venerdì 2 dicembre 2011

Ma esiste ancora la Patria?

Singolare coincidenza: proprio durante l’anno in cui si è celebrato il 150° dell’Unità, l’Italia pare trovarsi sotto stretta tutela straniera. La nazione quasi torna a essere mera espressione geografica attraversata dai flussi e riflussi del mercato finanziario. 
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Cose che dovrebbero ridestare un nuovo orgoglio nazionale. Ma esiste ancora la Patria?
Ciò che possiamo chiamare con quel nome corrisponde sempre meno all’immagine che ne avevano i nostri progenitori degli scorsi due secoli. Ma al di là dell’attualità politica, non solo gli italiani sperimentano un senso di perdita di «un luogo dove posso sentirmi a casa, dove posso essere me stesso, dove sono accettato e amato, dove sono in contatto con le mie radici». Così definisce la patria il monaco benedettino Anselm Grün, uno degli autori cristiani più letti al mondo. In Dove mi sento a casa (Lindau) si mette in cerca della patria perduta e scova le sue nuove manifestazioni, spesso non così nuove. Secondo Grün l’uomo è sempre stato in fondo un esule in cerca di Patria, in quanto monaco è convinto che ciò che viene promesso dalla patria «sarà mantenuto del tutto solamente da Dio» e ricorda che le religioni e le Chiese sono patrie. In particolar modo il cattolicesimo è universale, valica i confini fra gli Stati e le popolazioni. Però nell’Occidente secolarizzato non mancano esuli volontari dalle patrie fondate sul culto, se «cresce il desiderio struggente di essere a casa in un gruppo ben definito», la si cerca altrove. C’è chi trova la patria nella lingua madre, chi nel dialetto locale.
Queste però sono versioni della Patria debitrici del passato, legate più o meno alle tradizioni. Lo sradicamento e il nomadismo della società postmoderna ci offrono invece patrie proiettate al futuro, indipendenti da un luogo fisico. Ad esempio le comunità virtuali dei social network, «patrie temporanee» per dirla con Grün, nelle quali si condivide tutto: dalla vita famigliare ai sentimenti religiosi, ai video di YouTube. In tanti si sentono più a casa loro su Facebook che a casa propria. Può succedere così che un ventenne italiano si senta più compatriota di un coetaneo giapponese, con cui ha in comune i gusti musicali, che di suo padre. Certo, è una patria effimera, svanisce se salta la connessione. Il saggista benedettino ci viene incontro anche in questo caso ricordandoci che «della patria ci rendiamo conto solo quando l’abbiamo perduta».
http://www.ilgiornale.it/cultura/se_patria_non_e_piu_sacra_terra_ma_facebook/30-11-2011/articolo-id=559666-page=0-comments=1

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