Torino 03.10.1977 - In seguito alla morte del militante ventenne di Lotta Continua, Walter Rossi, mentre partecipava ad un volantinaggio antifascista in Viale Medaglie d’Oro a Roma, l’organizzazione extraparlamentare di sinistra, organizzò per il primo di ottobre del 1977 una manifestazione di protesta su tutto il territorio nazionale. A Torino, in Piazza Solferino, intorno alle dieci e trenta, si radunarono circa tremila militanti, provenienti da tutte le forze politiche della sinistra. Era chiaro l’obiettivo. Assaltare la sede del Movimento Sociale Italiano in corso Francia, 19. Durante il tragitto violenze di vario genere. Lancio di molotov verso la sede della Cisnal e del Consolato Austriaco, due automobili, Fiat 500 e Lancia Beta, ed un tram incendiati, un assalto ad un negozio di abbigliamento, ad una farmacia e alla macchina di proprietà del Consigliere Provinciale del Movimento Sociale Italiano, Francesco Carlino. Le forze dell’ordine, a fatica, riuscirono a sbarrare la strada con un fitto lancio di lacrimogeni. I dimostranti, costretti a ritirarsi, ricompattarono il corteo e puntarono dritti verso in centro della città dove era in programma un’assemblea. Alle undici e quarantacinque l’episodio più grave. Un commando di dieci persone fece irruzione nel bar “Angelo Azzurro”, in via Po, 46, già incendiato nell’aprile dello stesso anno, ritenuto luogo di ritrovo abituale di elementi legati all’estrema destra piemontese. La voce si era diffusa dopo che un ragazzo, vicino al Movimento Sociale Italiano, aveva svolto la sua festa di compleanno proprio in quel locale. All’interno del bar, oltre ai proprietari, Luigi De Maria e Benedetta Evangelista, il barista Bruno Cattin, erano presenti anche due avventori occasionali. Diego Mainardo, studente di ingegneria e operaio della Fiat, e Roberto Crescenzio, 22 anni, studente e lavoratore. Gli estremisti lanciarono numerose molotov all’interno del locale, il quale fu subito preda delle fiamme. Il personale riuscì a fuggire dal retro, Diego Mainardo fu trascinato fuori e picchiato selvaggiamente, invece, Roberto Crescenzio, cercò scampo nella toilette. In un lampo le fiamme divorarono la moquette e quando il giovane tentò di uscire si trovò di fronte ad un muro di fuoco. Quasi soffocato e accecato dal fumo acre, Roberto Crescenzio, cadde, rotolando sulla moquette ormai fusa trasformandosi in una torcia umana. Ustioni del novanta per cento su tutto il corpo. Barcollante, uscì dal locale e prontamente soccorso da alcuni passanti. Adagiato su una sedia, lo coprirono con delle coperte in attesa dell’ambulanza. Ricoverato d’urgenza presso il centro grandi ustionati del Cto, la diagnosi fu drammatica. Le sofferenze durarono per più di due giorni quando il 3 ottobre del 1977 sopraggiunse la morte per collasso cardiocircolatorio. Al suo fianco, negl’ultimi istanti di vita, il padre e numerosi amici dell’università. La famiglia proveniva dal Veneto, gente umile e immigrata per lavoro. Infatti il padre, Giovanni, era decoratore mentre la madre, Elvira Bacchetto, era casalinga. Roberto aveva conseguito il diploma di perito industriale ed era iscritto al terzo anno di chimica e tecnologia farmaceutica. A breve sarebbe partito per espletare il servizio militare. I funerali, pubblici e a carico del Comune di Torino, furono tenuti nella chiesa San Giuliano in Orta. Alla cerimonia numerose delegazioni e gonfaloni. Lo sdegno di tutti fu grandissimo. Le organizzazioni sindacali proclamarono l’astensione dal lavoro per quindici minuti durante le esequie in segno di lutto . Gli studenti della Fgci raccolsero firme davanti al locale incenerito in via Po per chiedere la fine e soprattutto il netto rifiuto di ogni atto di violenza. La salma di Roberto Crescenzio fu tumulata nel cimitero di Sassi. L’attentato al bar “Angelo Azzurro” non fu mai rivendicato anche se fu genericamente attribuito ai militanti di Lotta Continua. Nel corso del processo in Corte d’Appello del 1984 fu emessa la sentenza di condanna per concorso morale in omicidio a carico di Stefano Della Casa, responsabile del servizio d’ordine, Angelo Luparia, Alberto Bonvicini, Angelo De Stefano e Francesco D’Ursi con pene dai tre ai quattro anni di reclusione. Peter Freeman e Silvio Viale, invece, furono assolti, imputati solo per l’assalto alla sezione del Movimento Sociale Italiano. Quest’ultimo, fu l’unico degli imputati a scusarsi con la madre, per la morte di Roberto, in una lettera aperta scritta nel 2002.
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