Il 9 maggio 1978, lo stesso giorno in cui veniva ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro all’interno di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma, moriva a Cinisi, località in provincia di Palermo, il giovane trentenne Giuseppe Impastato, detto Peppino.
Una morte che all’inizio viene liquidata come suicidio o attentato non portato a termine: il corpo del giovane, dilaniato da un ordigno, è ritrovato la mattina dopo, ad una cinquantina di metri da un binario della ferrovia quasi divelto dall’esplosione. La matrice appare chiara sin da subito: un atto terroristico a sfondo politico, da parte di un giovane “ultra di sinistra” (come riportato dalle cronache dell’epoca) che con l’intento di far deragliare un treno ha costruito una bomba artigianale allo scopo di danneggiare i binari. L’ordigno però è esploso accidentalmente prima che portasse a termine il suo disegno, dilaniando “l’attentatore”. Proprio come Feltrinelli.
Oppure un suicidio, proposito manifestato secondo gli inquirenti attraverso una lettera scritta qualche mese prima, che in realtà era un semplice sfogo.
Niente di tutto questo. Grazie al lavoro della madre Felicia, del fratello Giovanni e del “Centro siciliano di documentazione”, la verità viene a galla qualche anno dopo: un attentato, di matrice mafiosa, per cui nel 2001 sarà condannato come mandante a trent’anni di reclusione Vito Palazzolo, braccio destro del boss Gaetano Badalamenti, anch’egli condannato all’ergastolo nel 2002.
Peppino Impastato non era solo un attivista politico. Era anche un ragazzo che combatteva la mafia. Lo faceva a modo suo, con i suoi mezzi. L’ha fatto rompendo con il padre mafioso, ma anche da speaker dell’emittente locale “Radio Aut” da lui fondata, denunciando le magagne del boss del paese: per l’appunto Gaetano Badalamenti.
Lo faceva con ironia pungente, satira. Ma anche con coraggio, forse inconsapevole.
Era un ragazzo come tanti, che certo in chiave anti-mafia non può essere ricordato come i giudici Falcone e Borsellino, ma ha pagato allo stesso modo la sua “ribellione”. Con il tempo, dopo la sua morte, è stato trasformato in un eroe, e forse Peppino Impastato stesso, ragazzo timido e un po’ naif, sorriderebbe di questa definizione. Ma soprattutto è stato strumentalizzato politicamente, usato per dare un colore politico e una fazione alla lotta anti-mafia.
Tempo fa ha destato scandalo un manifesto di Casapound dedicato proprio a Peppino Impastato. Si è parlato di “appropriazione indebita”, accusa che fa sorridere se mossa da una sinistra che fa di tutto per appropriarsi di uomini di destra come Paolo Borsellino e Giorgio Ambrosoli, o il giornalista Mauro De Mauro. Peppino Impastato, come simbolo anti-mafia, non può essere né di destra né di sinistra. Esattamente come Falcone, ma anche Borsellino, Ambrosoli o De Mauro. E se proprio si vogliono ricordare le sue idee, lui che era sì uomo di estrema sinistra e svolgeva attività politica, non si può trascurare che per il medesimo discorso dell’”appropriazione indebita” non potrebbe essere oggi celebrato dagli esponenti degli attuali partiti nati dall’ex Pci. Pd in primis.
Peppino Impastato del Pci non ne voleva sapere.
Conosce Stefano Venuti, pittore e fondatore della sezione Pci della zona, in giovanissima età. Tra i due si crea un rapporto di amicizia e reciproco rispetto, che continua negli anni a venire. Ma Peppino Impastato rompe con il Pci sin dal 1968, all’età di 20 anni, e i rapporti peggiorano fino a diventare conflittuali nel 1974, quando il partito entra nella giunta comunale di Cinisi con la Dc.
Tant’è che Impastato si iscrive prima nel Psiup, poi a Democrazia Proletaria, lista per la quale si candida alle comunali del 1978.
C’é ben poca differenza, per Peppino Impastato, tra Pci e Dc. Tanto che nelle sue trasmissioni radiofoniche denuncia le magagne di entrambi i partiti, ovviamente sempre a livello locale. Un aspetto forse un po’ troppo trascurato da parte di chi oggi lo identifica solo come “martire di sinistra”.
Persino nel bel film di Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, ispirato alla vita di Impastato, appare una scena che non ha nulla di biografico: le elezioni comunali incombono, e il giovane si reca dal pittore Stefano Venuti ad annunciargli la sua intenzione di candidarsi per Democrazia Proletaria, chiedendogli quasi il permesso. Un episodio mai accaduto, e che non sarebbe mai potuto succedere: Peppino Impastato con il Pci aveva già rotto da anni, ed era ben contento di candidarsi contro.
Una revisione un po’ tendenziosa e faziosa, persino in un film diffuso trent’anni dopo la sua morte.
Tra i nemici di Peppino Impastato non c’erano solo la mafia e la Dc, ma anche e soprattutto il Pci. Quando muore, in piena campagna elettorale, pochi giorni prima delle elezioni e prima di essere eletto ugualmente perché gli abitanti di Cinisi decidono di votarlo anche da morto, i rapporti con il Pci sono a dir poco pessimi. E molto tesi, soprattutto in campagna elettorale.
Appropriazione indebita?
Prima di denunciarla, siamo sicuri che Peppino Impastato non si sentirebbe offeso dall’essere omaggiato dall’attuale centro-sinistra nato da una costola del Pci?
Una morte che all’inizio viene liquidata come suicidio o attentato non portato a termine: il corpo del giovane, dilaniato da un ordigno, è ritrovato la mattina dopo, ad una cinquantina di metri da un binario della ferrovia quasi divelto dall’esplosione. La matrice appare chiara sin da subito: un atto terroristico a sfondo politico, da parte di un giovane “ultra di sinistra” (come riportato dalle cronache dell’epoca) che con l’intento di far deragliare un treno ha costruito una bomba artigianale allo scopo di danneggiare i binari. L’ordigno però è esploso accidentalmente prima che portasse a termine il suo disegno, dilaniando “l’attentatore”. Proprio come Feltrinelli.
Oppure un suicidio, proposito manifestato secondo gli inquirenti attraverso una lettera scritta qualche mese prima, che in realtà era un semplice sfogo.
Niente di tutto questo. Grazie al lavoro della madre Felicia, del fratello Giovanni e del “Centro siciliano di documentazione”, la verità viene a galla qualche anno dopo: un attentato, di matrice mafiosa, per cui nel 2001 sarà condannato come mandante a trent’anni di reclusione Vito Palazzolo, braccio destro del boss Gaetano Badalamenti, anch’egli condannato all’ergastolo nel 2002.
Peppino Impastato non era solo un attivista politico. Era anche un ragazzo che combatteva la mafia. Lo faceva a modo suo, con i suoi mezzi. L’ha fatto rompendo con il padre mafioso, ma anche da speaker dell’emittente locale “Radio Aut” da lui fondata, denunciando le magagne del boss del paese: per l’appunto Gaetano Badalamenti.
Lo faceva con ironia pungente, satira. Ma anche con coraggio, forse inconsapevole.
Era un ragazzo come tanti, che certo in chiave anti-mafia non può essere ricordato come i giudici Falcone e Borsellino, ma ha pagato allo stesso modo la sua “ribellione”. Con il tempo, dopo la sua morte, è stato trasformato in un eroe, e forse Peppino Impastato stesso, ragazzo timido e un po’ naif, sorriderebbe di questa definizione. Ma soprattutto è stato strumentalizzato politicamente, usato per dare un colore politico e una fazione alla lotta anti-mafia.
Tempo fa ha destato scandalo un manifesto di Casapound dedicato proprio a Peppino Impastato. Si è parlato di “appropriazione indebita”, accusa che fa sorridere se mossa da una sinistra che fa di tutto per appropriarsi di uomini di destra come Paolo Borsellino e Giorgio Ambrosoli, o il giornalista Mauro De Mauro. Peppino Impastato, come simbolo anti-mafia, non può essere né di destra né di sinistra. Esattamente come Falcone, ma anche Borsellino, Ambrosoli o De Mauro. E se proprio si vogliono ricordare le sue idee, lui che era sì uomo di estrema sinistra e svolgeva attività politica, non si può trascurare che per il medesimo discorso dell’”appropriazione indebita” non potrebbe essere oggi celebrato dagli esponenti degli attuali partiti nati dall’ex Pci. Pd in primis.
Peppino Impastato del Pci non ne voleva sapere.
Conosce Stefano Venuti, pittore e fondatore della sezione Pci della zona, in giovanissima età. Tra i due si crea un rapporto di amicizia e reciproco rispetto, che continua negli anni a venire. Ma Peppino Impastato rompe con il Pci sin dal 1968, all’età di 20 anni, e i rapporti peggiorano fino a diventare conflittuali nel 1974, quando il partito entra nella giunta comunale di Cinisi con la Dc.
Tant’è che Impastato si iscrive prima nel Psiup, poi a Democrazia Proletaria, lista per la quale si candida alle comunali del 1978.
C’é ben poca differenza, per Peppino Impastato, tra Pci e Dc. Tanto che nelle sue trasmissioni radiofoniche denuncia le magagne di entrambi i partiti, ovviamente sempre a livello locale. Un aspetto forse un po’ troppo trascurato da parte di chi oggi lo identifica solo come “martire di sinistra”.
Persino nel bel film di Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, ispirato alla vita di Impastato, appare una scena che non ha nulla di biografico: le elezioni comunali incombono, e il giovane si reca dal pittore Stefano Venuti ad annunciargli la sua intenzione di candidarsi per Democrazia Proletaria, chiedendogli quasi il permesso. Un episodio mai accaduto, e che non sarebbe mai potuto succedere: Peppino Impastato con il Pci aveva già rotto da anni, ed era ben contento di candidarsi contro.
Una revisione un po’ tendenziosa e faziosa, persino in un film diffuso trent’anni dopo la sua morte.
Tra i nemici di Peppino Impastato non c’erano solo la mafia e la Dc, ma anche e soprattutto il Pci. Quando muore, in piena campagna elettorale, pochi giorni prima delle elezioni e prima di essere eletto ugualmente perché gli abitanti di Cinisi decidono di votarlo anche da morto, i rapporti con il Pci sono a dir poco pessimi. E molto tesi, soprattutto in campagna elettorale.
Appropriazione indebita?
Prima di denunciarla, siamo sicuri che Peppino Impastato non si sentirebbe offeso dall’essere omaggiato dall’attuale centro-sinistra nato da una costola del Pci?
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