domenica 25 novembre 2012

"L'Alto Adige non è Italia!"


I morti dimenticati da Eva Klotz per un Sudtirolo indipendente dal nostro Paese

"L'Alto Adige non è Italia!"
Eva Klotz
Carabinieri, poliziotti, finanzieri, civili. Una scia di caduti da far invidia alle Brigate Rosse, colpevoli solo di essere italiani, di essersi trovati in mezzo ad una follia indipendentista. Vittime innnocenti di stragi e carneficine, dimeticate dai carnefici e da tutti noi. Perchè del Trentino Alto-Adige non si parla mai... Ecco il libro della figlia di uno dei terroristi che non spende neppure una parola per i morti fatti da suo padre e dagli altri del BAS
Si fa un gran parlare della Lega Nord e degli slogan indipendentisti degli aderenti al partito di Bossi. Ma, come sempre accade in Italia, ci si dimentica di tutta un’altra vicenda -ben più grave- che ha le sue radici in una regione un po’ dimenticata: il Trentino Alto Adige. Ora, capita che una signora (sconosciuta ai più) di nome Eva Klotz, scriva un libro per celebrare suo padre Georg: “Una vita per l’unità del Tirolo”. Fin qui nulla di strano. Se non fosse che l’adorato e venerato papà, altri non è che uno dei più sanguinari terroristi del movimento  -impronunciabile- Befreiungsausschuss Südtirol , BAS per comodità, letteralmente “Comitato per la liberazione del Sudtirolo”. Liberazione da cosa? Dall’Italia. Attivo soprattutto negli anni sessanta, mezzo secolo fa. Georg Klotz, assieme a molti altri seguaci come  Sepp Kerschbaumer e Luis Amplatz, ha dedicato la sua intera esistenza alla causa. Lui stesso si definiva “combattente per un Sudtirolo completamente indipendente dall’Italia”.
Eva Klotz racconta la storia di suo padre come se parlasse di un eroe, di un martire. Omettendo del tutto la vera natura del “Santo Martellatore della Val Passiria”, quella di terrorista e assassino. Georg Klotz di mestiere faceva il fabbro e il carbonaio. Durante la seconda guerra mondiale tutta la sua famiglia appoggiò il Terzo Reich. Lui stesso si arruolò volontario nella Wehrmacht. A detta di sua figlia per lui fu “una contraddizione. Viveva tra il rifiuto d’essere occupato nella terra sua e l’occupare le terre altrui”. Come se qualcuno lo avesse pregato di partire. Nel 1950 mette su famiglia. Si sposa con Rosa e con lei ha sei figli, di cui Eva è la primogenita. Oggi impegnata attivista politica. All’inizio degli anni sessanta entra in contatto con Sepp Kerschbaumer, diventa parte attiva del BAS, nato dal 1956. Partecipa ad una miriade di attentati dinamitardi insieme agli altri componenti dell’organizzazione, quasi tutti con trascorsi da nazisti. Tanto che lo storico Leopold Steurer ricorda che Klotz “girava per la Val Passiria con i fucili della Wehrmacht”. La sera  12 giugno del 1961, quella chiamata Feuernacht (la Notte dei fuochi), che suona un po’ come “La notte dei Cristalli” di nazionalsocialista memoria, il gruppo di terroristi fece saltare la bellezza di 42 tralicci dell’alta tensione. Uno degli ordigni, rimasto inesploso ai piedi di un albero, uccise un uomo. Giovanni Postal stava cercando di disinnescare la bomba, così da non causare danni ulteriori. Gli esplose fra le mani. Fu la prima vittima degli attentati del BAS. Ma questo Eva nel suo libro non lo racconta. Parla dei martiri indipendentisti. Ma per tutti gli innocenti fatti saltare in aria da suo padre e dagli altri dell’organizzazione non c’è spazio nel suo libro. E non c’è spazio per loro neppure nell’articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di ieri. Alle vittime italiane di quella follia non dedica che tre righe. Alla storia raccontata dalla Klotz, la bellezza di tre colonne del primo quotidiano del nostro Paese.
Dalla morte di Postal in poi, il “Comitato” alzò il tiro. Gli atti dimostrativi si trasformarono in vere e proprie carneficine. Una dietro l’altra. Una più cruenta dell’altra.
 Il 3 settembre 1964 venne ammazzato nella caserma di Selva dei Molini un carabiniere, Vittorio Tiralongo. Senza alcun motivo. Neppure una settimana dopo si sfiorò una strage. Vennero gravemente feriti  un sottufficiale e quattro militari su una strada provinciale. Dopo sole ventiquattr'ore venne ferito un altro agente di polizia.
Quell’anno Klotz venne arrestato. Ma la l’organizzazione non fece una piega.
Qualche mese dopo la strage riuscì. Il 26 agosto 1965 vennero uccisi nella caserma di Sesto Pusteria i carabinieri Palmerio Ariù e Luigi De Gennaro. “Colpiti da 33 proiettili a 3 metri di distanza” come riporta il sito Carabinieri.it.
Il 24 maggio 1966 venne trucidato Bruno Bolognesi, un finanziere. Non con il piombo dei proiettili, ma con una mina appesa alla porta di un rifugio sul Passo di Vizze. Alcuni, ancora oggi, sostengono che in realtà Bolognesi venne ucciso da una valanga. Sì, quella causata dallo scoppio della mina.
Il 25 luglio dello stesso anno, altre due vittime, altri due finanzieri: Salvatore Gabitta e Giuseppe D'Ignoti. Ammazzati in un agguato in Val Casies.
Non basta. Un’altra strage. Sempre nel ’66. Il 9 settembre, venne fatta saltare in aria una caserma, quella di Malga Sasso.  Il vice brigadiere Eriberto Volgger e il finanziere Martino Cossu morirono immediatamente, sotto le macerie. Il tenente Franco Petrucci,  poco dopo, in ospedale.
Nel ’67 gli artificieri riuscirono ad evitare una carneficina. Trovarono nel rifugio di Plan, in Val Passiria un deposito di mine nascoste dal BAS.
Il 25 giugno di quello stesso anno, fecero saltare in aria (sempre con una mina), un traliccio dell’alta tensione a Cima Vallona, in provincia di Belluno. Nell’esplosione rimase ucciso uno degli alpini che sorvegliavano la zona, Armando Piva.  Non è tutto. Fu necessario inviare nell’area la Compagnia Speciale Antiterrorismo, visto che l’intero perimetro intorno al traliccio era stato disseminato di mine antiuomo. Alle due del pomeriggio la spedizione sembrava conclusa e la zona rimessa in sicurezza. I militari ripresero la strada che portava a fondo valle. Uno degli ordigni, però, era stato posizionato qualche centinaio di metri più in là. L’esplosione della seconda mina fece l’ennesima carneficina. Quella passata alla storia come la “strage di Cima Vallona”. Morirono sul colpo il capitano dei carabinieri Francesco Gentile e il sottotenente paracadutista Mario Di Lecce. Il sergente paracadutista Olivo Dordi, rimase gravemente ferito e morì poco dopo in ospedale. L’unico superstite fu il sergente paracadutista Marcello Fagnani.
E ancora, sempre nel ’67, quando le Brigate Rosse ancora non pensavano a terrorizzare l’Italia, il 30 settembre, il BAS fece saltare in aria un poliziotto, il brigadiere Filippo Foti e la guardia scelta Edoardo Martini, la cui unica colpa era prestare servizio alla stazione di Trento. Avevano ricevuto una segnalazione in cui si comunicava che a bordo del treno Alpen Express, proveniente da Innsbruck, vi fosse una valigia contenente una bomba. La bomba c’era. Esplose. Li uccise sul colpo.
No. Per nessuno di loro c’è posto nelle pagine di Eva Klotz. E meno male, verrebbe quasi da aggiungere. Visto lo spirito di questa vergognosa opera letteraria, ne avrebbe infangato la memoria.
Si fa un gran parlare della Lega Nord e degli slogan indipendentisti degli aderenti al partito di Bossi. Ma, come sempre accade in Italia, ci si dimentica di tutta un’altra vicenda -ben più grave- che ha le sue radici in una regione un po’ dimenticata: il Trentino Alto Adige. Ora, capita che una signora (sconosciuta ai più) di nome Eva Klotz, scriva un libro per celebrare suo padre Georg: “Una vita per l’unità del Tirolo”. Fin qui nulla di strano. Se non fosse che l’adorato e venerato papà, altri non è che uno dei più sanguinari terroristi del movimento  -impronunciabile- Befreiungsausschuss Südtirol , BAS per comodità, letteralmente “Comitato per la liberazione del Sudtirolo”. Liberazione da cosa? Dall’Italia. Attivo soprattutto negli anni sessanta, mezzo secolo fa. Georg Klotz, assieme a molti altri seguaci come  Sepp Kerschbaumer e Luis Amplatz, ha dedicato la sua intera esistenza alla causa. Lui stesso si definiva “combattente per un Sudtirolo completamente indipendente dall’Italia”.
Eva Klotz racconta la storia di suo padre come se parlasse di un eroe, di un martire. Omettendo del tutto la vera natura del “Santo Martellatore della Val Passiria”, quella di terrorista e assassino. Georg Klotz di mestiere faceva il fabbro e il carbonaio. Durante la seconda guerra mondiale tutta la sua famiglia appoggiò il Terzo Reich. Lui stesso si arruolò volontario nella Wehrmacht. A detta di sua figlia per lui fu “una contraddizione. Viveva tra il rifiuto d’essere occupato nella terra sua e l’occupare le terre altrui”. Come se qualcuno lo avesse pregato di partire. Nel 1950 mette su famiglia. Si sposa con Rosa e con lei ha sei figli, di cui Eva è la primogenita. Oggi impegnata attivista politica. All’inizio degli anni sessanta entra in contatto con Sepp Kerschbaumer, diventa parte attiva del BAS, nato dal 1956. Partecipa ad una miriade di attentati dinamitardi insieme agli altri componenti dell’organizzazione, quasi tutti con trascorsi da nazisti. Tanto che lo storico Leopold Steurer ricorda che Klotz “girava per la Val Passiria con i fucili della Wehrmacht”. La sera  12 giugno del 1961, quella chiamata Feuernacht (la Notte dei fuochi), che suona un po’ come “La notte dei Cristalli” di nazionalsocialista memoria, il gruppo di terroristi fece saltare la bellezza di 42 tralicci dell’alta tensione. Uno degli ordigni, rimasto inesploso ai piedi di un albero, uccise un uomo. Giovanni Postal stava cercando di disinnescare la bomba, così da non causare danni ulteriori. Gli esplose fra le mani. Fu la prima vittima degli attentati del BAS. Ma questo Eva nel suo libro non lo racconta. Parla dei martiri indipendentisti. Ma per tutti gli innocenti fatti saltare in aria da suo padre e dagli altri dell’organizzazione non c’è spazio nel suo libro. E non c’è spazio per loro neppure nell’articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di ieri. Alle vittime italiane di quella follia non dedica che tre righe. Alla storia raccontata dalla Klotz, la bellezza di tre colonne del primo quotidiano del nostro Paese.
Dalla morte di Postal in poi, il “Comitato” alzò il tiro. Gli atti dimostrativi si trasformarono in vere e proprie carneficine. Una dietro l’altra. Una più cruenta dell’altra.
 Il 3 settembre 1964 venne ammazzato nella caserma di Selva dei Molini un carabiniere, Vittorio Tiralongo. Senza alcun motivo. Neppure una settimana dopo si sfiorò una strage. Vennero gravemente feriti  un sottufficiale e quattro militari su una strada provinciale. Dopo sole ventiquattr'ore venne ferito un altro agente di polizia.
Quell’anno Klotz venne arrestato. Ma la l’organizzazione non fece una piega.
Qualche mese dopo la strage riuscì. Il 26 agosto 1965 vennero uccisi nella caserma di Sesto Pusteria i carabinieri Palmerio Ariù e Luigi De Gennaro. “Colpiti da 33 proiettili a 3 metri di distanza” come riporta il sito Carabinieri.it.
Il 24 maggio 1966 venne trucidato Bruno Bolognesi, un finanziere. Non con il piombo dei proiettili, ma con una mina appesa alla porta di un rifugio sul Passo di Vizze. Alcuni, ancora oggi, sostengono che in realtà Bolognesi venne ucciso da una valanga. Sì, quella causata dallo scoppio della mina.
Il 25 luglio dello stesso anno, altre due vittime, altri due finanzieri: Salvatore Gabitta e Giuseppe D'Ignoti. Ammazzati in un agguato in Val Casies.
Non basta. Un’altra strage. Sempre nel ’66. Il 9 settembre, venne fatta saltare in aria una caserma, quella di Malga Sasso.  Il vice brigadiere Eriberto Volgger e il finanziere Martino Cossu morirono immediatamente, sotto le macerie. Il tenente Franco Petrucci,  poco dopo, in ospedale.
Nel ’67 gli artificieri riuscirono ad evitare una carneficina. Trovarono nel rifugio di Plan, in Val Passiria un deposito di mine nascoste dal BAS.
Il 25 giugno di quello stesso anno, fecero saltare in aria (sempre con una mina), un traliccio dell’alta tensione a Cima Vallona, in provincia di Belluno. Nell’esplosione rimase ucciso uno degli alpini che sorvegliavano la zona, Armando Piva.  Non è tutto. Fu necessario inviare nell’area la Compagnia Speciale Antiterrorismo, visto che l’intero perimetro intorno al traliccio era stato disseminato di mine antiuomo. Alle due del pomeriggio la spedizione sembrava conclusa e la zona rimessa in sicurezza. I militari ripresero la strada che portava a fondo valle. Uno degli ordigni, però, era stato posizionato qualche centinaio di metri più in là. L’esplosione della seconda mina fece l’ennesima carneficina. Quella passata alla storia come la “strage di Cima Vallona”. Morirono sul colpo il capitano dei carabinieri Francesco Gentile e il sottotenente paracadutista Mario Di Lecce. Il sergente paracadutista Olivo Dordi, rimase gravemente ferito e morì poco dopo in ospedale. L’unico superstite fu il sergente paracadutista Marcello Fagnani.
E ancora, sempre nel ’67, quando le Brigate Rosse ancora non pensavano a terrorizzare l’Italia, il 30 settembre, il BAS fece saltare in aria un poliziotto, il brigadiere Filippo Foti e la guardia scelta Edoardo Martini, la cui unica colpa era prestare servizio alla stazione di Trento. Avevano ricevuto una segnalazione in cui si comunicava che a bordo del treno Alpen Express, proveniente da Innsbruck, vi fosse una valigia contenente una bomba. La bomba c’era. Esplose. Li uccise sul colpo.
No. Per nessuno di loro c’è posto nelle pagine di Eva Klotz. E meno male, verrebbe quasi da aggiungere. Visto lo spirito di questa vergognosa opera letteraria, ne avrebbe infangato la memoria.
Le parole sono pietre, diceva Primo Levi
Un canto tipico tedesco, modificato dagli altoatesini fiancheggiatori del “Comitato per la liberazione del Sudtirolo” negli anni sessanta recita: “Che bel paese quello dove scorrono Adige e Isarco. Dove ogni vero tedesco spara sugli italiani. Questo è il mio bel Sudtirolo, circondato da ghiaccio e neve. Alziamo la mano in giuramento: L'Italia deve crepare.”
Eva Klotz è “figlia d’arte”. Suo padre Georg è stato uno dei più feroci attivisti dei BAS. Ma lei non sembra aver imparato nulla dalle condanne inflitte dalla giustizia italiana al “Santo Martellatore”. La Klotz è stata consigliere comunale e provinciale, grazie alla sua appartenenza a differenti movimenti indipendentisti. Da sempre è nota per le sue dichiarazioni completamente prive di pudore e di rispetto per la Nazione in cui vive, l’Italia.  “Chiederci di festeggiare l'Unità d'Italia è come chiedere ad una donna stuprata di festeggiare con lo stupratore l'anniversario della violenza subìta”.  E parlando dell’esperienza paterna, puntualizza: “Se mio padre era un terrorista, allora lo era pure Garibaldi”. In occasione dei mondiali di sci alpino del 2007 inviò ad un’emittente televisiva austriaca una lettera di protesta in cui si poteva leggere:
“I nostri atleti non sono italiani”. La sua pretesa era che gli sciatori nati in Sudtirolo fossero indicati come altoatesini.
Al confine del Passo del Brennero, davanti a un tricolore, troneggia un cartello: Süd-Tirol ist nicht Italien! Il Sudtirolo non è Italia! Tanto valeva scriverci “stranieri in casa vostra”
Micol Paglia

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