martedì 3 maggio 2011

Giovanni Gentile ucciso dai partigiani per la seconda volta

Carissimo Granzotto, le sottopongo una questione a mio parere emblematica di come la sinistra trinariciuta esista ancora in Italia. Il presidente dell’Anpi di Firenze, Silvano Sarti, ha chiesto con specifico provvedimento di «disconoscere politicamente e formalmente l’atto con il quale Benito Mussolini decise l’attuale collocazione nella basilica di Santa Croce della salma di Giovanni Gentile». Il capogruppo Pd di Firenze, Bonifazi, ha detto che è una «proposta molto solida che sarà presa in considerazione». Io non ho parole. A 70 anni dall’assassinio di uno dei più importanti filosofi e uomini di cultura che abbiamo avuto in Italia si cerca di imprimere una damnatio memoriae così meschina, così vigliacca? Neppure i partigiani di allora ebbero da ridire sulla tumulazione e questi moderni emuli di Vyšinskij vogliono ammazzare Gentile un’altra volta? La vergogna dei comunisti non ha limiti.
Castiglione della Pescaia (Grosseto)

Sarti, Sarti... ma sì, quel pittoresco militante che disse: «I ragazzi dei social forum sono come eravamo noi partigiani». Che disse: «Non c’era bisogno di ammazzare a Genova un ragazzo di vent’anni. Fini l’ha voluto morto per impaurire la gente». Fini. Che disse: «Noi partigiani vogliamo solo la pace, la solidarietà, la concordia e la collaborazione». Quindi, in nome della concordia eccetera, definì Berlusconi «uno che più cretino non ci può essere». Bella tempra di partigiano, il compagno Silvano Sarti. Lucido, soprattutto. Inevitabile che da un cervello così fatto venisse la proposta - di chiara impronta democratica e che certamente si rifà ai valori della Resistenza - di sfrattare i resti di Giovanni Gentile da Santa Croce. Lei, caro Danubi, la reputa una tarda vigliaccata. Ma no, è solo una fesseria e se dovessimo star dietro a tutte le fesserie trinariciute non ci resterebbe tempo per far altro. Mi stupisco dell’astro nascente della nuova sinistra che nascerà sui rottami (D’Alema, Veltroni, Bersani, Fassino, Bindi, Finocchiaro...) della vecchia, intendo dire Matteo Renzi. Colui che dovrebbe una volta per tutte riuscire a tappare la terza narice dei «sinceri democratici». Non dico che avrebbe dovuto zittire Sarti, non sta bene con un vecchio signore: bastava avesse fatto finta di non averlo udito, come si faceva col nonno quando attaccava a raccontare di quella volta sull’Adamello e il rancio che non arrivava. E invece no, Renzi ha voluto dire la sua, sostenendo che beh, tutto sommato, «la morte di Gentile fu un atto di guerra». Atto di guerra! Assassinare a sangue freddo, come fecero Bruno Fanciullacci (che si ebbe, per l’ardita e rischiosa impresa, la medaglia d’oro al valore) e Antonio Ignesti, l’inerme filosofo nel giardinetto di casa. Un gesto che allora, marzo 1944, fu disconosciuto e fermamente disapprovato dallo stesso Comitato di liberazione, con l’esclusione - occorre dirlo? - della sua componente comunista.
Gli è, caro Danubi, che i soci dell’Anpi non sanno più dove sbattere la testa per contrastare l’inarrestabile declino del mito della Resistenza «lotta di popolo» e delle sue plumbee liturgie. E allora vanno in cerca del gesto clamoroso, attendendosi che dia una lustrata all’immagine sempre più sfumata della guerra partigiana. Ma nemmeno la sparata di Sarti di disconoscere la collocazione del sepolcro di Gentile «nel cosiddetto “tempio dei forti” di Santa Croce», atto «necessario e sufficiente per la città di Firenze, città medaglia d’oro della Resistenza, con le radici ben ferme nell’antifascismo» ha sortito l’effetto voluto. Una alzata di spalle e via.

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