Ecco gli epitaffi (finora inediti) che il grande giornalista dedicò a personaggi "eccellenti". Con classe e cattiveria...
Dalla miniera montanelliana escono adesso, postumamente, le pepite d’oro raccolte in Ricordi sott’odio. Ritratti taglienti per cadaveri eccellenti, un libro che esce oggi da Rizzoli (pagg. 220, euro 17) e chiosato con straripante completezza da Marcello Staglieno. Cui dobbiamo, per questi ricordi, la definizione di «Spoon River all’acido prussico». Sono quasi tutti inediti, e furono scritti prevalentemente tra il 1955 e il 1958, con l’assistenza e la sorveglianza di Leo Longanesi, il «carciofino sott’odio». Indro Montanelli li annotò, già in forma di epitaffi, «ora manoscritti su tovagliette in qualche trattoria milanese, ora su un bloc notes, ora dattiloscritti con la sua Lettera 22 su carta da bozze, ora autografi su una rubrica telefonica».
Sia al Corriere della sera sia al Giornale Indro dovette commemorare, in articoli spesso bellissimi e sempre temutissimi, amici, colleghi, personaggi che se n’erano andati. Temutissimi quegli articoli perché Montanelli aveva il grave vizio di parlare del morto come se fosse ancora vivo, con le sue qualità ma anche con i suoi tic e difetti. Il che peggiorava il lutto dei familiari, anzichè alleviarlo. Gaetano Afeltra gli diceva infatti con saggezza amalfitana: «Indre (la “o” diventava “e” nella pronuncia afeltriana, ndr) tu non sei da necrologio, tu sei da trigesimo».
Del tutto libero, in questi epitaffi, dai freni della prudenza e della convenienza, Montanelli riesce ad essere volta a volta spietato e cavalleresco, cinico e commosso. Ma alla battuta e alla frecciata non sa rinunciare. In contrasto con una tradizione letteraria italiana incline al prolisso, Indro aveva, quando voleva, il dono supremo della brevità che dice tutto. Ed era in questo l’opposto d’un altro grande del giornalismo, Orio Vergani, che aveva la penna facile, inesauribile, e di qualità. Proprio a Orio spetta uno degli epitaffi più pungenti, in questi termini: «Qui io Orio Vergani mi scriverei addosso l’epitaffio se la stele non fosse ahimè troppo corta».
Quando era direttore del Giornale Indro volle dar vita a una rubrica che in chiave diversa voleva affiancare il Controcorrente, e che prevedeva necrologi riguardanti tuttavia personalità ancora più o meno felicemente viventi. La rubrica non ebbe successo - eppure secondo me lo meritava - e dopo alcuni tentativi venne sospesa. Ricordo l’epitaffio che scrivemmo per Alberto Moravia, i cui ultimi libri erano sovrastati da una sorta d’ossessione sessuale: «Visse e operò/ tra gioie e pene/ all’erezione sempre intento/ del proprio monumento».
Gli epitaffi sono tanto più divertenti quanto più sono irriverenti, e i migliori lo sono tutti. Non risparmiano Riccardo Bacchelli: «Liberata da tanto peso la letteratura italiana con sollievo pose», e non risparmiano Pio XII: «Sta insegnando alla Morte come si arrota la falce». Eppure quel Papa autoritario s’imbattè in qualcuno che era più autoritario di lui. Ricevette un giorno Clara Boothe Luce, ambasciatore Usa in Italia, cattolica, miliardaria, e da lei si sentì spiegare cosa la Chiesa dovesse fare. «Signora - la interruppe bonariamente a un certo punto - sono cattolico anch’io».
Resta in molti epitaffi una traccia delle amicizie di Indro, comportanti graffi reciproci, ma resta anche una traccia delle sue polemiche. In particolare di quella contro l’Eni di Enrico Mattei, petroliere senza petrolio, corruttore incorruttibile. «Qui/ riposa/ Enrico Mattei./ A nostre spese/ spese/ senza badare/ a spese». Ancora una sola citazione concernente Marco Ramperti - fine scrittore e abilissimo nel mettersi dalla parte sbagliata - che dopo una vita da antifascista aderì a Salò e scrisse sui giornali repubblichini attirandosi gli anatemi dei resistenti. Ramperti aveva uno stile anticonformista anche nella pulizia, insomma si lavava poco. E Montanelli così l’immortalò, facendo il verso agli slogan millenaristici delle ultime camice nere: «Qui riposa Marco Ramperti. Tutto è perduto fuorché l’odore».
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