martedì 12 luglio 2011

Addio a Togliatti jr: dimenticato dal padre è morto in manicomio

di Mario Cervi

È rimasto rinchiuso in una clinica psichiatrica per trent’anni. Il "Migliore" da quando si legò a Nilde Iotti di fatto se ne disinteressò

Il signor Aldo se n’è quietamente anda­to. Avrebbe compiuto 86 anni il 29 luglio, ed era ricoverato da decenni in una clinica mo­denese per la cura delle malattie mentali. Un malato come tanti, silenzioso e remissi­vo, che aveva per unici svaghi i cruciverba e gli scacchi, e per unico veniale vizio il fumo. Ultimamente stava quasi sempre a letto nel­la sua camera, la 227. Un signor nessuno, du­ramente colpito dalla schizofrenia con im­pulsi autistici, che invece era un signor qual­cuno: avendo avuto per padre Palmiro Togliatti, segretario del Pci. Il segreto doloroso dell’esisten­za di Aldo fu ferreamente tutelato, per molti anni, dai pochi che nel­l’ entourage del Migliore ne erano a conoscenza. La vicenda venne alla luce nel 1993 grazie a un croni­sta della Gazzetta di Modena , Se­bastiano Colombini, e al direttore di quel quotidiano, Antonio Ma­scolo. Vi fu curiosità, e in molti an­che emozione, per lo scoop, che coinvolgeva una figura importan­t­e della politica italiana e mondia­le. Dalla vicenda fu tratto un libro e anche un testo teatrale di Luigi Lunari che con il titolo Our fathers approderà a Broadway, abbinan­do il destino di Aldo a quello della ritardata Rosemary Kennedy, fi­glia sostanzialmente ripudiata dal patriarca del potente clan. Si volle da alcuni- non senza ra­gione- che la sorte dello sventura­to Aldo gettasse un’ulteriore om­bra su Palmiro. Per la solitudine in cui aveva lasciato quel suo figlio così bisognoso di cure e di atten­zioni, per il vuoto affettivo cui l’aveva condannato, per l’oscuri­tà in cui l’aveva tenuto quasi che le tragiche turbe della sua mente fos­sero una colpa vergognosa. Que­sto tasto va toccato anche se non mi sembra il caso d’insistervi trop­po, visti gli spettacoli d’amoralità e d’aridità di cuore cui ci tocca d’assistere.Onore postumo al vec­chio militante comunista Onelio Pini, morto una decina d’anni or sono, che ogni settimana faceva vi­sita al signor Aldo, scambiava qualche frase con lui, e gli portava un pacchetto di sigarette «Stop» senza filtro. Una volta Onelio sus­surrò all’orecchio dell’infermo la notizia che l’Urss s’era disgregata, che in buona sostanza il comuni­smo era finito. Ma non è dato di sa­pere quanto il vecchio fuori di te­sta abbia capito di questi muta­m­enti rivoluzionari che in altre cir­costanze l’avrebbe sconvolto. Nato a Roma, Aldo aveva tutta­via trascorso l’infanzia e l’adole­scenza in Unione Sovietica, aven­d­o il trattamento privilegiato riser­vato dal regime alla Nomenklatu­ra. Palmiro era una figura di pri­mo piano del cupo universo stali­niano, la moglie Rita Montagna­na era anche lei una fervida mili­tante comunista ( diventerà nel do­poguerra la presidente dell’Udi, l’Unio­ne donne italiane). Nel­l’Urss Aldo si laurea in ingegneria, benché dia già segni di squilibrio. Rimpatriato con il padre e la ma­dre vorrebbe proseguire gli studi, ma non ci riesce, lavora ma con crescenti sbandamenti. Un gior­no fu rintracciato nel porto di Le Havre, in Francia, dove voleva im­barcarsi per gli Stati Uniti. L’ulti­ma sua apparizione pubblica fu re­gistrata nel 1964, ai funerali del pa­dre. La vita di Palmiro Togliatti- e an­che quella di Aldo- ebbe una svol­t­a importante dopo il ritorno in Ita­lia. Il massimo dirigente del Pci si lasciò alle spalle gli anni dell’osan­nato terrore staliniano, conobbe una nuova vita, la dolce vita. Si di­vise da Rita Monta­gnana, ebbe per compagna la gio­vane e bella Nil­de Iotti, e nel 1950 adottò una bambina di sette anni, Marisa Mala­goli, figlia d’un opera­i­o ucciso durante scon­tri con la polizia.
Da quel momento in poi Nilde e Mari­sa furono per Il Migliore la fami­glia, a Marisa venne riservato il ca­lo­re paterno di cui Palmiro era ca­pace. Aldo, molto colpito nella sua vulnerabilità e nei suoi gravi problemi, diventò uno spiacevole ingombro. O piuttosto non lo di­venne perché il padre lo escluse dalla sua quotidianità. Rimasero invece i legami con i Montagnana torinesi. Ossia con la madre pri­ma che morisse nel 1979, e con i cu­gini Nuccia e Manfredo. Quest’ul­timo è stato tutore del malato fino all’ultimo. Forse quando la politica assu­me la connotazione ossessiva che ebbe per Palmiro Togliatti può an­nullare o attenuare, in un proces­so di desertificazione affettiva, sentimenti e passioni più privati. Non pochi altri padri sono stati e sono egoisti come lo fu Palmiro. Non voglio, ripeto, atteggiarmi a giudice di quella che è stata senza dubbio una tragedia familiare. Massimo Caprara, che di Togliatti fu segretario per vent’anni, ha scritto: «La colpa maggiore di To­gliatti è stata la disumanità». Ne ha fatto le spese anche l’unico fi­glio.

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