Al via il piano "rivitalizzazione". Il gigante emergente, che si vanta del suo progressismo e dà asilo a ex terroristi, ora caccia migliaia di favelados
Per tirarsi a lucido in vista della Coppa del mondo di calcio del 2014 e delle Olimpiadi di due anni dopo, il Brasile sta forzatamente cacciando, a colpi di bulldozer, migliaia di famiglie dalle favelas a Rio de Janeiro e altre città.
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Interi quartieri abitati dalla fascia più povera della popolazione verranno «rivitalizzati» per ospitare gli eventi sportivi. Agli appelli di Amnesty international e delle Nazioni Unite, contro i trasferimenti forzati, il «gigante» emergente dell’economia mondiale, guidato da presidenti che amano definirsi progressisti, fa spallucce. Non solo: il Paese che concede rifugio ad ex terroristi latitanti come Cesare Battisti è guidato da Dilma Roussef, ex rivoluzionaria marxista proprio negli anni settanta, quando i poveri occuparono le favelas dove hanno vissuto e cercano di sbarcare il lunario fino ad oggi.
Proprio come è successo in Cina per le Olimpiadi del 2008. Allora il regime cinese impose l’esodo forzato di oltre un milione di persone dalla città di Pechino verso le periferie. Le famiglie deportate erano state risistemate in località lontane dallo sguardo indiscreto delle telecamere e degli sportivi che si apprestavano a invadere la capitale.
L’agenzia stampa Associated press ha svelato in un’inchiesta che 170mila brasiliani sono le potenziali «vittime» della cacciata d’autorità dalle loro case, in una dozzina di città, a causa della coppa del mondo e dei giochi olimpici. Solo a Rio de Janeiro, il sindaco aveva annunciato nel 2011 un piano che riguardava 13mila famiglie. L’investimento per sfrattare la favela de Metro vicina al mitico stadio Maracanà e far spazio alle infrastrutture è di 63,2 milioni di dollari. Le autorità usano il termine più blando di «rivitalizzare» gli slum. In realtà arrivano i bulldozer, anche di notte, e buttano giù tutto. Se gli inquilini resistono non si va tanto per il sottile e vengono portati via a forza. Evandro dos Santos abita vicino al Maracanà e rischia di essere il prossimo della lista: «Stanno distruggendo la nostra comunità per un gioco». Jorge Bittar, responsabile del comune di Rio per gli espropri, replica: «La ridislocazione avviene nella maniera più democratica possibile rispettando i diritti di ogni famiglia».
In pratica l’offerta, che non si può rifiutare, è di venire spostati in case popolari del governo, ottenere 230 dollari al mese per pagarsi un affitto, oppure ricevere una compensazione in denaro per la casa, o negozio della favela abbattuto. Il problema è che spesso i quartieri offerti in cambio sono lontani e mal serviti dai trasporti. I soldi per l’affitto o l’indennizzo medio di 16mila dollari sono troppo pochi per trovare un nuovo appartamento a Rio o altre grandi città brasiliane.
Alexandre Mendes, ex responsabile nel settore abitativo dell’ufficio legale pubblico di Rio, ha dichiarato all’Associated press che «molte rimozioni non rispettano i principi ed i diritti base a livello locale ed internazionale». Centinaia di famiglie resistono e nei tribunali sono state presentate decine di denunce per presunte irregolarità compiute dai funzionari comunali.
Lo scorso novembre Amnesty international ha scritto al Comitato olimpico internazionale protestando. «Cacciare le famiglie dalle loro case senza adeguate notifiche e alternative cozza con i valori dei giochi olimpici oltre a violare la legge brasiliana e quella internazionale del rispetto dei diritti umani» ha scritto l’organizzazione. Pure le Nazioni Unite con il rappresentante speciale, Raquel Rolnik, sono intervenute: «Ci rendiamo conto che le autorità di Rio de Janeiro si sono impegnate a garantire le adeguate infrastrutture per la Coppa del mondo del 2014 e le Olimpiadi del 2016, ma tutto ciò deve avvenire in collaborazione e cooperazione con le comunità coinvolte garantendo i loro diritti».
Il presidente brasiliano Rousseff si è insediata nel gennaio 2011, dopo essere stata fidato ministro con il suo predecessore, Luiz Inácio Lula da Silva.
Proprio come è successo in Cina per le Olimpiadi del 2008. Allora il regime cinese impose l’esodo forzato di oltre un milione di persone dalla città di Pechino verso le periferie. Le famiglie deportate erano state risistemate in località lontane dallo sguardo indiscreto delle telecamere e degli sportivi che si apprestavano a invadere la capitale.
L’agenzia stampa Associated press ha svelato in un’inchiesta che 170mila brasiliani sono le potenziali «vittime» della cacciata d’autorità dalle loro case, in una dozzina di città, a causa della coppa del mondo e dei giochi olimpici. Solo a Rio de Janeiro, il sindaco aveva annunciato nel 2011 un piano che riguardava 13mila famiglie. L’investimento per sfrattare la favela de Metro vicina al mitico stadio Maracanà e far spazio alle infrastrutture è di 63,2 milioni di dollari. Le autorità usano il termine più blando di «rivitalizzare» gli slum. In realtà arrivano i bulldozer, anche di notte, e buttano giù tutto. Se gli inquilini resistono non si va tanto per il sottile e vengono portati via a forza. Evandro dos Santos abita vicino al Maracanà e rischia di essere il prossimo della lista: «Stanno distruggendo la nostra comunità per un gioco». Jorge Bittar, responsabile del comune di Rio per gli espropri, replica: «La ridislocazione avviene nella maniera più democratica possibile rispettando i diritti di ogni famiglia».
In pratica l’offerta, che non si può rifiutare, è di venire spostati in case popolari del governo, ottenere 230 dollari al mese per pagarsi un affitto, oppure ricevere una compensazione in denaro per la casa, o negozio della favela abbattuto. Il problema è che spesso i quartieri offerti in cambio sono lontani e mal serviti dai trasporti. I soldi per l’affitto o l’indennizzo medio di 16mila dollari sono troppo pochi per trovare un nuovo appartamento a Rio o altre grandi città brasiliane.
Alexandre Mendes, ex responsabile nel settore abitativo dell’ufficio legale pubblico di Rio, ha dichiarato all’Associated press che «molte rimozioni non rispettano i principi ed i diritti base a livello locale ed internazionale». Centinaia di famiglie resistono e nei tribunali sono state presentate decine di denunce per presunte irregolarità compiute dai funzionari comunali.
Lo scorso novembre Amnesty international ha scritto al Comitato olimpico internazionale protestando. «Cacciare le famiglie dalle loro case senza adeguate notifiche e alternative cozza con i valori dei giochi olimpici oltre a violare la legge brasiliana e quella internazionale del rispetto dei diritti umani» ha scritto l’organizzazione. Pure le Nazioni Unite con il rappresentante speciale, Raquel Rolnik, sono intervenute: «Ci rendiamo conto che le autorità di Rio de Janeiro si sono impegnate a garantire le adeguate infrastrutture per la Coppa del mondo del 2014 e le Olimpiadi del 2016, ma tutto ciò deve avvenire in collaborazione e cooperazione con le comunità coinvolte garantendo i loro diritti».
Il presidente brasiliano Rousseff si è insediata nel gennaio 2011, dopo essere stata fidato ministro con il suo predecessore, Luiz Inácio Lula da Silva.
Negli anni settanta Rousseff ha aderito a formazioni clandestine marxiste, che combattevano contro la dittatura. Soprannominata la «Giovanna D’Arco» della guerriglia è stata arrestata negli stessi anni in cui cominciavano le occupazioni delle terre, che hanno dato vita alle favelas. Non a caso il latitante nostrano Battisti ha trovato rifugio in Brasile grazie a Lula, che lo considera una specie di intellettuale perseguitato. Nulla a che vedere con i disgraziati delle favela, che rovinano l’immagine del Brasile in vista dei giochi.
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