A Londra l’euroscetticismo avanza. Il sentore anti-europeo del Regno Unito non è certo una novità. Nei mesi scorsi il premier David Cameron ha, addirittura, prospettato un referendum per uscire da Eurolandia. Lo strumento referendario, pare, sia di gran moda in questo periodo. L’esempio è quello della Scozia che vorrebbe rendersi indipendente da Londra o la Catalogna che sogna l’autonomia dal governo centrale di Madrid. Ma nessuno ha mai pensato di lasciare l’Ue.
L’adesione all’Unione europea è sempre stata caratterizzata da un atteggiamento tiepido tra i sudditi di sua Maestà, tipico di chi voleva sfruttare le possibilità del mercato unico, ma senza aderire all’euro. Come dire, solo i vantaggi e le comodità, ma senza limitazioni, possibilmente. La volontà di partecipare all’unione politica europea non è mai decollata e le motivazioni sono state spesso di tipo economico. L’incremento della crisi finanziaria, però, ha peggiorato lo scenario. L’Inghilterra non vuole più sopportare le restrizioni che da Bruxelles sono sempre più stringenti per gli Stati membri, in nome degli accordi su debiti pubblici e bilanci. Con la conseguente perdita, considerevole, della sovranità monetaria da parte dei governi nazionali.
Negli ultimi giorni dalle parti di Londra soffiano sempre più forti venti anti europeisti. Il segretario di Stato per gli Affari interni, Theresa May, alla conferenza dei conservatori, ha paventato l’opportunità di mettere in discussione la libertà di circolazione all’interno degli Stati membri dell’Unione, attaccando uno dei cardini stessi dell’Eurozona. Il 16 ottobre ha rincarato la dose, prendendosela con il mandato d’arresto europeo. A fare da spalla alla collega, ci ha pensato il ministro della Difesa, Philip Hammond, che ha parlato della necessità “di rivedere i rapporti tra Regno Unito ed Europa”. L’intervento di Michael Gove, ministro dell’Istruzione, ha rivelato che se fosse indetto un referendum per abbandonare l’Europa, voterebbe senza esitazione a favore.
Tra i motivi dell’insofferenza britannica anti-Ue ci sono, come detto, le sempre più stringenti condizioni che Bruxelles impone ai governi nazionali. In ambito scolastico, per esempio, Gove si è trovato a fare i conti con norme che limitano l’autonomia di scelta dei presidi da assegnare agli istituti. Stesso discorso vale per il welfare, ogni riforma deve tenere conto delle direttive di Bruxelles. Insomma, tra i Tory aumenta sempre di più la fronda che vorrebbe il Regno Unito fuori dall’Eurozona. E questa tendenza è confermata anche dal crescente seguito dell’Ukip (il partito euroscettico per l’indipendenza del Regno Unito), appoggiato anche dai voti di parte dei conservatori delusi. C’è, tra i Tory, chi teme che l’Ukip possa strappare un consenso considerevole alle prossime elezioni europee del 2014. A tuto questo, poi, va unito anche il motivo più importante: l’opinione pubblica sta cambiando. Sempre più britannici cominciano a credere che il posto del Paese non debba più essere nell’Ue.
L’ipotesi che il premier Cameron possa rinegoziare con Bruxelles gli accordi di adesione, è ormai troppo lontana anche perché sarebbe quasi impossibile che Bruxelles possa concedere altri vantaggi all’Inghilterra senza ottenere nulla in cambio. “Il Regno Unito continuerà ad essere il più grande beneficiario del mercato unico”, scrive il Wall Street Journal, sottolineando come, in realtà, la Gran Bretagna ha fino ad oggi sfruttato anche i vantaggi economici offerti da Eurolandia. Se davvero Cameron volesse abbandonare l’Eurozona, dovrà fare i conti con un indebolimento inglese nei confronti degli ex-partner europei. Londra rischierebbe di diventare una succursale Usa nel Vecchio Continente, con l’inevitabile isolazionismo. In ballo ci sono gli interessi di una nazione e ma anche del mercato europeo. Prima di lasciare l’Unione, occorre fare bene i conti. Per conferma, chiedere a Grecia e Spagna.
fonte: http://it.finance.yahoo.com/notizie/gran-bretagna-addio-europa.html
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