Recita l’adagio che col se e col ma la storia non si fa. Giusto. Però con qualche se la Storia deve pur vedersela. Spiace non trovarsi d’accordo con un venerato maestro dell’autorevolezza di Benedetto Croce, secondo il quale le idee sono il propellente della Storia con maggior numero di ottani. È bella pensarla così. È edificante. Aiuta a sentirci migliori: le idee, l’essenza, la parte nobile e immateriale del bagaglio umano... Le idee, chissà perché, sembra sempre che odorino di bucato ed è confortante immaginarsi che la Storia, amalgama di passato, presente e futuro, abbia quel profumo.
Spiace non pensarla con don Benedetto, si diceva, ma c’è poco da fare: nel mettere insieme le tessere che alla fine disegneranno le pagine della Storia hanno contato, contano e conteranno anche i mal di testa, le simpatie e le antipatie, gli amori e gli adulteri, la pigrizia, l’insonnia (e se invece di dormire il Grand Condé avesse vegliato, la notte avanti la battaglia di Rocroi?), la fame e la sete, i malumori, i calli, la cattiva digestione. Si legge che Napoleone si giocò la vittoria a Waterloo per non aver compiuto l’abituale sopralluogo sul campo di battaglia. Nel corso dei quali i suoi rai fulminei coglievano al volo i punti deboli dello schieramento nemico. Ciò fatto, seguiva il concitato imperio ai suoi grognards, il di loro celere ubbidir e l’immancabile vittoria. Quella domenica 18 giugno 1815, Bonaparte non procedette all’ispezione perché la dolorosa recrudescenza d’un malanno cui era affetto, le emorroidi, lo dissuase dal montare in sella e procedere al piccolo trotto nella piana di Waterloo, disaminare la disposizione delle armate di Wellington e decidere il da farsi. Questo per dire che se a Waterloo si è fatta la Storia, e la si è fatta, lì le idee, il determinismo, non hanno avuto spazio, essendo quello interamente occupato da un banale, fastidioso disturbo fisico.
Vista così, Altri Risorgimenti è qualcosa di più di una raccolta di prodigiosi, acrobatici esercizi letterari sui se e sui ma che non farebbero la storia. È una sorta di memento e di occasione per riflettere su quanto abbia contato l’accaduto, ancorché insignificante, nel determinare il punto di bussola della Storia. E se, come leggerete in questa antologia, Napoleone III avesse intercettato una certa lettera di Cavour indirizzata a Costantino Nigra e con la quale si complimentava col diplomatico per essersi fatto sedurre da quella tombeuse de l’homme dell’imperatrice Eugenia? Visto che le abbiamo sempre dato tanta importanza ai fini dell’Italia una e indivisibile, le belle forme della Castiglione avrebbero fatto aggio sul prurito alle imperiali corna? E se il cardinal Mastai Ferretti non fosse stato eletto papa col nome di Pio IX? E al suo posto fosse salito al Soglio un duro reazionario poco propenso a lasciarsi aprire brecce nelle mura?
Il visionario autore di questo se prefigura una Roma odierna ancora soggetta al papa-re e la spedizione dei Mille, Teano, Porta Pia, appunto, episodi di un film di fantastoria. Perché no? E perché no se – ecco un altro se – Leopoldo II di Toscana, invece di darsela a gambe, fosse restato nel ’59 a Firenze, la regione non potrebbe essere a tutt’oggi granducale? Non parliamo delle conseguenze d’una vittoria di Napoleone III a Sedan o della morte di Carlo Alberto e del figlio Vittorio Emanuele sul campo di battaglia di Goito. L’autore di quest’ultimo se non ha difficoltà nell’immaginare la fine dei Savoia e, spingendo un po’ più avanti, ma non troppo, l’immaginazione, figurarsi l’ascesa al trono di quel «Canapone» che in un precedente se abbiamo visto impavido al suo posto di granduca.
Ma questo Altri Risorgimenti non si limita a rettificare di un niente la balistica storica per cavarne conseguenze a dir poco sorprendenti. La subordinata condizionale è infatti introdotta talvolta da un se domestico, ovvero non fatidico, come piace alla Storia con la maiuscola. E se, leggerete in La Bela del Birù, alle cure del regno e alle visioni unitarie Vittorio Emanuele avesse alfine preferito i dolci baci e le languide carezze della Bella Rosina filandosela con lei in Sud America? E da lì, in un sussulto d’amor, diciamo così, patrio fosse tornato sui suoi passi deciso a fare l’Italia e gli italiani occupando la penisola e oltre, con falangi di miliziani al comando di Giuseppe Garibaldi e tutti indossando una blusa di color di rosa, in onore della Madre della Patria, Rosa Vercellana?
Affidato come fu a una serie di equilibri precarissimi e a un pugno di protagonisti non alternabili, il Risorgimento è stata una partita a dadi. Riuscita non per virtù delle poche mani che li gettavano, ma perché alla fine rotolarono tutti nel modo giusto. Due partite, una alta e una bassa. L’alta fu quella delle tre «esse» grazie alle quali, come sentenziò Bismarck, uno che se ne intendeva, si deve l’Unità d’Italia: Solferino, Sedan e Sadowa. Salvo la marginale partecipazione nella prima delle «esse», tutti dadi gettati da mano altrui. La bassa fu quella che giocammo in casa. Ebbene, la lettura di Altri Risorgimenti fa venire la pelle d’oca per il numero di azzardi che si presentarono: sarebbe bastato che uno, uno solo fosse andato storto per mandar a carte quarantotto l’intera epopea. A dispetto delle idee e degli orari – partenze, arrivi e coincidenze – che molti sostengono abbia il bel treno della Storia, l’intoppo che più avanti leggerete, e se cioè nel 1841, fallito il tentativo secessionista riograndese, «José» Garibaldi non fosse riuscito a filarsela in Uruguay, ma fosse caduto nelle mani dei lealisti, non ci sarebbero stati i Mille. E senza i Mille, sapendo come la pensava Cavour – e cioè che regalate da un «eroico ciula», come egli chiamava l’eroe dei due mondi, forse sì, ma altrimenti niente Due Sicilie da affratellare al Piemonte – un tocco dello Stivale se ne sarebbe restato per conto suo. Niente vieta di pensare che col tempo, il «dialogo» e il «confronto», l’affratellamento avrebbe avuto luogo. Però, intanto, l’Italia si sarebbe fermata a Firenze (e non sarebbe bastata la seconda «esse», quella di Sedan, ad aprire la breccia di Porta Pia).
Fantasticherie, certo; fantastoria, sicuro. Però val la pena di farci su un pensierino. Ucronie, ha giustamente definito il curatore di questa antologia, Gianfranco de Turris, la ventina di racconti che la compongono. Descrizioni immaginarie di fatti storici. Ma coerenti, ma verosimili. Sta tutto lì il piacere e il giovamento che se ne trae nel leggerli, nella verisimiglianza.
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