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15/07/2011 19:31:00
Consiglio al governo che cerca soldi: altro che tagli, molto meglio vendere la Rai: frutterebbe 3-4 miliardi
Divise su ogni aspetto della manovra, maggioranza e opposizione si trovano in perfetto accordo sulla necessità di difendere ad oltranza il diritto alla marchetta a mezzo di servizio pubblico. Così, in questi giorni in cui si torna a parlare di privatizzazioni per fare cassa, spuntano tutti i nomi, dai colossi Eni, Enel e Finmeccanica alle municipalizzate, ma ci si guarda bene dal proporre la vendita della Rai. Un’azienda sulla quale in pubblico tutti i parlamentari amano sparare, indicando come modello di scandalosa disinformazione i talk show e i notiziari che favoriscono lo schieramento opposto. Ma la verità è che nessuno ha intenzione di cambiarla: viale Mazzini è un posto nel quale un’intervista in ginocchio e un vicedirettore amico non si negano a nessuno, e proprio per questo ai politici va bene così com’è. Destra e sinistra litigano ogni giorno sulla spartizione delle fette, ma si guardano bene dal mettere in dubbio che debba esistere una torta chiamata Rai. Piuttosto che rinunciare al servizietto sono disposti a mettere sul tappeto nuove quote dell’Eni, che pure ha un ruolo politico strategico, perché è una delle poche leve che i leader italiani possono muovere quando siedono al tavolo con Barack Obama o Vladimir Putin. O a cedere ulteriore terreno su Finmeccanica, dopo aver lasciato che negli scorsi anni Alenia Spazio, cioè il meglio della tecnologia satellitare italiana, finisse in mano ai francesi (e gli interessi geopolitici di Roma e Parigi, come visto anche in Libia, sono tutt’altro che convergenti). Anche altre azioni Enel possono finire in mani private o straniere: l’importante è mantenere il controllo politico sul segnale televisivo. E dire che il momento per vendere la Rai - intera o a pezzi - sarebbe perfetto. Primo: si porterebbero un po’ di contanti in cassa, e dio sa quanto ce n’è bisogno. Uno studio di Libertiamo, l’associazione del finiano ed ex radicale Benedetto Della Vedova, autore della proposta di legge per privatizzare l’emittente pubblica, ha calcolato in un intervallo compreso tra i 3 e i 4 miliardi di euro la somma ricavabile dalla cessione della Rai. Soldi che il Tesoro userebbe per dare una limatina al debito pubblico. Secondo: con la privatizzazione della Rai scomparirebbe il canone. In una fase nella quale le famiglie sono chiamate a nuovi sacrifici, abolire un balzello da 110,5 euro può solo fare bene. Terzo: si darebbe attuazione, con appena sedici anni di ritardo, al referendum del 1995, promosso dai Radicali, col quale i cittadini, in ampia maggioranza, abrogarono la norma che stabiliva la natura pubblica della Rai, chiedendo di fatto che fosse privatizzata. Ma gli stessi che poche settimane fa, appena reso pubblico il risultato dei referendum su acqua e nucleare, si sono affrettati a difendere la sacralità del responso degli elettori, non si fanno problemi ad ignorare da oltre tre lustri ciò che gli italiani decisero all’epoca. Quarto: con la vendita della Rai si chiuderebbe gran parte delle polemiche sui conduttori faziosi e i telegiornali asserviti ai partiti. Non perché le trasmissioni della Rai privatizzata diventerebbero d’un colpo credibili ed equilibrate, ma perché non sarebbero più pagate con i soldi del contribuente: a finanziarle provvederebbero gli azionisti privati e gli inserzionisti pubblicitari. Che ovviamente penserebbero ai propri interessi, ma almeno avrebbero il buon gusto di farlo spendendo di tasca propria. Cosa che la classe politica, che usa l’azienda ora come megafono per i propri proclami ora come ufficio assunzioni, non si sogna di fare. E proprio per questo ha sempre pronto qualche nobile argomento per difendere la natura pubblica della Rai. Niente di strano, insomma, che in queste ore a parlare di privatizzazione della Rai sia solo il vendicativo Claudio Scajola, ancora in cerca del ruolo che dovrebbe riportarlo alla ribalta, e che persino Fli e il terzo polo si stiano guardando bene dal rilanciare la proposta di Della Vedova. È la conferma che pure stavolta non succederà nulla. L’emergenza economica e la necessità di vendere nuovi asset pubblici saranno pure cose serie, ma non al punto da rinunciare a certi servigi. di Fausto Carioti
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