Ci sono sacrifici facili da chiedere, quelli ai cittadini, ed altri che andrebbero a infastidire lobby intoccabili. Ad esempio quella dei dirigenti pubblici, i quali con una vera e propria levata di scudi (o meglio, di cornette telefoniche e centralini assaltati dalle chiamate di protesta) sono riusciti a convincere il governo di tecnici e professori a fare marcia indietro. Anche perché la paventata eliminazione dei doppi stipendi per dirigenti pubblici avrebbe penalizzato pure alcuni tra gli stessi ministri, nonché i preziosissimi vice-ministri e sottosegretari che tanto hanno bloccato i lavori dell’esecutivo per venire a capo della loro nomina.
All’interno della manovra era infatti previsto che tramite un decreto del Presidente del Consiglio, ricevuto il parere delle Commissioni parlamentari, fosse modificato il trattamento economico dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, stabilendo come parametro massimo per i dirigenti lo stipendio del presidente della Corte di Cassazione. Nello stesso articolo, il 23 ter, era anche stabilito che ai dipendenti pubblici chiamati a svolgere mansioni dirigenziali nei ministeri o nella Pubblica Amministrazione fosse corrisposta un’indennità pari al 25% del trattamento economico percepito. Ossia, uno stipendio e un quarto anziché due stipendi.
Proposito disatteso in fretta e furia, in quanto nessuno dei dirigenti pubblici, evidentemente lobby più potente di pensionati, proprietari di prime case o piccoli imprenditori, è disposto a percepire uno stipendio e un quarto. Non sia mai: pretendono due stipendi pieni.
Il provvedimento avrebbe “infastidito” pure componenti della squadra di governo come Antonio Catricalà, magistrato e sottosegretario alle presidenza del Consiglio, o Corrado Clini, dirigente ministeriale e ministro dell’Ambiente, o persino Filippo Patroni Griffi, anch’egli magistrato fuori ruolo recentemente nominato, ironia della sorte, proprio ministro della Funzione Pubblica.
E ancora: Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro e viceministro, Augusta Iannini, magistrato fuori ruolo nonché capo dell’Ufficio legislativo del ministro della Giustizia Paola Severino, anch’essa fremente per le sorti del suo secondo stipendio.
Pronta quindi la soluzione per non scontentare la categoria: al comma 3 dell’articolo 23 ter è ora previsto che col decreto del presidente del Consiglio citato al comma 1 si possano prevedere “deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni”.
Tradotto, si potrà concedere ai più fortunati (leggasi, chi ha santi in Paradiso o amici a Palazzo Chigi) di mantenere il doppio stipendio.
Fonte: Politica24.it
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