro a lasciare la normativa così com’è», osserva il segretario della Uil.
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