Copricapo, ombrellino, ventaglio. I vezzosi schiaffi da geisha contro il sole ondeggiano sui turisti nelle vie estive. Città a luglio. Di giorno è lemme; la notte le strade sono fragranti di dolci suoni. Idillio di un centro storico senza la massa. Chi ti rompe? Chi ti insinua? La piovra. La piovra a Milano? Sì. Più la scacci, più ti soffoca e, più del caldo, ti costringe a tirar fuori la lingua per asfissia. Abbiamo dato un nome al polipone: il suo nome è «Mobbing Street». Sigla: MS. Mai Soli. Sempre: Malamente Subissati! Da chi?
Spiegazione etologica. Un solo chilometro da una piazza a una piazza per sentire la presa della piovra intorno al collo. Inizia il ragazzo ghanese che ti chiama «mama» per venderti il braccialettino africano portafortuna del suo «papa» stregone. Più gli dici «no, grazie» più ti apostrofa con altri epiteti: «zia», «dona», «bela», che ti senti anche la metamorfosi di una pecora. La presa dell’epiteto senza doppie è letargica, narcotizzante, da svenimento.
Te ne liberi. Percorri altri cento metri, raccomandandoti: «L’armonia, l’armonia! Prima in me e poi nel mondo» e, mentre così pensi, ti balza all’orecchio con un sorriso da zebra e l’alito da cipolla il «fradelo» - leggi fratello - del «papa», che ti smazza libri con favole del continente nero, quello alle falde del Kilimangiaro. Se non è un vatusso nell’altezza, sicuramente lo è nella lunga puntigliosità di inseguirti. Secondo tentacolo spezzato a colpi di machete cortese. No, grazie! No, grazie!
Prosegui per il sentiero interrotto. Non fai a tempo a porre un passo indietro nel tuo interiore training autogeno, per infonderti «la pazienza, la pazienza, la pazienza», è olè! ti si para davanti la ragazza di Green Peace. Penna in mano: «Firma!». Il tuo «no, grazie!» sta già diventando un «no!», ma ti trattieni. «Firma!» pretende la penna puntata davanti agli occhi, perché una vera penna non ti molla mai, e pensi che la pace di quel lemme vuoto metropolitano che vaga tra i parchi di una Milano deserta, è un miraggio della Savana madre. Avanzi, ritrovando i pensieri abbandonati nel labirinto della città che, presi in «solitudine» diceva Walter Benjamin, sono la droga più sana per chi ama scrivere.
Quale solitudine? Cento metri e arriva un’altra penna. E’ quella di Save the Children. Ora la biro dell’infanzia ti appare come il pendolino dell’ipnosi. Davanti a lei cominci a provare fastidio. Rimani senza risposte, mentre il giovine dell’associazione ti scroscia i tuoi doveri verso quei piccoli offesi dalle carenze che in Occidente sono abbondanze. Ti senti in colpa. Eppur per principio contro il mobbing street ti opponi. Nel training interiore fingi di essere lo Yeti nel grande freddo primordiale. Resisti!
E’ passata la penna-pendolo e ancora ti illudi che i prossimi seicento metri siano finalemnte di passeggio. Vedi rosa; nel mentre che il colore e il nome dell’essenza paradisiaca ti avvolgono, è proprio un mazzo di rose a frustare e frustrare il senso di ritrovata armonia. «Mi compera una rosa?». L’asiatico che le vende fa il virus. Ti aggira, si appiccica, se potesse ti butterebbe dentro in bocca tutte le rose, purché con la mano tu tiri fuori dalla borsa cinque euro, come se fossero l’antibiotico contro il batterio dell’ostinazione, che già ti ottunde le budella. Ora il «no!» è di pancia. Pericoloso, perché sarebbe il totale cedimento al mobbing street, l’insistenza degli avventori di strada.
Ora a Milano c’è una nuova moda. E’ il ragazzino, il bulgaro o lo zingarello che si avvicinano con la mano tesa, segno di carità, e appena leggono nei tuoi occhi il segno del rifiuto, cambiano obiettivo e chiedono: «Hai una sigaretta!».
Su quella non mollano la presa, come se fossero un plotone d’esecuzione all’inverso: il condannato deve al plotone una sigaretta per essere graziato di campare in santa pace! «Tu sei forte» ti dici e non scuci la Camel. La tua forza è come la gobba di un cammello. Hai riserve di infinita pazienza, ti dici, nel prendere una decisione. Quasi, quasi faccio in metro l’ultima parte del tragitto. San Babila-Cordusio: due fermate, ma almeno sei lontano dal mobbing street di coloro che non chiedono la carità. In metro la gente è poca, ti puoi anche sedere. Che bello! Non fai a tempo a pensare così e si piazza davanti uno con la fisarmonica per i due minuti di due fermate. MS. Mobbing Street! No. Con gli occhi di fuoco, ma la voce ancora gentile, osservi il caucasico e dici: «MS. Mollami subito!».Spiegazione etologica. Un solo chilometro da una piazza a una piazza per sentire la presa della piovra intorno al collo. Inizia il ragazzo ghanese che ti chiama «mama» per venderti il braccialettino africano portafortuna del suo «papa» stregone. Più gli dici «no, grazie» più ti apostrofa con altri epiteti: «zia», «dona», «bela», che ti senti anche la metamorfosi di una pecora. La presa dell’epiteto senza doppie è letargica, narcotizzante, da svenimento.
Te ne liberi. Percorri altri cento metri, raccomandandoti: «L’armonia, l’armonia! Prima in me e poi nel mondo» e, mentre così pensi, ti balza all’orecchio con un sorriso da zebra e l’alito da cipolla il «fradelo» - leggi fratello - del «papa», che ti smazza libri con favole del continente nero, quello alle falde del Kilimangiaro. Se non è un vatusso nell’altezza, sicuramente lo è nella lunga puntigliosità di inseguirti. Secondo tentacolo spezzato a colpi di machete cortese. No, grazie! No, grazie!
Prosegui per il sentiero interrotto. Non fai a tempo a porre un passo indietro nel tuo interiore training autogeno, per infonderti «la pazienza, la pazienza, la pazienza», è olè! ti si para davanti la ragazza di Green Peace. Penna in mano: «Firma!». Il tuo «no, grazie!» sta già diventando un «no!», ma ti trattieni. «Firma!» pretende la penna puntata davanti agli occhi, perché una vera penna non ti molla mai, e pensi che la pace di quel lemme vuoto metropolitano che vaga tra i parchi di una Milano deserta, è un miraggio della Savana madre. Avanzi, ritrovando i pensieri abbandonati nel labirinto della città che, presi in «solitudine» diceva Walter Benjamin, sono la droga più sana per chi ama scrivere.
Quale solitudine? Cento metri e arriva un’altra penna. E’ quella di Save the Children. Ora la biro dell’infanzia ti appare come il pendolino dell’ipnosi. Davanti a lei cominci a provare fastidio. Rimani senza risposte, mentre il giovine dell’associazione ti scroscia i tuoi doveri verso quei piccoli offesi dalle carenze che in Occidente sono abbondanze. Ti senti in colpa. Eppur per principio contro il mobbing street ti opponi. Nel training interiore fingi di essere lo Yeti nel grande freddo primordiale. Resisti!
E’ passata la penna-pendolo e ancora ti illudi che i prossimi seicento metri siano finalemnte di passeggio. Vedi rosa; nel mentre che il colore e il nome dell’essenza paradisiaca ti avvolgono, è proprio un mazzo di rose a frustare e frustrare il senso di ritrovata armonia. «Mi compera una rosa?». L’asiatico che le vende fa il virus. Ti aggira, si appiccica, se potesse ti butterebbe dentro in bocca tutte le rose, purché con la mano tu tiri fuori dalla borsa cinque euro, come se fossero l’antibiotico contro il batterio dell’ostinazione, che già ti ottunde le budella. Ora il «no!» è di pancia. Pericoloso, perché sarebbe il totale cedimento al mobbing street, l’insistenza degli avventori di strada.
Ora a Milano c’è una nuova moda. E’ il ragazzino, il bulgaro o lo zingarello che si avvicinano con la mano tesa, segno di carità, e appena leggono nei tuoi occhi il segno del rifiuto, cambiano obiettivo e chiedono: «Hai una sigaretta!».
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