Maurizio Azzolini, che sparò durante gli scontri del 1977, è capo di gabinetto della vicesindaco. Il consigliere poliziotto Abagnale: "Se c’è lui esco dall’aula"
Milano - L’uomo con la pistola. Maria Grazia Guida, vicesindaco a Milano nella giunta di Giuliano Pisapia, seppur cercata ha preferito non parlare. Nessuna spiegazione. Parla invece qualcun altro.
«Gentile vicesindaco, le motivazioni della presente lettera sono insite nel fatto che quel 14 maggio del 1977 io, Carmine Abagnale, allora vice brigadiere della polizia di Stato in servizio presso il Reparto Celere di Milano e collega di Antonio Custra, ero lì in via De Amicis a difendere le istituzioni democratiche mentre il suo capo di gabinetto, Maurizio Azzolini, mi sparava addosso». Mancandolo, per sua buona sorte, mentre sul selciato rimaneva un collega appena venticinquenne, sposato e in attesa di una figlia.
Parole crude quelle affidate da Abagnale, oggi sostituto commissario di polizia e consigliere comunale pdl a Milano dove è vicepresidente della commissione Antimafia, a una lettera aperta dopo che sulle pagine locali del Corriere della Sera si è letto che a guidare lo staff del vicesindaco è proprio quello stesso Azzolini che fini dentro una fotografia in bianco e nero, diventata simbolo di quegli anni di piombo e di sangue. Ritratto insieme a due compagni che scappavano mentre lui, proprio Azzolini, puntava la pistola ad altezza d’uomo contro i poliziotti. L’inchiesta bis condotta da Guido Salvini dimostrò che a uccidere Custra non fu lui, ma la 7.65 del poi pentito Mario Ferrandi, detto «Coniglio».
La sera prima un gruppo di fuoco aveva deciso che quella manifestazione sarebbe diventata uno scontro armato. E battaglia fu. L’agente Custra morto, altri due poliziotti feriti, la proprietaria di una boutique colpita da una pallottola alla testa. Prova generale del passaggio al terrorismo per un gruppo dell’Autonomia, quando gli eskimo in redazione ancora negavano che la violenza potesse essere rossa. E, invece, Marco Barbone, Enrico Pasini Gatti, Luca Colombo, Giancarlo De Silvestri, Giuseppe Memeo avevano portato armi e proiettili. Corrado Alunni, capo di Prima linea, aveva messo le pistole dentro un sacco per distribuirle. Al servizio d’ordine del collettivo Romana-Vittoria, ai collettivi Barona e viale Puglie, agli studenti del Cattaneo tra cui Azzolini. L’ordine dell’assalto. Sparò anche Azzolini, ma non colpì nessuno. Al suo fianco, immortalati nella foto, Massimo Sandrini e Valter Grecchi.
«Non ero molto distante dal collega Antonio Custra - prosegue la lettera di Abagnale - anche lui vice brigadiere, un corso prima del mio. Ragazzo d’oro». Azzolini tirò il grilletto. «Se oggi sono vivo lo devo alla buona sorte ed al caso perché il suo capo di gabinetto sparava contro la polizia». Non solo. «Ora, signora vicesindaco, il rispetto alla sua istituzionale figura e quello nei confronti delle persone che l’hanno votata mi obbliga a non abbandonare l’aula consigliare quando lei sarà presente. Devo però dirle che qualora vedrò aggirarsi per la sala del consiglio il suo capo di gabinetto non esiterò, le ripeto non esiterò ad abbandonare l’aula chiedendo a tutti i consiglieri di unirsi al mio gesto in memoria di un eroe dal nome Giuseppe Custra. Si ricordi bene, signora vicesindaco, quando mi incontra nella sala del consiglio: “Quel 14 maggio 1977 io ero lì in via De Amicis e quelli, tanti purtroppo, ci sparavano addosso”».
Ci volle una giunta di centrodestra, ricorda oggi l’ex vicesindaco Riccardo De Corato chiedendo alla Guida di allontanare Azzolini, per mettere una lapide lì dove morì il brigadiere Custra. Antonio, come Antonia la moglie disperata chiamò la figlia, venuta al mondo di lì a poco. «Nata senza papà - raccontò al Giornale molti anni dopo diventata poliziotta - e cresciuta già morta».
Parole crude quelle affidate da Abagnale, oggi sostituto commissario di polizia e consigliere comunale pdl a Milano dove è vicepresidente della commissione Antimafia, a una lettera aperta dopo che sulle pagine locali del Corriere della Sera si è letto che a guidare lo staff del vicesindaco è proprio quello stesso Azzolini che fini dentro una fotografia in bianco e nero, diventata simbolo di quegli anni di piombo e di sangue. Ritratto insieme a due compagni che scappavano mentre lui, proprio Azzolini, puntava la pistola ad altezza d’uomo contro i poliziotti. L’inchiesta bis condotta da Guido Salvini dimostrò che a uccidere Custra non fu lui, ma la 7.65 del poi pentito Mario Ferrandi, detto «Coniglio».
La sera prima un gruppo di fuoco aveva deciso che quella manifestazione sarebbe diventata uno scontro armato. E battaglia fu. L’agente Custra morto, altri due poliziotti feriti, la proprietaria di una boutique colpita da una pallottola alla testa. Prova generale del passaggio al terrorismo per un gruppo dell’Autonomia, quando gli eskimo in redazione ancora negavano che la violenza potesse essere rossa. E, invece, Marco Barbone, Enrico Pasini Gatti, Luca Colombo, Giancarlo De Silvestri, Giuseppe Memeo avevano portato armi e proiettili. Corrado Alunni, capo di Prima linea, aveva messo le pistole dentro un sacco per distribuirle. Al servizio d’ordine del collettivo Romana-Vittoria, ai collettivi Barona e viale Puglie, agli studenti del Cattaneo tra cui Azzolini. L’ordine dell’assalto. Sparò anche Azzolini, ma non colpì nessuno. Al suo fianco, immortalati nella foto, Massimo Sandrini e Valter Grecchi.
«Non ero molto distante dal collega Antonio Custra - prosegue la lettera di Abagnale - anche lui vice brigadiere, un corso prima del mio. Ragazzo d’oro». Azzolini tirò il grilletto. «Se oggi sono vivo lo devo alla buona sorte ed al caso perché il suo capo di gabinetto sparava contro la polizia». Non solo. «Ora, signora vicesindaco, il rispetto alla sua istituzionale figura e quello nei confronti delle persone che l’hanno votata mi obbliga a non abbandonare l’aula consigliare quando lei sarà presente. Devo però dirle che qualora vedrò aggirarsi per la sala del consiglio il suo capo di gabinetto non esiterò, le ripeto non esiterò ad abbandonare l’aula chiedendo a tutti i consiglieri di unirsi al mio gesto in memoria di un eroe dal nome Giuseppe Custra. Si ricordi bene, signora vicesindaco, quando mi incontra nella sala del consiglio: “Quel 14 maggio 1977 io ero lì in via De Amicis e quelli, tanti purtroppo, ci sparavano addosso”».
Ci volle una giunta di centrodestra, ricorda oggi l’ex vicesindaco Riccardo De Corato chiedendo alla Guida di allontanare Azzolini, per mettere una lapide lì dove morì il brigadiere Custra. Antonio, come Antonia la moglie disperata chiamò la figlia, venuta al mondo di lì a poco. «Nata senza papà - raccontò al Giornale molti anni dopo diventata poliziotta - e cresciuta già morta».
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