La sinistra francese ha fatto scorrere fiumi di champagne per festeggiare quella che, almeno stando ai polls, era l’attesa affermazione di Francois Holland al primo turno delle presidenziali. Contemporaneamente, a Roma hanno festeggiato a Lambrusco di Castelvetrano ed a Bari con lo Chardonnay del Salento, prendendo quel successo elettorale non tanto come un auspicio, quanto come un annuncio anticipato, un chiaro segnale dello scontato ritorno di un socialista all’Eliseo dal quale manca dai tempi di Mitterrand, un personaggio ambiguo e spesso inquietante che i francesi non si sono mai pentiti abbastanza di avere eletto. E ne traggono anche favorevoli auspici per un ritorno della sinistra italiana in vista della tornata elettorale delle amministrative, ed ancor più per quella successiva delle politiche del 2013, se Monti ci arriva al 2013 con quello che sta emergendo sul suo conto. Ma sinceramente tanto smodato entusiasmo ci sembra assolutamente fuori luogo ed al posto loro noi osserveremmo una maggiore cautela, anzi ci andremmo con i piedi di piombo a trarre conclusioni come le loro, quanto meno affrettate e poco ponderate. E’ vero che il primo turno elettorale francese è stato un sonoro schiaffo a Sarkò, al suo atteggiamento passivo, timido, succube, quasi riverente osservato nei confronti della Merkel, la “truce affamatrice dell’Europa”, assolutamente incomprensibile per l’elettorato transalpino visto che poi il presidente uscente di Francia ha in mente idee ed impostazioni politiche che quasi mai collimano con quelle della cancelliera tedesca. Però, se andiamo a vedere i numeri, vediamo che Hollande ha vinto di misura, ma che le vera sorpresa uscita dalle urne è lo straordinario successo della destra sociale di Marine Le Pen al 20 %, accompagnato da un risultato lontano dalle attese del Front de Gauche di Melenchon. Al contrario di quel che pensano i “progressisti” italiani, questo non è l’avvio di un nuovo ciclo delle sinistre, che in Francia restano minoritarie con il 39,9% appena dei voti, e se si mettono d’accordo, ma piuttosto il sintomo di una crisi di rigetto antieuropeista, perlomeno nei confronti di questa Europa di stampo merkeliano recessiva ed ossessionata dalla finanza. I nostri benpensanti si mettano l’animo in pace e lascino invecchiare il vino buono in cantina riservandoselo per tempi migliori, perché il cuore della Francia continua a battere per una destra a favore dell’unione identitaria dei popoli, che da sola dispone del 46,5% dei voti, ai quali potrebbero sommarsi quelli dei centristi di Bayrou – comunque non destinati alla Gauche – per fondare una nuova Europa orientata allo sviluppo della società, non delle banche, e lontano dall’attuale retorica europeista propria di burocrati inefficienti, freddi, immotivati e senza ideali. Hanno vinto quelli schierati contro l’assurdità del “fiscal compact”, lo strangolamento imposto del pareggio di bilancio, misura privilegiata rispetto alla crescita ed al benessere, difeso dalla Merkel con il sostegno incondizionato di Mario Monti e supinamente accettato da Sarkò, che pure nei corridoi ammette di non essere completamente d’accordo con questa linea. Hollande ha preso voti perché vuol denunciare il fiscal compact, e su questo tutti concordiamo, ma poi lui si ferma qui, scadendo nel solito velleitarismo sinistroso fatto di promesse demagogiche senza mai spendere una sola parola sul come reperire le risorse necessarie a mantenerle.
Le Pen va oltre, sventola la bandiera della Patria perché se siamo convintamente europei, non per questo smettiamo di essere italiani, francesi, tedeschi o spagnoli, attacca la finanza speculativa e le politiche migratorie che stanno imbarbarendo l’Europa, sempre più vicina a quel mostruoso coacervo di illegalità e prevaricazioni multirazziali e multiculturali che Oriana Fallaci chiamava Eurabia. In dieci anni di Euro senza una banca centrale garante e “datore di ultima istanza” la crescita non c’è stata e la burocrazia bizantina e l’egoismo teutonico hanno prodotto questo risultato, che a prevalere sono quelli che prendono le distanze da tutto ciò che abbia una relazione condizionante con Bruxelles, la moneta unica e la Banca centrale europea. Sino a prova contraria, sono i popoli che votano, non i consigli d’amministrazione, e quanto accade in Francia, rappresenta un fenomeno in crescita anche in Inghilterra, in Spagna ed in altri Paesi e presto, liquidati Monti e la sua banda, sarà così anche in Italia. Sarkozy ha pagato la sua acritica sintonia con Angela Merkel. La stessa cosa accadrà dappertutto perché gli elettori non sono dei creduloni che si possono raggirare impunemente, ma sanno leggere, e bene, cosa sta accadendo nel Vecchio Continente. Chi afferma di voler salvare la Grecia strangolandola ha creato un mostro che si aggira per l’Europa rivoltandoglisi contro, perché nessuno dà fiducia a chi affama un popolo, né esistono popoli disposti ad essere sacrificati sull’ara della Bce o di Odino.
Sarkozy ha minimizzato definendo il risultato che lo riguarda un “voto di crisi”, ma sbaglia se è convinto di questo e dovrebbe invece recitare il “mea culpa” per essersi reso responsabile di aver contribuito ad alimentare questa crisi perversa, commettendo un grande errore di valutazione, sconcertante per un politico così ricco di talento come lui. Avrebbe dovuto mettersi a capo con Italia e Spagna di un “asse mediterraneo” perché si deve rendere conto che la Francia per i tedeschi è e resta un Paese del meridione latino. Avrebbe dovuto battersi per una riforma strutturale della politica europea, per contribuire a tracciare un sentiero virtuoso verso l’identità politica, economica e culturale del continente, privilegiando la collaborazione costruttiva tra i popoli dell’unione, non la loro competizione sotterranea a chi concede di meno ed arraffa di più. Ha sbagliato tutto il possibile, ed assecondando i piani egemonici tedeschi ha contribuito a mettere in ginocchio l’economia europea, oltre che ad essersi quasi giocato l’Eliseo. Al secondo turno può ancora succedere di tutto, con Sarkò che però corre il serio rischio che gli elettori di destra stavolta gli voltino le spalle proprio perché rifiutano la regia di Berlino. Non si fidano più e per convincerli Sarkozy dovrà dipingere ai francesi, ed a tutti noi, una versione sostenibile dell’Unione Europea, smettendo di raccontarla solo dietro una tazza di the alla presenza di Carlà, ma trovando il coraggio di sbatterla sul tavolo di Frau Angela ed ai burocrati inutili e superpagati di Bruxelles. Se saprà essere convincente e si dimostrerà capace di cambiare passo potrà coltivare la fondatissima speranza di non traslocare dall’Eliseo. Gli ultimi eventi gli vengono incontro e lo incoraggiano a prendere l’iniziativa per far scendere la Merkel dal piedistallo. Il violento attacco che la sua connazionale Christine Lagarde ha portato dal Fondo Monetario Internazionale alla cancelliera accusata di “egoismi e sotterfugi per proprio vantaggio a scapito dell’Europa”, costringerà la Merkel, presa con le mani nel barattolo della marmellata, a considerare con meno scetticismo e maggior interesse l’introduzione degli Eurobond, l’unico mezzo efficace per cercare di ridurre gli effetti devastanti del debito pubblico di tre quarti d’Europa e sostenere la ripresa.
In ogni caso, il messaggio che arriva dal primo turno francese è trasparente e facilmente leggibile, per cui in Italia il governo ed i partiti dovrebbero meditarci su, perché l’ondata di rinnovamento europeista non si infrangerà sulle mura di Parigi. Nel frattempo, a Palazzo Chigi possono annotare sul taccuino il fatto che la cancelliera Merkel da oggi è più debole. In questo scenario, comportarsi da filotedeschi, da “collaborazionisti” può rivelarsi un boomerang. Allora, per una volta, cerchiamo di ricordarci di essere italiani, tiriamo fuori il nostro orgoglio e facciamo sventolare fieri il tricolore, perché stanno tornando le Nazioni.
Questo hanno annunciato i francesi, non il ritorno degli sfascisti di sinistra
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