Il partito xenofobo impone al governo di Copenaghen di ripristinare i controlli alle frontiere con la Germania e la Svezia. Oggi una difficile riunione dei ministri degli Interni dell’Ue. Ma è sempre più chiaro che il Nord Europa sbarra le sue porte
Sarà stata la notizia che in Libia ci sono 750.000 profughi dell’Africa subsahariana pronti ad imbarcarsi per l’Europa, sarà stata la volontà di condizionare l’odierna riunione dei ministri degli Interni della Ue, che dovrebbe esaminare la proposta italo-francese sulla possibilità di reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontiere, sarà stato il ricordo delle minacce e delle ritorsioni subite dai musulmani a causa della famosa vicenda delle vignette di Maometto. Fatto sta che la piccola Danimarca, un tempo considerata uno dei Paesi più tolleranti nei confronti dell’immigrazione extracomuniutaria, ha preso tutti in contropiede e sospeso per prima il trattato di Schengen senza neppure attendere le decisioni di Bruxelles.
Su sollecitazione dello xenofobo Partito del popolo danese della pasionaria Pia Kjaersgaard, componente essenziale della maggioranza parlamentare, il governo di centro destra ha deciso di reintrodurre, entro tre settimane e avvalendosi di nuovi strumenti elettronici, i controlli ai confini sia con la Germania, sia con la Svezia. La motivazione è che è necessario porre un argine alla immigrazione illegale e alla conseguente infiltrazione della criminalità organizzata che seguiranno alla ondata di arrivi dal Nordafrica che sta investendo l’Europa meridionale. Vista la sua conformazione geografica, e la conseguente possibilità di entrarvi dal mare, è dubbio che le misure adottate basteranno a isolare la Danimarca dalla paventata invasione. Ma la decisione di Copenaghen è una vera e propria bomba scagliata contro un edificio europeo che sta già vacillando, e che proprio ieri il commissario Barnier, andando in controtendenza, ha esortato a rinforzare prima che sia troppo tardi, aprendosi di più a una immigrazione necessaria per disporre di una sufficiente forza lavoro.
Anzitutto, essa significa che, qualunque decisione adotteranno i ministri degli Interni dei 27 in materia di revisione di Schengen, questa potrebbe essere ignorata o scavalcata da singoli governi che si sentissero in qualche modo minacciati. Ma, soprattutto, è la prova finora più eclatante che i Paesi del Nordeuropa non sono affatto disposti a condividere con noi e con gli altri Paesi mediterranei investiti dalle masse africane il peso della potenziale «migrazione biblica» di cui ha parlato spesso il ministro Maroni. Si tratta della conseguenza naturale di una evoluzione cui nessuno sembra sfuggire. Dalla Danimarca stessa alla Svezia, dalla Finlandia all’Olanda, dal Belgio alla Francia, partiti populisti e più o meno esplicitamente antieuropei e xenofobi stanno conquistando fette sempre maggiori di elettorato e sempre più spesso condizionano la formazione e la linea politica dei governi. È già successo all’Aia e a Copenaghen, sta succedendo a Helsinki e potrebbe succedere perfino in Francia se continuasse l’avanzata del Fronte nazionale di Marine Le Pen. Per adesso la tendenza sembra risparmiare la Germania, ma solo perché i tedeschi devono sentirsi abbastanza tutelati dal governo Merkel: appena ieri, per esempio, il ministro degli Interni ha dichiarato che l’Italia era un grande Paese che poteva benissimo gestire l’arrivo di qualche decina di migliaia di profughi senza pretendere di disperderli nel resto dell’Unione.
Paradossalmente, la marea nazional-populista sta già investendo anche l’Europa dell’Est, che fino adesso era terra di emigrazione piuttosto che di immigrazione (ricordate il mitico idraulico polacco, che fu protagonista del referendum francese sul nuovo trattato europeo?), ma dove si sta comunque molto meglio che in Africa e in Asia e che perciò potrebbe diventare la prossima meta per i disperati che vogliono varcare il Mediterraneo.
Il Trattato di Schengen non è il Trattato di Lisbona, tant’è vero che numerosi membri della Ue, a cominciare dalla Gran Bretagna, hanno rifiutato di aderirvi (i più poveri, come Romania e Bulgaria, spingono invece per farlo). Tuttavia, esso è considerato tuttora con favore dalla maggioranza dei cittadini europei, lieti di potere viaggiare per tre quarti del continente senza più controlli. Ma se la «migrazione biblica» si materializzasse, è destinato a diventare, almeno nella sua forma attuale, la prima vittima dell’antieuropeismo che si sta diffondendo. Già oggi potremmo averne un primo assaggio. Purtroppo, per la nostra posizione geografica, rischiamo di essere quelli più danneggiati da un suo ridimensionamento.
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