Sono anni che il 25 aprile viene brandito come una clava contro “qualcuno”, ovvero contro il nemico di turno, che fino a ieri era Berlusconi. Resta da vedere contro chi marceranno oggi i manifestanti e con quali insegne. Così che il 25 aprile, che avrebbe dovuto simboleggiare la festa della libertà, è diventata sempre più una festa di parte e un ulteriore motivo di scontro. Guelfi e ghibellini, fascisti e antifascisti, comunisti e democristiani: è lo spirito di divisione che ci portiamo dietro da secoli. Non c’è mai stata una festa condivisa. Ogni regime riforma il calendario. Il fascismo abolì il 1° maggio e proclamò festa nazionale il 21 aprile, Natale di Roma; abolì il XX settembre, festa laica, e la sostituì con la festa religiosa dell’11 febbraio, dopo la Conciliazione tra Stato e Chiesa nel 1929.
Le grandi date, quelle che diventano sangue e carne di una nazione, non si possono imporre per decreto ma si riconoscono dall’emozione e dal tormento che evocano. Diventano patrimonio comune quando, come l’89 francese, perdono ogni significato contingente per assumerne uno ideale più altamente simbolico: un simbolo che unisce pur nelle idee e nelle opinioni diverse. Se il 14 luglio avesse ancora il significato originario, non sarebbe mai diventata la maggiore festa nazionale in Francia. Dall’89, caduta dell’Ancien règime, è scaturita la Francia moderna basata sullo spirito di libertà raffigurato dalla presa della Bastiglia, anch’essa assurta a simbolo che trascende il suo significato d’efferatezza e di violenza rivoluzionaria. La Francia ha il 14 luglio, l’America il 4 di luglio. Noi non abbiamo una sola festa nazionale che ci trovi d’accordo. Ciò che significa anche la nostra inconsistenza di nazione. Il nostro spirito di fazione prevale sul sentimento nazionale unitario – che si vorrebbe imporre e non si può – e al quale il popolo è rimasto estraneo. Hanno tirato fuori ora la bandiera e l’inno! Le nazioni non si inventano a tavolino. La Francia, l’Inghilterra, la Spagna, gli Stati Uniti sono diventate nazioni dopo secoli di lotte e di rivoluzioni. L’Italia fu il progetto d’ambizione di una dinastia reazionaria e militarista che conquistò il paese poco alla volta col sangue e la menzogna. Il fascismo volendo rafforzare l’identità nazionale inventò la storia della “gloria militare perduta” e riempì il calendario di feste nazionali che però erano tutte feste di regime. Feste che la repubblica ha abolito senza trovarne una valida per tutti.Nel 25 aprile c’è ancora un sedimento di ideologia e di retorica. E’ giusto riconoscere alla Resistenza i meriti che ha; ma senza attribuirle quelli che non ha. Anche qui l’esempio della Francia è illuminante. Parigi venne liberata il 25 agosto 1944. Il generale De Gaulle, capo della “France libre”, ebbe l’onore di passare sotto l’Arco di Trionfo, quattro anni dopo la capitolazione della Francia. Il 25 agosto è una data gloriosa ma nessuno in Francia pensa che senza lo sbarco alleato in Normandia la liberazione di Parigi sarebbe stata possibile. La Resistenza italiana ha un alto valore storico e simbolico. Ma la lotta al fascismo era cominciata prima. Non vi parteciparono solo i comunisti e non si può disconoscere il contributo degli altri. Prima ancora che il fascismo diventasse regime, ci fu chi non ebbe paura e lo sfidò fino al sacrificio della vita. I primi martiri sono socialisti e liberali: Matteotti, Amendola, Gobetti, e più tardi, morto in carcere, Gramsci. Eppoi gli esuli Turati, Pertini, Salvemini, Sforza, Nitti; chi in Francia chi negli Stati Uniti. Con l’eccezione di Togliatti in URSS “patria della libertà”. Eppoi quelli aggrediti, bastonati, perseguitati, cacciati dal lavoro in patria.
Il 25 aprile sa ancora di cellula e di partito: risente della egemonia comunista che servì al PCI per partecipare alla spartizione del potere finita la guerra. La carta geografica è profondamente mutata, ma l’Italia, paese vecchio e incapace di rinnovarsi, ha ancora un 25 aprile che ripete ogni anno i fasti vetusti e mendaci di un “antifascismo” esclusivo e di maniera.
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