venerdì 20 gennaio 2012

Gianico 20.01.1945 IL MASSACRO DELLA FAMIGLIA PENDOLI

Dopo tanti anni dalla fine della guerra, quando si parla di quei tragici momenti, tutti a ricordare e/o dimenticare quello che fa comodo. Non intendo qui rievocare certi fatti accaduti per mettere in discussione la resistenza, anzi, voglio solo togliere un po' di sabbia che copre quei fatti per meglio conoscere l'altra faccia della resistenza.
Seguitemi a Gianico (Bs) dalla famiglia Pendoli, per un triste e grave episodio di cui ancora oggi è difficile parlare. Giovani che non sanno, anzi provono vergogna a ricordare e da parte di chi operò in quei luighi in quel periodo un continuo attribuire la colpa ad altri. Pierino Pendoli e l'amico Sergio sono stati uccisi per quattro mortadelle, oppure per vendicare la cattura del capo partigiano Cappellini? Non voglio influenzare nessuno, spero che quanto vado ad esporre possa fornire degli elementi utili di valutazione e lascio trarre le conclusioni al lettore. Il tragico fatto è avvenuto in Valle Camonica il 21 e il 22 Gennaio 1945, tra la Valle di Lozio, zona di operazione del gruppo partigiano fiamme verdi C.8 al comando di Giacomo Cappellini e S.Glisente (Villa Verde) sopra i monti di Gianico, dove opera il gruppo fiamme verdi del C.1 al comandodi Giulio Mazzon, più un gruppo di partigiani staccatisi dalla 54° e hanno costituito la 54° bis "Garibaldi"in Val Negra, agli ordini di Luigi Macario. A Gianico, il negozio di alimentari della famiglia Pendoli è sovente oggetto di saccheggi e ruberie ad opera di queste formazioni partigiane. Ricordiamo uno dei tanti "rifornimenti" compiuto da partigiani. Una sera un gruppo di persone armate e mascherate entrano nel negozio, presente mamma Pendoli. I ladrucoli afferrano delle mortadelle e un sacco di farina per polenta. Malgrado la mascheratura alla signora pare di riconoscere due dei malintenzionati, giovani abitanti in frazioni vicine. Uno (C.D.), alto di statura è di Piazze di Artogne, l'altro è un giovane (S.G.) di Fucine di Darfo, ben conosciuto. La signora, allora, chiamandolo con il suo soprannome, dice "E, non basta il conto lasciato dai tuoi da pagare, anche a rubare vieni".
Ma vediamo il prologo della tragica vicenda. "Sbrigati" dice la signora Rota di Lovere al figlio Vittorio, con il quale ha in programma per quel giorno una visita di cortesia alla famiglia Pendoli, a Gianico. Amicizia e altre cose uniscono le due famiglie. I Pendoli hanno il figlio Pierino di 22 anni, vice brigadiere di un reparto della divisione "Etna", la 1^ divisione antiparacadutista e contraerea della G.N.R., comprendente legioni e battaglioni "M", centro di mobilitazione Brescia. La famiglia Rota ha il figlio G.Franco volontario nei bersaglieri del "Mameli",I^ compagnia "Bergamo". Giunti a Gianico, la visita, che doveva essere piacevole, purtroppo si trasforma in dolorosa.
In casa Pendoli regna la disperazione, il figlio Pierino giunto a casa la sera precedente per una breve visita, accompagnato dal collega e coetaneo, il vicebrigadiere Sergio Bagnoli di Lucca, è stato ucciso con lui sulla porta dicasa, a tradimento, senza avere la possibilità di difendersi. Le versioni sono discordanti nell'attribuire la paternità del fatto, sentiamole.
Don Carlo Comensoli di Cividate, artefice della resistenza camuna (il tenente Romolo Ragnoli, capo di tutti i gruppi di fiamma verde della Valle Canonica aveva il comando proprio nella canonica ed era coadiuvato dall'arciprete) nel suo diario alla data del 22 Gennaio 1945 annotava : "I garibaldini a Gianico uccidono due sottufficiali della GNR e ciò aggrava la posizione del Cappellini". Altri dissero : furono uccisi per vendicare la cattura avvenuta il giorno prima del comandante partigiano Giacomo Cappellini del gruppo C.8 delle fiamme verdi. Da notare : il comando delle fiamme verdi aveva diramato un ordine, l'obbiettivo era di catturare ostaggi per proporre uno scambio con il capo partigiano. La cattura del Cappellini, avvenne durante un conflitto a fuoco a Loveno, nel comune di Lozio, ad opera dei militi della GNR del 63° Battaglione O.P. al comando del tenente Rosario Faranda. Vediamo ora nei particolare i fatti successi in quei giorni: 20 Gennaio 1945, sabato. Il Cappellini (il suo gruppo operava nel settore Breno, Capo di Ponte e Val di Lozio) si era incontrato a Lozio con un altro capo partigiano, "Silvio", per concordare la linea da tenere in vista di probabili azioni comuni e scambio d'informazioni sulla consistenza nemica.
Giulio Mazzon "Silvio" comandava il gruppo C.1, zona operativa San Glisente (Villa Verde) sopra Gianico, così ricorda "Ci salutammo con un arrivederci, era il 20 Gennaio 1945, decisi di ripartire prima che il sole tramutasse, sarei passato da Breno verso Cividate, Berzo, Esime per raggiungere Villa Verde. Temevo un rastrllamento (..). Sullo stradone che conduce a Breno mi accorsi di una pattuglia della GNR. Proseguii passando a fianco di ciascun milite che marciava in senso inverso al mio (..). Di buon mattino ero già a Villa Verde di S. Glisente e a mezzogiorno mi giunse la notizia della cattura di Cappellini, alla mattina del
21-1-45, domenica ore 7,30, dopo un rastrellamento iniziato la sera del giorno
20 Gennaio". Il Cappellini viene catturato ferito e trasportato a Breno adagiato su un carro. Era stato ferito dal brigadiere Novelli durante il conflitto a fuoco con i militi della GNR. In un' altra versione si tenta di attribuire la responsabilità della morte di Pendoli e Bagnoli a delinquenti comuni.
Ecco l'ennesima versione 22 Gennaio 1945, lunedì. Giovani mascherati entrano nel negozio di alimentari dei Pendoli, al banco c'è la madre, il figlio minore Giuseppe si trova a giocare all'oratorio, la sorella suora in convento, i ladruncoli si stanno impossessando della solita farina, di alcune mortadelle e di tagli di stoffa. In camera da letto rovistano in cerca di soldi e oggetti preziosi mentre altri partigiani tengona o bada l'anziana signora Pendoli. In quel momento arriva il figlio Pierino, è accompagnato dall'amico Sergio, non sanno della rapina in corso. Sorpresi non fanno a tempo a reagire e vengono uccisi, i partigiani infieriranno poi a calci sui cadaveri sbattando loro la testa sul gradino del camino del negozio. La signora Rota e il figlio, giunti la mattina dopo a Gianico, vedono i cadaveri ancora da ricomporre e Vittorio dopo tanti anni, ricorda ancora i segni lasciati dagli scarponi dei partigiani sul viso dei due militi. Con orrore oggi racconta "Avevano la faccia sfigurata dai calci ricevuti". In seguito il Cappellini da Breno verrà tradotto a Brescia, processato il 21 Marzo 1945, imputato di organizzazione di banda armata, sequestro di persona, attentato a persone appartenenti alle Forze Armate, distruzioine di tralicci e binari ferroviari, violenza privata per avere in Breno nell'Agosto 1944, eseguito con altri il taglio di capellli a quattro donne, cagionato la morte a soldati tedeschi. Cappellini, confessando ogni addebito, cerca di giustificarsi adducendo il tutto alla confusione creatasi dopo l'8 Settembre
1943. Verrà condannato a morte il 22 Marzo. La fucilazione sarà eseguita all'alba del 25 Marzo 1945, al castello di Brescia. Battista Pendoli, padre di Pierino, che milita nella X Brigata Nera "Tognù" di Brescia, tre mesi dopo la morte del figlio, verrà assassinato dai partigiani. Sempre nel diario di don Comensoli si trova scritto il 21 Aprile 1945: "Fine a Gianico di Pendoli Battista". Il fratello Giovanni era stato ucciso il 16 Maggio del '44. Tutto questo avvenne nella pia e devota Gianico, famosa per il Santuario dedicato alla "Madonnina", festeggiata con processioni, preghiere e penitenze l'8 Settembre di ogni anno. Anche mamma, Pendoli aveva pregato e perdonato i colpevoli.
A guerra finita il 9 Ottobre 1946, al partigiano Cappellini viene cocessa la medaglia d'oro alla memoria.
Invece l'uccione del Pendoli e di Bagnoli viene definita: "I fatti di Gianico del 22 Gennaio 1945 sono opera di sbandati sconosciuti", anche se in paese si sapeva il nome degli assassini.
"Bugiardi e mentitori" (Lettera di S. Paolo a Timoteo)

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