di Marco Zucchetti
Cacciucco in un’osteria del «Villaggio Costanzo Ciano» a Livorno, trasferta di lavoro al «Villaggio della rivoluzione fascista» a Bologna e weekend al mare a Mussolinia di Sardegna.
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Latina non è certo l’unica città a rifarsi la carta d’identità. Perché se - come scriveva Baudelaire - «la forma delle città cambia più in fretta del cuore dei cittadini», i nomi non sono meno rapidi. Invasioni, evoluzione della lingua (Canton che improvvisamente nei tabelloni degli aeroporti diventa Guangzhou gettando nel panico i viaggiatori spaesati), personaggi illustri o interessi di basso cabotaggio: ogni motivazione è buona. Dall’antica Bisanzio-Costantinopoli-Istanbul, alla celebre Pietroburgo-Pietrogrado-Leningrado- San Pietroburgo, il toponimo è mobile qual piuma al vento.
I tiranni, ad esempio, hanno una passione per le città-propaganda. Santo Domingo fu per un trentennio Ciudad Trujillo, Saigon divenne Ho-Chi-Minh City dopo il ritiro americano dal Vietnam, Volgograd passò agli annali come Stalingrado. Tanti anche i monumenti funebri urbanistici: dal pensierino della Ddr, che dedicò al padre del comunismo Karl Marx Stadt (oggi Chemnitz) a quello dell’Argentina, che «reintestò» La Plata come Ciudad Eva Perón. Sic transit gloria urbis.
Altro discorso quello sul rifiuto del colonialismo e sulla riscoperta delle radici ataviche. Così in India l’eredità europea di Bombay, Benares o Calcutta è stata spazzata via da toponimi «indigeni» come Mumbai, Varanasi o Kalkata, mentre in Sudafrica la capitale boera Pretoria - dopo decenni di apartheid - assumerà nel 2012 il nome di Tshwane. Una maniera come un’altra di esorcizzare ferite di secoli e di rimuovere dolorose discriminazioni. Come quella dei baschi, che sotto il franchismo videro le loro città assumere nomi spagnoli (Donostia diventò San Sebastian, Gasteiz diventò Vitoria); o come la guerra civile in Irlanda del Nord, che riecheggia nella città bifronte: Derry (per i cattolici) e Londonderry (per i protestanti).
Oltre ai massacri, alla tradizione (Edo si rinominò Tokyo quando fu eletta capitale del Giappone) e ai grandi dell’umanità a cui rendere omaggio (chissà se Churchill sarebbe stato contento del «suo» paesino nei boschi del Canada), però, la toponomastica oggi cambia più che altro per interesse. Così Staines, in Inghilterra, ha aggiunto la dicitura «upon-Thames» per differenziarsi dalla location immaginaria di un film satirico; mentre Eu, in Normandia, si è ribattezzata Ville d’Eu perché sui motori di ricerca il nome era introvabile e confuso con l’Unione europea. L’era digitale ha anche spinto la capitale del Kansas Topeka a chiamarsi per un giorno «ToPikachu» (spot ai Pokemon) e per un mese «Google».
Fenomeno agghiacciante e limitato agli Stati Uniti, il toponimo a tempo è frequente: Halfway diventò «Half.com», mentre c’è chi cambia nome in occasione del Superbowl o per pubblicizzare la bibita Dr. Pepper (Dublin, Texas). Soldi e turismo con buona pace delle radici. Così Hot Springs, nel New Mexico, divenne «Truth or consequence» per copiare il titolo di una trasmissione tv negli anni ’50; Mauch Chunk diventò «Jim Thorpe» dopo munifici accordi con la vedova dell’atleta; Ismay, nel Montana, divenne «Joe» in onore del quarterback Joe Montana; North Tarrytown diventò Sleepy Hollow per celebrare la macabra leggenda del cavaliere decollato.
Roba da americani? Non solo.
Perché in Italia Sciacca pensa di cambiare in Sciacca Terme per attirare i turisti del benessere, mentre Porto Empedocle ha ufficialmente assunto il secondo nome di Vigata, luogo simbolo dei best-seller di Montalbano. E se questa è la logica a cui si deve piegare la geografia, allora viene da rimpiangere persino Littoria. Che sarà anche stato un nome da camerati, ma almeno era il segno di un’identità fatta di bonifiche e malinteso senso di grandezza. Sempre meglio di un cartellino con un prezzo sopra.
http://www.ilgiornale.it/interni/latina_e_quelle_citta_scontente_che_vogliono_rifarsi_nome/22-12-2011/articolo-id=563732-page=0-comments=1
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