sabato 17 dicembre 2011

12 dicembre 1985 a Roma moriva Il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli primo generale donna in Italia

PIERA GATTESCHI FONDELLI

















“A DIO LA MIA FEDE,
ALL' ITALIA LA MIA VITA,
AL DUCE IL MIO CUORE"
Il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli è l’unico generale di brigata donna che le forze armate abbiano avuto in Italia. Piera Gatteschi Fondelli è rimasta nella memoria di chi le è stata vicina soprattutto per il suo fascino, la sua eleganza, il suo coraggio e il suo entusiasmo. Piera nasce a Pioppi in Toscana all’inizio del Novecento, in una di quelle belle famiglie allargate di una volta. Suo padre muore prima della sua nascita; tuttavia la bambina ha un ottimo rapporto con la mamma con la quale si trasferisce a Roma alla vigilia della grande guerra. Le vicende del dopoguerra la coinvolgono a tal punto che, fin dal 1921, si iscrive al Fascio di combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre la ventenne Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma. Le sue doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera nazionale maternità e infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive. Ma sulla politica prevale l’amore: nel 1936 lascia tutto per seguire in Africa l’ingegner Mario Gatteschi che ha sposato e che dirige i lavori della strada Assab-Addis Abeba. Quando, tre anni dopo, rientra in Italia, Mussolini la nomina Fiduciaria dei Fasci femminili dell’Urbe che conta 150.000 iscritte. Nel 1940 diventa ispettrice nazionale del partito. Caduto il fascismo, Piera si rifugia dai suoceri nel Casentino, mentre il marito, tornato in Africa come combattente, è in Kenia prigioniero dagli inglesi. Ma non è da lei nascondersi e stare in disparte: quando viene informata che Mussolini è stato liberato e ha fondato la Repubblica sociale italiana nel Nord, Piera si trasferisce a Brescia e avvia una nuova collaborazione con Alessandro Pavolini, il segretario del partito. Qui, alla fine del 1943, la Gatteschi manifesta al Duce il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del paese. Il progetto è appoggiato da Pavolini e accettato da Graziani. Servono uomini per la guerra e le donne diventano necessarie per assisterli e per sostituirli nei tanti ruoli non di prima linea.

Il 18 aprile 1944 nasce il Servizio Ausiliario Femminile (SAF) nel quale affluiscono giovani donne di tutte le condizioni sociali. Il regolamento voluto da Piera, nominata generale di brigata, è rigido: niente pantaloni, niente trucco, niente fumo, nessuna concessione al cameratismo. La Gatteschi vuole che nessuno pensi alla sue ragazze come a delle esaltate o le ritenga di facili costumi: patriottismo e moralità sono le basi su cui intende costruire la nuova realtà delle donne soldato che però vuole molto femminili. «Non volevo un esercito di amazzoni» dirà molti anni dopo «ma di ausiliarie, di sorelle dei combattenti». Le ausiliarie prestano assistenza infermieristica negli ospedali militari, lavorano negli uffici e alla propaganda, allestiscono posti mobili di ristoro per la truppa. Nell’arco di dodici mesi 6.000 giovani donne partecipano ai sei corsi di addestramento, che si svolgono prima a Venezia e poi a Como; soltanto dopo venivano assegnate ai Comandi. Dopo il 25 aprile 1945 il Saf si dissolve e Pavolini suggerisce di distruggere tutta la documentazione per evitare vendette. Piera cerca di mettere in salvo le sue ragazze, ma lei stessa vive in clandestinità per circa un anno, prima in un convento, poi in un manicomio, trasferendosi successivamente in Abruzzo con il marito, nel frattempo tornato dalla prigionia e che morirà nel 1947. A lei resta la nipote Teresa Tirinnanzi, che aveva perso entrambi i genitori e che considera una figlia. Negli anni Sessanta si dedica all’organizzazione di viaggi turistici per i giovani del Movimento sociale italiano. Legge molto, ha una vasta cultura ed è appassionata di pittura. Tenta anche la gestione di un ristorante ma senza successo. Quando muore, nel 1985, Mia Pavolini, che era stata la più giovane ausiliaria della Rsi, scrive: «Se la vita è movimento, lotta, delusioni, entusiasmo, fede, tenerezza, rabbia o dolore, interessarsi a tutto, sapersi meravigliare, estasiare, commuovere, e saper capire ed aiutare con amore, saper ridere e saper piangere, se tutto ciò è vita, tu eri la vita

S.A.F.
Servizio Ausiliario Femminile

Il decreto legge che ha consentito alle donne d'intraprendere la carriera militare nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, ha avuto un gran risalto in questi ultimi tempi, ma i mass media hanno tralasciato di menzionare il Servizio Ausiliario Femminile durante la seconda guerra mondiale.
Questo è un fenomeno rimasto unico nella nostra storia, e accadde nell'ultimo periodo del secondo conflitto mondiale, quando le truppe angloamericane risalivano la penisola italiana.
Ad eccezione delle crocerossine e delle "vivandiere", impiegate già durante la Grande Guerra, non esistevano precedenti con donne in mezzo ai soldati.
Nel nostro paese, fin dall'inizio della guerra, l'apporto femminile era limitato a quelle mansioni da sempre ritenute più adatte al gentil sesso: visite ai feriti negli ospedali militari, confezione d’indumenti e pacchi dono per i soldati, attività di sostegno morale per i combattenti, per il più esplicata in forma epistolare (lettere) dalle cosiddette "madrine di guerra".
Le donne, nate e cresciute durante il ventennio fascista, si sentivano preparate ad affrontare prove più impegnative, e parecchie di loro, soffrivano di questa non parità con gli uomini che combattevano per la Patria. Fin da bambine avevano militato nelle organizzazioni civili delle Figlie della Lupa e Piccole Italiane, apprendendo il senso del dovere, del sacrificio, della disciplina ma soprattutto dell'amor di patria. I disagi della guerra (il razionamento dei viveri, le restrizioni di vario genere, l'oscuramento, i frequenti bombardamenti) avevano contribuito a temprarle, rendendole consapevoli di vivere un gran momento storico.
Dopo l'8 settembre 1943, quando fu annunciato l'armistizio e fu chiaro il tradimento della Monarchia Sabauda e di Badoglio nei confronti dell'alleato germanico, in molte giovani esplose vivissima l'indignazione che alimentò quel fermento patriottico, incanalandolo verso una più concreta forma di ribellione e di partecipazione alla difesa della nostra Patria. L'adesione al ricostituito governo di Mussolini fu entusiastica ed immediata.
Durante la Repubblica Sociale Italiana, le future ausiliarie non si sentivano più paghe nel ruolo d’appassionate assistenti, che offrivano ai soldati soltanto un aiuto morale.
Spetta al Ministro Segretario del P.F.R., Alessandro Pavolini, il merito di aver favorito l'attuazione di un Servizio Ausiliario Femminile e di aver scelto per realizzarlo nel più breve tempo possibile una donna di comprovata esperienza, Piera Gatteschi Fondelli, Ispettrice Nazionale dei Fasci Femminili.
Non c’erano precedenti, il S.A.F. era tutto da inventare, eppure Piera Gatteschi (Comandante Generale, unica donna col grado equiparato a Generale di Brigata), avvalendosi delle proprie notevoli capacità e circondandosi di collaboratrici più che valide, riesce in breve e nelle condizioni eccezionali dovute allo stato di guerra, a dar vita ad un corpo che lo stesso Pavolini definiva "una delle istituzioni più serie ed utili fra tutte quelle che abbiamo".
Piera Gatteschi nasce a Pioppi in Toscana all’inizio del Novecento. Suo padre muore prima della sua nascita; si trasferisce a Roma con la mamma alla vigilia della Grande Guerra. Le vicende del dopoguerra la coinvolgono a tal punto che, fin dal 1921, s’iscrive al Fascio di Combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre la ventenne Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma. Le sue doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive.
Nel 1936 parte per l’Africa con l’ingegner Mario Gatteschi che ha sposato e che dirige i lavori della Strada Assab-Addis Abeba. Tre anni dopo, quando rientra in Italia, Mussolini la nomina Fiduciaria dei Fasci Femminili dell’Urbe che conta 150.000 iscritte. Nel 1940 diventa Ispettrice Nazionale del Partito. Caduto il fascismo, Piera si rifugia dai suoceri nel Casentino, mentre il marito, tornato in Africa come combattente, è in Kenia prigioniero degli inglesi. Quando viene informata che Mussolini è stato liberato e ha fondato la Repubblica Sociale Italiana nel Nord, Piera Matteschi si trasferisce a Brescia e avvia una nuova collaborazione con Alessandro Pavolini, il segretario del partito. Qui, alla fine del 1943, la Gatteschi manifesta al Duce il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del paese. Il progetto è appoggiato da Pavolini e accettato da Graziani. Servono uomini per la guerra e le donne diventano necessarie per assisterli e per sostituirli nei tanti ruoli lontani dalla prima linea.
Il Decreto Legislativo che istituisce il S.A.F. porta la data del 18 Aprile 1944 - XXII - n.447 ed è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1 agosto 1944. L'arruolamento è assolutamente volontario, numerosi i requisiti richiesti, particolarmente rigida la disciplina.
L'iniziativa mussoliniana riscosse un grande successo: presentarono domanda di arruolamento nel S.A.F. oltre 6.000 donne appartenenti ad ogni ceto sociale e provenienti da ogni parte dell'Italia: c’erano tante ragazze quasi maggiorenni, molte spose, parecchie madri.. All’interno del S.A.F. ogni dipendente era soggetta alla giurisdizione penale militare. Le reclute prestavano giuramento, secondo la formula stabilita per le forze armate, in seguito erano impiegate in servizio effettivo presso i reparti di destinazione, che prendevano in forza le ausiliarie, sia amministrativamente, che disciplinarmente. Le ausiliarie erano infatti militarizzate a tutti gli effetti, i loro fogli matricolari erano regolarmente trasmessi ai distretti militari e costantemente aggiornati. Lo stipendio oscillava tra le 700 Lire del personale di concetto e le 350 Lire del personale di fatica.
Si trattava in sostanza di tre grandi filoni: il Servizio Ausiliario Femminile, le Brigate Nere e la Decima Mas, nella quale ci si poteva arruolare anche avendo solo quindici anni. La Xa Flottiglia Mas ebbe il S.A.F. autonomo da quello per l'Esercito e per la Guardia Nazionale Repubblicana; fu inquadrato alle dipendenze del Sottosegretario alla Marina da Guerra Repubblicana.
I Corsi di addestramento organizzati dal Comando generale S.A.F. di Piera Gatteschi furono sei (Italia, Roma, Brigate Nere, Giovinezza, Fiamma e 18 Aprile) ed ognuno veniva frequentato da circa trecento reclute che, preordinate alla loro missione e prestato giuramento, venivano dislocate nei Centri militari e nei Reparti per essere scelte.
II 1° corso “Italia” del 1 maggio 1944 ed il 2° “Roma” del 1 luglio durarono 48 giorni, il 3° “Brigate Nere” 65 giorni e si svolse al Lido di Venezia (presso l'Hotel Dees Bains), ma venne concluso a Como, dove si tennero poi il 4° “Giovinezza” del 5 novembre (43 giorni), il 5° “Fiamma” del 1 gennaio 1945 (58 giorni) ed il 6° “18 Aprile” del 1 marzo (48 giorni). Nel 1944 a Trieste nacque la Brigata Nera "Norma Cossetto" dal nome della studentessa di Parenzo uccisa dai partigiani jugoslavi di Tito. Le brigatiste indossavano la camicia nera con un teschio sul petto.
Non essendo possibile per motivi logistici far frequentare a tutte le volontarie i Corsi Nazionali, vennero attivati numerosi Corsi Provinciali nelle città in cui esse già prestavano servizio. Contemporaneamente ai corsi di Venezia, l'Opera Ballila - di cui era a capo il Generale Renato Ricci - istituì, per le ragazze non ancora diciottenni tre corsi di addestramento nazionali: uno a Noventa Vicentina (VI), uno a Castiglione Olona (VA) e il terzo a Milano. Un corso si era tenuto anche a Moncalieri (TO), su istanza della professoressa Anna Maria Bardia, un corso per volontarie che vennero impiegate presso la Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) di Frontiera, la cosiddetta “Confinaria".
Anche la formazione militare comandata dal Principe Junio Valerio Borghese, la DECIMA MAS, ebbe a fianco un nutrito drappello di volontarie.
Nella caserma S. Bartolomeo di La Spezia, il S.A.F. della Decima (1° marzo 1944) anticipò di cinquanta giorni l'istituzione legislativa del Servizio Ausiliario e, durante il periodo della R.S.I., arruolò 250 volontarie, che seguirono, a loro volta, i Corsi Autonomi di Addestramento denominati “Nettuno”, “Anzio” e “Fiumicino” che si svolsero a Sulzano (Bs), Grandola (Co) e Col di Luna (TV) con perfezionamenti nell'educazione fisica, in contegno e morale, nelle norme igieniche, di regolamento e disciplina, sino alla severità di un codice d'impegno che non consentiva deroghe. Alcuni reparti di ausiliarie (tra cui Fulmine, Nuotatori-Paracadutisti, Sagittario, Valanga e Nembo) della Decima erano armati, come nel caso del Barbarigo. Un nucleo di ausiliarie ha combattuto accanto ai marò del Battaglione Lupo per contrastare a Nettuno l'avanzata delle truppe anglo-americane che erano sbarcate ad Anzio.
Il Comandante Valerio Borghese designò alla sua guida Fede Arnaud Pocek (veneziana, classe 1921). Nel 1943 Fede Arnaud era già responsabile del settore sportivo femminile del G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti). Il 19 luglio di quell'anno si verificò il primo bombardamento di Roma che colpì, a San Lorenzo, case popolari intensamente abitate mietendo molte vittime. Fede Arnaud prese la direzione delle operazioni, ed organizzò i primi soccorsi trascinando con l'esempio gli uomini storditi ed esitanti. Instancabile ed efficiente, senza soste, partecipò, guidandolo, al lavoro di sterro per recupero di morti e feriti con grave rischio di crolli; ottenne e distribuì i primi aiuti stimolando capacità di resistenza e speranza nei sopravvissuti sconvolti dal dolore per i cari scomparsi ed i poveri beni perduti.
Fede Arnaud era nella Xa Mas quando il 18 febbraio del '44, a Cuneo, la banda partigiana di «Mauri» cattura il tenente di vascello Betti, il sottotenente di vascello Cencetti, il guardiamarina Federico Falangola e un marò, tutti del «Maestrale» che sta completando l'addestramento per trasferirsi - cambiando il nome in «Barbarigo» - sul fronte di Nettuno. Al comando è Umberto Bardelli che tenta di evitare lo scontro fratricida per liberare i suoi uomini: accetta la proposta di Fede Arnaud che sola, si avvia alla ricerca dei partigiani. Finalmente, in un paesetto di montagna, incontra una prostituta che accetta di accompagnarla in prossimità della loro base a condizione di non riferire la fonte dell'informazione. Localizzati i partigiani si fa catturare e condotta davanti al loro capo, esegue un perfetto saluto romano. L'uomo è Folco Lulli, un toscano sanguigno, buon attore cinematografico, che aveva lavorato con lei, allora giovane aiuto-regista, prima della guerra. Lulli non è comunista, apprezza il coraggio di Fede Arnaud, accetta il confronto delle opinioni e degli ideali e decide di rilasciare i quattro prigionieri perché raggiungano il fronte con i loro compagni.
Dopo l’armistizio, divenne funzionario del Ministero dell'Economia Corporativa. Personaggio romantico, Fede Arnaud Pocek rimase al comando fino al 26 aprile del 1945 (dopo la guerra diresse una società di doppiatori cinematografici di attori americani).
Dalla corrispondenza tra Fede Arnaud e il Comandante Borghese durante il suo esilio in Spagna e da documenti originali dell'epoca si rileva che dopo la condanna a dodici anni e la degradazione (che non può comprendere la revoca del conferimento della Medaglia d'Oro), si è tentato di distruggere la figura morale con un altro processo addebitandogli reati comuni di carattere amministrativo.
Il Presidente del Tribunale giudicante si chiamava Renato Squillante ed il Pubblico Ministero Claudio Vitalone; questi si dimetterà poi dalla Magistratura per diventare stretto collaboratore di Giulio Andreotti, Ministro della Difesa in carica il 26 agosto 1974 quando, tornate da Cadice le spoglie mortali del Comandante, impediva che venissero resi gli onori che per legge spettano alle Medaglie d'Oro al Valor Militare.
Le volontarie fasciste prestavano la loro attività "militante" negli ospedali e negli uffici, nei presidi e nelle caserme, nei posti di ristoro e nella difesa antiarea, come aerofoniste e marconiste. Pubblicavano anche un loro periodico. "Donne in grigioverde". Seguirono le truppe al fronte e combatterono contro gli invasori anglo americani a Nettuno o sulla Linea Gotica, così come contro i partigiani titini nella Venezia Giulia. Tra i loro compiti c'era anche quello casalingo di tener in ordine e rammendare le uniformi dei combattenti. Il fascismo non voleva che si dimenticasse completamente il ruolo della donna di casa. C'era nei confronti di questo esercito femminile l'ossessione della moralità. La divisa, era realizzata con panno grezzo grigioverde per l'inverno, tela kaki per l'estate, e doveva avere la gonna a quattro centimetri sotto il ginocchio. La giacca aveva il collo come quella degli uomini e due tasche alla sahariana. Il gladio era il simbolo a cui le ausiliarie erano più attaccate. In testa portavano un basco grigioverde con la fiamma ricavata in rosso. Le calze erano lunghe e grigioverdi, il cappotto di tipo militare.
Il rispetto della disciplina era considerato fondamentale ed il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli, a cui era stato affidato il comando delle 6.000 donne, aveva personalmente elaborato un regolamento comportamentale.
Il regolamento voluto da Piera, nominata generale di brigata, è rigido: niente pantaloni, niente trucco, niente fumo, nessuna concessione al cameratismo. Era inoltre d'obbligo il "voi" che Mussolini aveva istituito in luogo del "lei".
La Gatteschi vuole che nessuno pensi alla sue ragazze come a delle esaltate o le ritenga di facili costumi: patriottismo e moralità sono le basi su cui intende costruire la nuova realtà delle donne soldato che però vuole femminili.
Alle ausiliarie venivano affidate anche vere operazioni di sabotaggio. Molti uomini e donne di questo corpo vennero, alla fine della guerra, fucilati o condannati a morte.
Durante il corso di addestramento tenuto dai Tedeschi, si mostravano filmati, s'istruivano sulle divise del nemico, sul tipo d'armamento, sui carri armati, si allenavano agli interrogatori, a rispondere sulle false identità, si spiegava come reagire alla tortura ed alle altre sevizie e come si potesse tentare un'evasione.
Le "Volpi Argentate" era un servizio speciale di guastatori, sabotatori ed assaltatori. Il loro nome nacque dall'insegna che era posta all'ingresso del comando di reparto a Milano: Allevamento Volpi Argentate del Dottor De Santis (colonnello che comandava il servizio, vera identità Tommaso David). Uno dei loro compiti era quello d'individuare l'entità e le caratteristiche delle forze alleate, specie per quanto riguardava mezzi motorizzati e corazzati.
Le "Volpi Argentate" e gli altri reparti dove trovavano impiego le reclute Secondo il decreto firmato da Mussolini, i compiti delle ausiliarie (che dovevano essere italiane, ariane, di età fra i 18 ed i 45 anni) erano modesti: pulitrici e cuciniere, dattilografe, infermiere, telefoniste. Questo non toglieva che il loro addestramento e la loro disciplina fossero militarmente duri.
Dopo il 25 aprile 1945 il S.A.F. si sciolse, e Pavolini suggerì di distruggere tutta la documentazione per evitare vendette. Piera Matteschi cercò di mettere in salvo le sue ragazze, ma lei stessa visse in clandestinità per circa un anno, prima in un convento, poi in un manicomio. Si trasferirà successivamente in Abruzzo con il marito, nel frattempo tornato dalla prigionia; il coniuge morirà nel 1947. Negli anni Sessanta si dedicò all’organizzazione di viaggi turistici per i giovani del Movimento Sociale Italiano. Era solita leggere molto; ebbe una vasta cultura e fu appassionata di pittura. Tentò anche la gestione di un ristorante ma senza successo. E’ deceduta nel 1985.
Quante furono le ausiliarie? In un rapporto al Duce, la Comandante Gatteschi, il 28 ottobre 1944, fa presente che 1.237 si trovano già in servizio, mentre 5.500 sono in addestramento nei vari corsi provinciali. Se a queste aggiungiamo gli ultimi tre corsi nazionali, le ausiliarie della Xa MAS e delle altre formazioni autonome, si può stimare il loro numero a circa 10.000.
Mussolini aveva la massima fiducia nel Servizio Ausiliario, come testimoniano le parole rivolte alle volontarie del corso "Giovinezza", adunate nel Castello Sforzesco di Milano il 18 Dicembre 1944, per prestare giuramento in sua presenza.
Consapevoli di essere pari a i combattenti della R.S.I., le ausiliarie ne condivisero le sorti fino all'ultimo giorno. Come gli uomini, subirono prigionia e campi di concentramento - quelle catturate dagli americani furono considerate a tutti gli effetti P.O.W. (Prisoner of War).
Com'è noto dopo il 25 aprile, a guerra finita ed armi deposte, si scatenò contro gli aderenti alla R.S.I. tutta una serie di vendette, in quelli che ormai sono definiti "i giorni dell'odio"; in proporzione al numero degli effettivi, il S.A.F. è stato il reparto che ha pagato il più alto tributo di sangue.
L'albo d'oro delle ausiliarie si fregia di due medaglie alla memoria: una d'oro a Franca Barbier, Medaglia d'oro al Valor Militare, 20 anni, nata a Saluzzo, figlia di un colonnello degli alpini in Dalmazia, sorella di un volontario della R.S.I., uccisa con un colpo alla nuca dal comandante partigiano "Mèzard" a Champorcher (Valle d'Aosta) il 25 luglio 1944 dopo che il plotone d'esecuzione si era rifiutato di eseguire l'ordine di fuoco. Una d'argento ad Angelina Milazzo, uccisa a Garbagnate Milanese il 21 gennaio 1945 durante un attacco aereo nemico a un treno delle Ferrovie Milano Nord, mentre faceva scudo con il proprio corpo ad una giovane donna incinta. Inoltre 14 proposte di medaglie al valore. Questo per il periodo che va dall'aprile ‘44 all'aprile ‘45.









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