L'Isola Ferdinandea è conosciuta oggi come "Banco Graham", ovvero una vasta piattaforma rocciosa a circa 6 metri dalla superfice marina tra Sciacca e l'isola di Pantelleria. Costituisce la bocca di un vulcano sommerso che, eruttando, nel 1831, vide l'isola crescere fino ad una superficie di circa 4 km Tuttavia essa era composta da materiale eruttivo chiamato tefra o tefrite, materiale facilmente erodibile dall'azione delle onde. Alla conclusione dell'episodio eruttivo si verificò una rapida subsidenza e l'isola scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832, prima di ogni soluzione del problema sorto intorno alla sua sovranità. | ||
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| La storia | |
Sono state frequenti le eruzioni vulcaniche al largo delle coste siciliane di Sciacca, nel tratto di mare che va da Capo Granitola a Capo Bianco, in corrispondenza di bassifondi ricoperti di coralli. Dall’eruzione avvenuta in epoca immemorabile, nacque l'isola di Pantelleria, che culmina nella Montagna grande, avanzo di un cratere vulcanico contornato da altri 24 crateri detti "cuddìe". Nella notte fra il 10 e l'11 luglio 1831, a 26 miglia circa dalla spiaggia di Sciacca, a metà strada da Pantelleria, nella cosiddetta Secca del Corallo, in seguito ad una scossa tellurica, il vulcano sottomarino aprì la sua bocca eruttando scorie e lapilli, formando una piccola isola di circa quattro chilometri di circonferenza e sessanta metri d'altezza. Il 13 luglio, gli abitanti di Sciacca che si trovavano sulla piazza di San Domenico, videro nettamente una colonna di fumo, a circa 30 miglia al largo, nel luogo noto come "secca di mare". Pensarono ad un piroscafo di passaggio; poi, data la persistenza del fumo, ad una nave in fiamme. Il tratto di mare, come asserì il capitano Pulteney Malcon il quale vi passò col suo bastimento, fu violentemente agitato. La colonna di fumo, il ribollimento delle acque ed i boati furono notati dal 13 al 15 luglio anche dal capitano Mario Provenzano, comandante la bombardiera Madonna delle Grazie, che faceva rotta per Malta. In quello stesso giorno il capitano Francesco Trafiletti. comandante del brigantino Gustavo, proveniente da Malta, riferì che a 30 miglia da Capo S. Marco aveva notato un ribollimento delle acque che aveva creduto effetto dell’agitarsi e del dibattersi di grossi cetacei.
Dopo un paio di giorni cominciò l’eruzione di lapilli, di pomici. di tufi e di scorie infuocate che, cadendo roventi nel mare, ne determinavano uno spumeggiante stridore e si spingevano fino alla spiaggia di Sciacca. Il 17 luglio si era già formato un isolotto che cresceva rapidamente in dimensioni e in altezza. La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto una barca peschereccia comandata da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola. Questa era sorta a 37°, 11’ di latitudine nord e 12°, 44’ di longitudine est, in una zona profonda 180 metri, sul banco detto "secca di mare". La notizia della nascita della nuova isola si sparse rapidamente; da Palermo fu inviata la real corvetta Etna, al comando del capitano di fregata Raffaele Cacace; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. I fenomeni eruttivi furono intensissimi dal 18 al 24 luglio, poi cessarono fino ad estinguersi nei primi di agosto, epoca in cui l’isola raggiunse il suo massimo sviluppo: 4800 metri di circonferenza e 63 metri di altezza massima. Essa si presentava di forma circolare ed era irregolarmente alta; infatti dal lato di nord-est aveva la sua massima altezza, dal lato sud era alta appena m. 8,50 ed ancor meno dal lato ovest. Nel mezzo era un falso piano che nella parte nord comunicava col mare ed in esso si apriva il cratere della circonferenza di 184 metri, dove si aprivano due bocche eruttive, dalle quali venivano emessi ad intermittenza, i materiali vulcanici. L'eruzione durava da mezz'ora ad un'ora e poi riprendeva dopo qualche minuto, determinando così una deposizione a strati dei materiali eruttati. Cessata l'eruzione, le due bocche del cratere si riempirono di acqua marina che vi entrava da nord e si trasformarono così in due laghetti dove l'acqua mandava vapore fino alla altezza di qualche metro. Uno dei due laghetti aveva una circonferenza di venti metri ed una profondità di due l’acqua contenuta era di color giallo rossastro ed aveva sapore salino piccante; l'altro laghetto era più piccolo e l'acqua aveva color giallo e sapore sulfureo. L'analisi delle dette acque dimostrò trattarsi di acqua marina con sali ferrosi ed idrogeno solforato. La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto un peschereccio comandato da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola. Questa era sorta a 37 gradi e 11 primi di latitudine nord e 12 gradi e 44 primi di longitudine est. I fenomeni eruttivi furono intensissimi fino 24 luglio, poi cessarono fino ad estinguersi nei primi di agosto, epoca in cui l'isola raggiunse il suo massimo sviluppo: 4.800 metri di circonferenza e 63 di altezza massima. Da Palermo fu inviata la corvetta Etna, al comando del capitano Raffaele Cacace; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. Gli inglesi ebbero una particolare predilezione per la nuova isola che si trovava sulla rotta per Malta. La Gazzetta di Malta del 10 agosto riferiva che il capitano Sanhouse, comandante del cutter Hind, il 2 agosto era sbarcato sull'isola e vi aveva piantato la bandiera inglese.
Il 26 settembre dello stesso anno la Francia, per non essere da meno, inviava il brigantino "La Fleche", comandato dal capitano di corvetta Jean La Pierre, il quale recava con sé una missione diretta dal geologo Constant Prèvost insieme al pittore Edmond Joinville, al quale si devono i disegni di quel fenomeno eccezionale. Furono fatti dai francesi approfonditi rilievi e ricognizioni accurate fino al 29 settembre, e il materiale raccolto venne inviato al viceammiraglio della flotta francese De Rigny. Il contenuto di queste relazioni stabilivano che l'isola, sotto l'azione delle onde, aveva subito diverse frane, che a loro volta avevano provocato grandi erosioni sui fianchi; quindi i crolli avevano trascinato con sé una grande quantità detriti. Pertanto l'isola, non avendo una base consistente, si poteva inabissare bruscamente. Come gli inglesi, anche i francesi non avevano chiesto alcun permesso al re Ferdinando II di Borbone, quale legittimo proprietario dell'isola, essendo questa sorta nella acque siciliane. Anzi i francesi la ribattezzarono "Iulia" in riferimento alla sua comparsa avvenuta nel mese di luglio, poi posero una targa a futura memoria con la seguente iscrizione: "Isola Iulia – i sigg. Constant Prèvost, professore di geologia all'Università di Parigi – Edmond Joinville, pittore 27, 28, 29 settembre 1831". In segno di possesso venne innalzata sul punto più alto la bandiera francese.
Il re Ferdinando II, constatando l'interesse internazionale che l'isoletta aveva suscitato, inviò sul posto la corvetta bombardiera "Etna" al comando del capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, piantò la bandiera borbonica battezzando l'isola "Ferdinandea" in onore del sovrano. Sembrava che l'evento non suscitasse altro clamore, invece giunse sul posto il capitano Jenhouse con una potente fregate inglese e il Corrao con i suoi marinai, grazie alla mediazione del capitano Douglas, ottenne di rimettere la questione ai rispettivi governi.
L'8 dicembre il capitano Vincenzo Allotta, comandante del brigantino Achille, al posto dell'isola trovò una piccola colonna di acqua calda "con puzza di bitume". Il 17 dicembre due ufficiali dell'Ufficio topografico di Napoli, recatisi sul posto, trovarono che tutta l'isola era stata coperta dal mare. Verso la fine del 1835 al posto dell'isola esisteva un piccolo monte subacqueo esteso per circa 1100 metri e la cui cima era a circa tre metri dalla superficie del mare, costituendo un pericolo per la navigazione. Il 12 agosto 1863 il cratere si riaprì ed in pochi giorni si formò una nuova isoletta che fu subito distrutta dalle onde marine. Secondo i rilievi fatti dall'Istituto Idrografico della Marina Militare attualmente dell'isola rimane un cono vulcanico, la cui sommità sale ad otto metri sotto il livello del mare. Il 5 febbraio del 2000 il tratto di mare dove l'isola è scomparsa cominciò a dare segni di vita, e i locali ritennero che stava ripetendosi il fenomeno vulcanico che aveva portato all'emersione di Ferdinandea nell'800. Di opposto parere i geologi, ma tant'è, subito ripresero le polemiche: il Times infatti pubblicò che un'isola britannica stava per riemergere dal mare, mentre Carlo di Borbone (che vanta una discendenza da Ferdinando II) ha rinunciato (non si sa a quale titolo!) a ogni diritto sull'isola a favore dello stato italiano. | ||
Non passò molto tempo che il pronostico francese cominciò ad avverarsi. Le persone che viaggiavano sul vaporetto "Francesco I" riferivano che l'isola aveva un perimetro di mezzo miglio e l'altezza si era abbassata. Verso la fine d'ottobre del 1831 il governo borbonico prendeva posizione ufficiale ed inviava ai governi di Gran Bretagna e Francia una memoria con la quale gli dava notizia dell'evento, ricordandogli che a norma del diritto internazionale la nuova terra apparteneva alla Sicilia. A quanto sembra però i due governi non risposero, e iniziarono le rivalità fra le due nazioni, entrambe interessate a favorire le loro posizioni strategiche nel Mediterraneo. Il 7 novembre di quel'anno, l'inglese Walker, capitano dell'Alban, la misurava e l'isola risultava ridotta ad un quarto di miglio con un'altezza di venti metri. Il 16 novembre si scorgevano soltanto piccole porzioni e l'8 dicembre il capitano Allotta, del brigantino Achille, ne costatava la scomparsa, mentre alcune colonne d'acqua si alzavano e si abbassavano. Dell'isola rimaneva un vasto banco di roccia lavica, che attualmente viene indicato nelle carte nautiche come "il banco Graham", a 24 miglia a nord-est di Pantelleria. Nel 1846 e nel 1863 l'isoletta è riapparsa ancora in superficie, per poi scomparire nuovamente dopo pochi giorni. Di essa rimanevano solo i molti nomi avuti in seguito alla disputa internazionale: Giulia, Nerita, Corrao, Hotham, Graham, Sciacca, Ferdinandea.
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Col terremoto del 1968 nella Valle del Belice, le acque circostanti il Banco di Graham furono viste intorpidirsi e ribollire. Forse era un segnale che l'isola Ferdinandea stava per riemergere. Così non fu, ma si segnalò un movimento nelle acque internazionali di alcune navi britanniche della flotta del Mediterraneo. A scanso di equivoci i siciliani posero sulla superfice del banco Graham una targa in pietra tra le cui righe si legge che "[...] l'Isola Ferdinandea era e resta dei Siciliani". Rotta qualche anno fa (probabilmente per colpa di un'ancora) è stata prontamente sostituita. Successivamente il vulcano è rimasto dormiente per decenni con la cima circa 8 m sotto il pelo dell'acqua (il cosiddetto Banco di Graham nella cartografia ufficiale). Nel 1986 fu erroneamente scambiato per un sottomarino libico e colpito da un missile della U.S. Air Force nella sua rotta per bombardare Tripoli. Nel 2002 una rinnovata attività sismica nella zona di Ferdinandea ha indotto i vulcanologi a speculare sopra un imminente nuovo episodio eruttivo con conseguente nuova emersione dell'isola. Per evitare in anticipo una nuova disputa di sovranità, dei sommozzatori italiani hanno piantato un tricolore sulla cima del vulcano di cui si aspettava la riemersione. Però le eruzioni non si sono verificate e al 2005 la cima di Ferdinandea rimane ancora circa 6 metri sotto il livello del mare. |
mercoledì 8 giugno 2011
L'isola che non c'è: L'isola Ferdinandea
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