domenica 1 maggio 2011

Ci liberò dal comunismo Beati noi per quel Papa

di Giuliano Ferrara

La chiesa di sinistra, pauperista, spiritualista, parla e sparla di Pa­pa Wojtyla, oggi beato, come di uno che "faceva politica". Quante sciocchez­ze e ipocrisie ­in una giornata così bel­la e importante per la chiesa universa­le e per il mondo

La chiesa di sinistra, pauperista, spiritualista, parla e sparla di Pa­pa Wojtyla, oggi beato, come di uno che «faceva politica». I set­tori più tradizionali si preoccupano di ricordare che aveva una vena misti­ca profonda, e che la sua devozione mariana testimonia la profondità del­la sua fede orante. Quante sciocchez­ze e ipocrisie­in una giornata così bel­la e importante per la chiesa universa­le e per il mondo. Giovanni Paolo II fu un capo nazio­nale polacco, venuto da quel Paese cattolico stretto nella storia tra gli or­todossi a oriente e i protestanti a occi­dente, e da sempre in lotta per la liber­tà e l'autodeterminazione.

Fu scelto come successore di Paolo VI, nell'an­no dei tre papi con l'interregno di Al­bino Luciani, perché veniva dall'est europeo, perché era pastore e ideolo­go e filosofo naturalmente schierato dalla parte della libertà di culto, della libertà civile, di un impulso a una nuova evangelizzazione dell' Europa. Era inestirpabile la sua radice nazionale, e fu un grande fattore di desti­no o di provvidenza la sua universalità. Nel No­vecento il nazionalismo si era sposato con il totalitari­smo, il Papa venuto da Craco­via rovesciò questa funesta sim­metria e trasformò il nazionalismo cattolico polacco, con la sua devozio­ne mariana, con la sua beata e corag­giosa semplicità popolare, in un po­tente fattore di liberazione dell'Euro­pa dalla cappa di­piombo del comuni­smo internazionalista guidato da Mo­sca e dal Partito comunista dell'Unio­ne Sovietica di Lenin, di Stalin e dei loro successori.

Provo molta pena per lo scarso sen­so della realtà e del ridic­olo che anco­ra oggi induce tanti osservatori e com­mentatori, laici ed ecclesiastici, a rifi­larci per mera compunzione balle in­verosimili sull'attentato di cui fu auto­re il lupo grigio turco Mehmet Ali Agca, a tre anni dalla elezione di Wojtyla al soglio di Pietro e immedia­tame­nte dopo i suoi fatali pellegrinag­gi polacchi; Agca cercò di ammazzar­lo, quel pontefice gloriosamente mi­naccioso, su ordine conforme del Kgb, trasmesso attraverso il partito fratello bulgaro. S'inventano di tutto, dal traffico di stupefacenti all'islami­smo ad altre storie buffe o tragicomi­che, pur di negare l'evidenza. Il che era giustificabile in tempi di guerra fredda e di equilibrio nucleare, quan­do alla diplomazia internazionale e allo stesso Vaticano, entità responsa­bile, facevano paura le rivelazioni ir­recusabili sui rapporti del sicario tur­co con le autorità spionistiche bulga­re di Roma, compresa la perfetta de­scrizione dell'appartamento del ca­poscalo della Balkan Air, il commit­tente o cooperante di un progetto lu­cidamente nato a Mosca, nel Cremli­no di Yuri Andropov.

Quella era gente che la sapeva lun­ga, che aveva intuito quel che tutti sappiamo con il senno del poi: fosse andato a segno, l'attentato avrebbe cambiato i tempi e i modi della storia europea. Un Papa polacco in crocia­ta per le libertà era intollerabile per i vecchi equilibri imperiali garantiti dalla oculata ma ormai intenibile Ostpolitik, l'appeasement struttura­le con il comunismo ateo e materiali­sta governato con saggezza e spirito conservatore da Agostino Casaroli e da Achille Silvestrini, quelli sì attori eminentemente politici sulla scena del mondo. Alla base di questa nebbioli­na che grava sulla splendi­da beatificazione, alla ba­se di questa impura me­scolanza di profetismo (la Madonna di Fatima e i suoi segreti) e di riserbo politico, sta un grave equi­voco teologico, figlio della cul­tura diffusa dopo il Vaticano II.

La chiesa deve tornare alle origini, si di­ce, e abiurare il patto costantiniano ovvero il suo matrimonio fatale con l'impero romano, che garantì una pie­na­universalizzazione del cristianesi­mo dopo la conversione di Costanti­no il Grande, presidente del Concilio di Nicea al quale dobbiamo il credo o simbolo apostolico tuttora in vigore. Ma tutti sanno che se la chiesa dei cri­stiani non avesse fatto quella grande politica, assumendo la dignità di reli­gione dell'impero, oggi i cristiani sa­rebbero una setta di minoranza tra le altre. Molti, fuori e dentro la chiesa, sarebbero contenti di questa circo­stanza, perché le mode postconcilia­ri­vogliono un cristianesimo disincar­nato, con la testa evangelica di Cristo Gesù ma senza il suo corpo, che è la chiesa stessa.

Facciano pure, ma esi­stono laici non disponibili alle mode. Paolo VI disse che la politica, fratel­lanza e governo della condizione umana, è la forma più alta della cari­tà, dell'amore cristiano. Liberandoci dal comunismo in Europa, il beato Papa polacco lo dimostrò.

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