“Voglio la mia nazione libera dall’oppressione, voglio la mia nazione libera dal male e libera dalle ingiustizie”. È uno dei versi del brano Not Your Prisoner, cantato dal gruppo egiziano Arabian Knightz e diventato l’inno dei manifestanti che protestano contro l’ancièn regime del presidente Hosni Mubarak. La canzone è stata diffusa sul web con un video in cui scorrono le immagini delle manifestazioni di piazza e della violenta repressione dei giovani attivisti.
Dopo più di venti giorni di proteste in tutto il Paese, più di trecento morti e oltre centoquaranta giornalisti imprigionati, il vecchio rais ha abdicato lasciando l’esecutivo nelle mani dei generali e di Omar Suleiman, ex capo dei servizi segreti.
Nell’ultimo discorso alla nazione Mubarak aveva annunciato: “Affiderò i miei poteri al vice presidente (Suleiman, ndr) in base a quanto previsto dalla Costituzione fino alle nuove elezioni che si terranno in settembre a cui non mi candiderò: ma non accetterò mai diktat che arrivano da Paesi stranieri”. Nonostante il tentativo di mostrare i muscoli, ieri, Mubarak e i suoi familiari hanno lasciato all'improvviso il Cairo per atterrare a Sharm el-Sheikh. Ma il riferimento nel suo ultimo videodiscorso ai diktat di Washington – preoccupata oltre che per il popolo egiziano, per quello americano – erano palesi e altrettanto palese è stata la stoccata tirata da Obama: “Il governo egiziano deve proporre un percorso credibile, concreto e inequivocabile verso un'autentica democrazia, ma ancora non ne ha colto l'opportunità”.
Nel frattempo i generali, riunitisi nel Consiglio Supremo per le Forze Armate, si sono proposti come garanti delle "riforme legislative e costituzionali" promesse da Mubarak e hanno annunciato di revocare lo stato d'emergenza in vigore da 30 anni ma una volta che saranno finiti i disordini, arrivati fino al palazzo presidenziale ormai occupato da Suleiman che alla tv di Stato ha annunciato la dipartita del ex presidente e ha incaricato il Consiglio Supremo di Difesa di gestire "il Paese nelle difficili circostanze che sta attraversando".
A girare le spalle a Mubarak, oltre agli USA, sono stati il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon (“Attuare una rapida transizione ordinata e pacifica del potere”), e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’UE, Catherine Ashton (“È necessario il ricorso alle elezioni per una vera e propria riforma”), nonché la Lega araba. Quest’ultima continua a inveire contro Mubarak e Suleiman, cercando di ingraziarsi la piazza e sponsorizzare Amr Moussa, l’attuale segretario generale, come prossimo presidente. Oltre ad accattivarsi la piazza, però, Moussa cerca di tranquillizzare l’Occidente e inun’intervista al quotidiano francese Le Monde ha dichiarato: “Il pericolo di un Egitto fondamentalista, monopolizzato dai Fratelli Musulmani é un rischio che non esiste. Molti intellettuali e politici occidentali sono persino pronti a sacrificare la democrazia per la paura che hanno della religione. Ma è un’analisi falsa e una politica sbagliata”.
Diversamente la pensa Souad Sbai, deputata al parlamento italiano e presidente dell’associazione Acmid Donna, esperta delle questioni maghrebine e levantine ed impagabile difensore dei diritti delle donne.
“Secondo me tra qualche mese vedremo lo scatenarsi di attentati terroristici. Non sottovalutiamo la violenza dei Fratelli Musulmani: in Algeria hanno sgozzato tremila e ottocento persone, un genocidio che andrebbe giudicato dalla Corte internazionale dell’Aja, eppure c’è stato un brutale silenzio. Bisogna rendersi conto di chi siano realmente i Fratelli Musulmani e dei loro obiettivi Anzi, ti do un’anticipazione: ho da poco tradotto dall’arabo un docu-film che spiega in maniera esaustiva l’identità dei figli di al-Hasan al-Bannā e in che modo implementano la violenza coranica. Presto lo presenterò al pubblico”.
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