di Andrea Cuomo
Roma - Cinque terre, cinque modi di essere diversamente italiani. Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Pezzi di autonomia, paesi dei balocchi che insieme coprono 74.516 chilometri quadrati (il 24,7 per cento della superficie italiana) e ospitano 9.124.985 abitanti (il 15 per cento del totale).
La sede della Regione Sicilia
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Le Regioni a statuto speciale sono un problema, un boccone che difficilmente va giù a quanti vivono in Regioni «normali». Come tali ogni tanto qualcuno ne invoca l’abolizione. Ancora di più oggi. La crisi economica rende infatti odiose alcune particolarità amministrative che vengono lette dai più come ingiustificati privilegi. Come è possibile etichettare diversamente la corsa da parte dei dipendenti pubblici siciliani ad approfittare, prima della sua cancellazione, della legge regionale che consente di andare in pensione con 25 anni di contributi per gli uomini e 20 per le donne se si ha un parente disabile, in un’applicazione particolarmente munifica della legge 104? Solo nel 2011 sull’albero della cuccagna si sono arrampicati in circa 300, con buona pace di coloro che in pensione chissà se e quando andranno.
La Sicilia è da sempre la capofila delle leggi ad regionem, utilizzate come ammortizzatori sociali di massa. Un paio di anni fa qualcuno si accorse che la Trinacria era speciale anche nell’azzardo: lo Stato infatti trattiene il 53,6 per cento delle giocate del Superenalotto, tranne che in Sicilia, dove rastrella solo il 41,1: il resto, pari al 12,5 per cento, resta alla Regione Sicilia. Uno scherzetto da 15 milioncini annui. Ma tutte e cinque le altre Italie difendono bene i loro interessi, comportandosi da mamme prodighe. Uno studio di qualche anno fa dell’Osservatorio sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche registrava differenze molto accentuate nel numero di dipendenti regionali nelle cinque Regioni a statuto speciale e nelle altre. In media nelle prime ci sono 108,6 travet regionali ogni 10mila abitanti, contro gli 8,7 delle altre. La regione con più stipendiati è la Valle d’Aosta (249,5), seguita dalla provincia autonoma di Bolzano (184,2), da quella di Trento (135,0), dalla Sicilia (31,1), dal Friuli-Venezia Giulia e dalla Sardegna (26,0). La prima delle Regioni ordinarie è il Molise (27,4) seguita dalla Calabria (22,8). In Lombardia, per dire, ci sono solo 4 dipendenti regionali ogni 10mila abitanti.
Ancora più impressionanti le differenze relative ai costi. Uno studio 2011 della Confartigianato registrava che le sole cinque Regioni a statuto speciale spendono due terzi dell’intero ammontare degli stipendi del personale delle Regioni e delle province autonome in Italia: 4.244 milioni nelle Regioni «speciali», 2.313 in tutte le altre messe insieme. Con picchi inauditi: la provincia autonoma di Bolzano da sola paga i suoi dipendenti un miliardo e 28 milioni, quanto Lombardia, Campania, Lazio e Calabria messe insieme. Il dato pro capite è ancora più lancinante: in Lombardia i dipendenti regionali costano 21 euro pro capite, in Valle d’Aosta cento volte di più: 2.162. E la macchina politica? Fa impressione scoprire che il consiglio regionale valdostano costa 124,74 euro per cittadino e quello sardo 50,87, mentre quello lombardo costa solo 7,7 euro.
È stato calcolato che se tutti i parlamentini regionali avessero lo stesso cartellino del prezzo del Pirellone il risparmio per lo Stato sarebbe di 606 milioni. Buttali via, direbbe quello.
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